Scontri a Tripoli: cosa sta succedendo in Libia?

Da giorni a Tripoli si stanno scontrando milizie di fazioni opposte e il governo di Al Serraj si trova in una situazione difficile. La Libia ha un panorama geopolitico molto complesso. Per comprendere la causa e le possibili conseguenze di questo conflitto sulla Libia e sul nostro paese è necessaria una approfondita analisi della situazione libica.

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Il Primo Ministro Fayez al Sarraj in visita ad un edificio governativo vittima di un bombardamento (fonte: AP Photo/Mohamed Ben Khalifa)

La frammentazione della Libia

Il 7 luglio 2012 la Libia tornava alle urne per la prima volta dal 1965. La caduta del regime di Gheddafi aveva creato un atmosfera ottimista che però non tardò a svanire. A partire dal luglio 2012 i vari governi che si sono succeduti non sono mai stati in grado di imporre la propria autorità sulle numerose milizie tribali di ribelli che controllavano militarmente varie frange del paese. La situazione politica del paese si complicò ulteriormente il 18 maggio 2014 quando il generale Khalifa Belqasim Haftar mise in atto un colpo di stato occupando il palazzo del parlamento di Tripoli sfruttando la forza militare delle milizie a lui fedeli. A partire da questa data la Libia è un paese diviso in tre grandi regioni. La Tripolitania, regione a nord-ovest del paese con capitale Tripoli, è controllata dal governo di accordo nazionale il cui primo ministro attuale è Fayez al Sarraj. Sotto la Tripolitania, a sud-ovest del paese troviamo il Fezzan, regione tribale situata nel cuore del deserto del Sahara popolata da diverse tribù tendenti al nomadismo che da anni il governo del paese tenta di stabilizzare costruendo infrastrutture. La Cirenaica è invece la regione che occupa tutta la fascia est del paese. Questa zona è sotto il controllo del generale Haftar, capo dell’esercito nazionale libico nominato ministro della Difesa e Capo di Stato Maggiore dal governo cirenaico di Tobruk.

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Illustrazione della divisione della Libia in 3 regioni (fonte: Wikipedia)

Il governo di Tobruk non è riconosciuto dalla comunità internazionale e dalle Nazioni Unite mentre il governo di accordo nazionale di Al Sarraj si. Ma gli equilibri di potere libici sono in realtà molto più complessi rispetto al quadro sopra illustrato. Come sostenuto da Francesca Mannocchi, giornalista freelance esperta della situazione libica, a detenere il controllo reale del paese sono le centinaia di milizie presenti sul territorio nazionale che godono di grandissima influenza sui due governi del paese e sulla vita della popolazione libica.

Gli scontri a Tripoli dell’ultima settimana

Da ormai più di una settimana la città di Tripoli è interessata dagli scontri tra la Settima Brigata, milizia ribelle della città di Tarhuna considerata vicina al generale Haftar, e alcune milizie a sostegno del governo nazionale di Al Sarraj. La Settima Brigata ha attaccato i quartieri meridionali della città con l’intento di liberarla dalle altre milizie accusate di corruzione. Migliaia di civili sono stati evacuati nella zona di Abu Salim, dichiarata zona militare dalla Brigata. Secondo il ministero della salute libico i combattimenti hanno causato finora 47 morti e 129 feriti, ma il numero è destinato a crescere. A causa dei disordini provocati dai combattimenti nella giornata di domenica 400 detenuti sono evasi da una prigione vicino a Tripoli. Il capo del governo di Tripoli Al Sarraj ha dichiarato lo stato di emergenza ed ha chiesto rinforzi alla potente milizia di Misurata, vicina al governo italiano e direttamente finanziata dagli Stati Uniti per la lotta al terrorismo islamico, che ieri ha inviato a Tripoli 300 mezzi blindati e numerosi armamenti per affrontare la crisi. Nonostante gli inviti da parte delle Nazioni Unite e della comunità internazionale ad un cessate il fuoco che permetta di stringere accordi tra le parti per ora sembra che una intesa diplomatica tra le parti non sia possibile.

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Scontri a Tripoli tra milizie rivali

La crisi libica nel contesto internazionale

Il 29 maggio il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron ha organizzato un vertice a Parigi tra i principali attori della scena politica libica per provare a mediare un accordo tra le parti. Hanno partecipato al vertice il primo ministro del governo di accordo nazionale Fayez al Sarraj, il presidente dell’alto consiglio di stato e rappresentante di Fratellanza Musulmana Khalid al Mishr, il generale Khalifa Haftar e il presidente della camera dei rappresentanti di Tobruk Aguila Saleh. Assenti all’incontro invece i rappresentanti delle 13 milizie armate dell’ovest, in primis la delegazione di Misurata. Il piano francese in Libia consiste nel portare il paese a elezioni democratiche entro la fine del 2018 sciogliendo il parlamento di Tobruk e compiendo una serie di riforme istituzionale che permetterebbero il regolare svolgimento delle elezioni. Questo piano collide col piano di pacificazione dell’Onu portato avanti dal Salamé col pieno sostegno del governo italiano. Secondo l’inviato dell’Onu per far che possa realizzarsi in Libia una evoluzione politica è necessario arginare altri problemi che impedirebberò il regolare svolgimento di elezioni democratiche che applicate ad una situazione politica così frammentata potrebbero causare più danni che effetti positivi.

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Stretta di mano tra Al Sarraj e Haftar in presenza di Macron durante il vertice parigino

In una intervista per Rai News l’ambasciatore italiano in Libia Giuseppe Perrone illustra alcuni dei problemi che necessitano di risoluzione perchè si possa stimolare, in linea con l’Onu, un processo di riconciliazione nazionale che superi le frammentazioni del paese. Perrone sostiene infatti che la Libia ha bisogno di riforme giuridiche: deve dotarsi di una costituzione e di una legge elettorale. Un’altro problema da affrontare è la sicurezza visti i numerosi conflitti latenti che ancora interessano diverse aree del paese. I recenti scontri a Tripoli dimostrano che questo problema ha radici solide e può portare a conflitti interni. Perrone parla anche del processo di registrazione degli elettori portato avanti dall’Onu. Questa misura è necessaria perchè tra il 2016 e 2017 ha proliferato in Libia la falsificazione di documenti per beneficiare dei sussidi erogati dalla banca centrale, l’enorme quantitativo di documenti falsi potrebbe risultare uno dei principali impedimenti per lo svolgersi di elezioni democratiche trasparenti.

L’ambasciatore italiano ha presentato diverse critiche alla proposta francese che i media libici hanno decontestualizzato creando scalpore. La camera dei rappresentanti di Tabruk ha rilasciato un comunicato nel quale accusava l’ambasciatore italiano di voler interferire con la sovranità del paese per la richiesta (per altro smentita con un tweet) di posticipare le elezioni previste per dicembre dopo il vertice di Parigi.

L’interesse italiano in Libia

La Libia è il paese fondamentale per i rapporti diplomatici italiani. Il paese è infatti il primo produttore di petrolio dell’Africa e soddisfa il 30% del fabbisogno di combustibili fossili italiani. L’unica società italiana che è riuscita a stabilirsi in Libia nonostante le precarie condizioni politiche del paese è l’ENI che col tempo è riuscita a stringere accordi con alcune milizie per la protezione dei pozzi petroliferi. Dalla scorsa primavera è però tornata a muoversi in Libia anche Total, principale società energetica francese che a seguito di una serie di investimenti importanti potrebbe creare grande concorrenza alla società italiana.

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Il conflitto d’interesse tra Francia e Italia in Libia non si può ridurre però alla sola questione energetica. La Francia ha sempre manifestato una linea confusa nei confronti della frammentazione libica dimostrando di volere tenere aperti i canali di comunicazione con il generale Haftar. L’Italia invece da sempre presenta una linea in Libia volta a sostenere Al Sarraj e il governo di accordo nazionale, in linea con la posizione assunta dall’Onu e dalla comunità internazionale. I precedenti governi PD hanno investito molto sul governo di Tripoli per creare rapporti diplomatici produttivi e cercare di fermare i flussi migratori in partenza dalla Libia verso il nostro paese. Il nuovo governo Lega-M5S ha rinnovato gli accordi con le autorità di Tripoli mantenendo invariati i rapporti diplomatici inaugurati dagli scorsi governi.

A partire dall’insediamento del nuovo esecutivo italiano i rapporti diplomatici tra Francia e Italia non hanno fatto che peggiorare. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un continuo scambio di provocazioni tra Macron e Salvini, in particolare sulla questione delle quote di redistribuzione dei migranti. L’aggravarsi della crisi libica e gli scontri che tuttora interessano la città di Tripoli complicano ulteriormente le cose visto che Al Serraj e il governo di accordo nazionale sostenuto dall’Italia non potranno che uscire indeboliti da questa situazione. Il consenso reale di cui gode Al Serraj si riduce costantemente e se il governo di Tripoli dovesse risultare incapace di gestire questa situazione violenta potrebbe portare alla perdita di ulteriori consensi in vista delle elezioni. Se il governo di Tripoli dovesse addirittura cadere la posizione di Haftar in Libia si rafforzerebbe moltissimo e il fallimento di anni di politica estera italiana potrebbe riversarsi a favore dell’interesse francese.

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Da sinistra: Matteo Salvini, Emmanuel Macron

Al momento il governo italiano ha dichiarato di non volere intervenire nel conflitto che in questi giorni sta interessando Tripoli. Certo è che questa crisi sarà il primo vero banco di prova diplomatico che l’attuale governo dovrà gestire. La situazione che emerge è complessa e le soluzioni possibili non sono chiare a nessuno. Il primo passo da fare per risolvere questa situazione difficile è sicuramente ripristinare un dialogo con la Francia e superare i conflitti d’interesse che danneggiano entrambi i paesi. Un primo passo verso questo risultato potrebbe essere la conferenza internazionale sulla Libia prevista per il 10 novembre a Roma a cui la Francia potrebbe decidere di partecipare.

Il grande assente in questo discorso però è l’Unione Europea. Solo le istituzioni europee possono essere in grado di dettare una linea comune sulla situazione libica che superi i conflitti d’interesse tra i vari stati membri. Finora da Bruxelles sulla questione libica è giunto solo silenzio.

Edoardo Dal Borgo