Armageddon all’italiana: scopriamo insieme cinque romanzi distopici che forse non conoscevi

Quando parliamo di distopia balza subito alla mente “1984” di Orwell, ed esso domina su tutti. Ma se dovessimo rivolgerci al nostro panorama letterario, chi troveremo? Ecco quindi cinque opere letterarie italiane dal filone distopico che forse (e sottolineo “forse”) non conoscevate.

L’utopia, da alcuni suoi nodi irrisolti, sviluppa, direbbe Carrer, il proprio avversario: la distopia. Essa non è un’identità altra, ma come se fosse il suo negativo fotografico.  Ad esempio una determinata società può essere utopica per alcuni, vista con insofferenza da altri. Popper infatti afferma che l’utopia presuppone la fiducia in un modello di assoluta perfezione astratta, i cui tentativi di realizzazione storica conducono alla violenza e al totalitarismo.

GUIDO MORSELLI, DISSIPATIO H.G.

Utopia presuppone che l’uomo sia al centro del creato. Avere un progetto utopistico significa progettare un mondo migliore per la creatura che lo governa, l’uomo. Guido Morselli invece narra di un’avvenuta apocalisse dove è rimasto soltanto un superstite, l’io-narrante. Questi si era recato in una grotta per suicidarsi, ma gli mancò il coraggio e decise di tornarsene alla propria abitazione. Improvvisamente però tutto il genere umano era scomparso!  Quella di Morselli è una distopia che rientra nel sotto-filone apocalittico: è imminente la fine dell’uomo, inteso sia in senso metaforico (perdendo i propri connotati di umanità) che reale (scompare l’uomo come specie vivente). Per capire l’opera occorre tenere presente che ci troviamo all’interno di una società estremamente omologata (Pasolini direbbe imborghesita) dove vi è l’impossibilità di rovesciare il dominio in quanto mancherebbe un soggetto non livellato ad opporsi. Si parla di apocalisse non come di un mondo che finisce, ma nei termini di un uomo ormai non più uomo. La Terra, la Natura e i loro abitanti continueranno a vivere armonicamente anche senza l’essere umano. Anzi! La loro qualità di vita sarà addirittura migliore. Ecco a voi un bellissimo passo tratto dall’opera:

La fine del mondo? Uno degli scherzi dell’antropocentrismo: descrivere la fine della specie come implicante la morte della natura vegetale e animale, la fine stessa della Terra, la caduta dei cieli. Si ammette che le cose possano cominciare prima, ma non che possano finire dopo di noi. Andiamo… sapienti e presuntuosi, vi davate troppa importanza. Il mondo non è stato mai vivo come oggi che una certa razza di bipedi ha smesso di frequentarlo. Non è mai stato così pulito, luccicante, allegro.

CORRADO ALVARO, L’UOMO E’ FORTE

Noi italiani non sappiamo valorizzarci. E questo è un male, perché perderemmo lavori come L’uomo è forte di Corrado Alvaro, dato che è stato scritto dieci anni prima di 1984 di George Orwell, e affronta le stesse tematiche di oppressione da parte di un regime totalitario. Ciò significa che, se lo scrittore inglese cominciò a scrivere nel 1948 il suo romanzo, L’uomo è forte venne pubblicato nel 1938. E ciò, ancora, significa che Mussolini e il regime che ne consegue erano ancora in piedi! Quindi oltre ad essere un romanzo di apertura e preparazione per l’arrivo del capolavoro di Orwell, fu anche un’opera azzardata e rischiosa. Ma riuscì comunque a eludere la censura italiana. Gli ordinarono solo di cambiare il titolo, poca cosa rispetto a quello che poteva accadere. In precedenza l’opera si chiamava Paura sul mondo, titolo ripescato poi nel 1979, quando Domenico Campana ci basò uno sceneggiato televisivo. Ecco un passo del romanzo dove Alvaro spiega come funziona il potere di uno stato totalitario, con l’incutere paura e senso di colpa.

“Sei stata mai educata dai religiosi?”

“Che cosa ti salta in testa? I religiosi, i religiosi?” diceva Barbara con una reazione eccessiva, come se avesse la febbre.

“Sì, se fossi stata educata dai religiosi, ti accorgeresti che è la stessa cosa. Che quando ti sei messa nell’animo l’idea del peccato non te la levi mai più. Ti sembra sempre che qualcuno ti veda e ti giudichi. Qui è lo stesso. Per noi è lo stesso”.

Poi ancora, andando avanti con la lettura:

“Il colpevole c’interessa enormemente; che cosa faremmo senza di lui?” Ed egli era divenuto questo personaggio, l’uomo necessario.

PAOLO VOLPONI, IL PIANETA IRRITABILE

Ambientato nel 2293 in un mondo dove piove da sempre, gli uomini si sono ormai estinti a suon di guerre ed esplosioni nucleari. Protagonisti dell’avventura sono una scimmia (Epistola), un elefante (Roboamo), un’oca (Plan Cacule) e un nano (Mamerte, ma possiede vari nomi). Tutti e quattro accomunati dal lavoro all’interno di un circo (pleonastico dire che l’ambiente circense è visto proprio come simbolo di oppressione). Obiettivo dei cavalieri dell’apocalisse è quello di spostarsi verso un altro mondo, guidati dall’autorità autoimpostasi della scimmia Epistola. Questo romanzo di Volponi richiama molto quanto già detto per il commento a Dissipatio H.G. di Guido Morselli. L’aggettivo Irritabile, del titolo, fa comprendere che dopo un’esplosione nucleare, e quindi con la distruzione dell’uomo, gli animali continuano a vivere come se nulla fosse.

PRIMO LEVI, VIZIO DI FORMA

Più che un romanzo è una raccolta di racconti. Si narra di un mondo dove la tecnica e i congegni tecnici hanno robotizzato l’intero spazio dell’esistente e messo l’uomo a margine, oppure trasformatolo in macchina.  I racconti fanta-biologici non ci vogliono dire di far a meno della tecnica, ma risolvere il vizio di forma della tecnica con la tecnica se stessa. Levi spinge a un riprendere il controllo della tecnica da parte dell’umano. Auspica che Frankenstein si riappropri della Creatura. Tutti conoscono Primo Levi per il capolavoro Se questo è un uomo, viene quindi da chiedersi, c’è differenza tra il Levi ebreo che tratta dell’olocausto e questo Levi “fantastico”? La risposta è negativa, per il ragionamento fatto fino ad ora riguardante la tecnica. Per lo scrittore il nazismo non è un “incidente di percorso” sulla strada del capitalismo, ma ne è il conseguenziale approdo. Auschwitz è come una catena di montaggio che produce serialmente morti. All’interno del campo di concentramento sia carnefici che vittime perdono la consistenza di umani, diventano ingranaggio di una macchina. La tecnica è il problema e la soluzione, ma se non ci riappropriamo della tecnica in maniera umanistica, pur vivendo in una maniera diversa da Auschwitz, si vive nella cornice disumanistica. E infatti il libro doveva recare il titolo di Disumanesimo.

GOFFREDO PARISE, IL CREMATORIO DI VIENNA

Anch’esso una raccolta di racconti. I personaggi non hanno un’identità. Sono voci stereotipate, la gran parte non ha nemmeno un nome proprio. Tutti sono individuati e socialmente qualificati esclusivamente in funzione delle loro attività lavorative. La gran parte esiste quasi esclusivamente nella misura in cui sono consumatori: sono residui di uomini e di donne. Ciascuno di loro scommette su una sola religione: quella consumistica emblematizzata nella figura del grande magazzino. La tesi di Parise è, come abbiamo già anticipato, pasoliniana: la borghesia ha vinto. Ha unificato a sé la totalità dell’essere umano, non esistono altri viventi che goffi individui assimilabili a pure maschere borghesi.

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