“American Psycho” e la critica sferrata al narcisismo dell’opulenta società moderna

Essere o apparire? Il dubbio amletico vecchio come il mondo è attuale oggi più che mai e trascina nel vortice dell’inconsapevolezza le nuove generazioni che, costantemente esposti a modelli portatori di problematicità nascoste sotto il velo dell’apparenza, sono state trasformate in una schiera di Narcisi 2.0.

Attraverso il film “American Psycho” indaghiamo le ragione alla base del sempre più diffuso fenomeno del narcisismo sociale.

IL NARCISISMO SOCIALE

Al sempre più rapido sviluppo della digitalizzazione ormai estesa a tutti i campi dell’essere, corrispondono per forza di cose degli effetti che coinvolgono la stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Molte sono le problematiche legate ad un mondo prêt-à-porter ma, di certo, solo una è in grado di unire uomini e o donne di ogni Paese sotto il segno di un malessere generale: l’ossessione per l’immagine propria e altrui. A differenza delle altre epoche in cui ad essere venerate erano le top model o gli attori della Hollywood anni’60, nell’oggi si rincorre uno standard di bellezza incarnato da persone normali, che vivono vite normali e non hanno il nome scritto su qualche cartellone colorato. È proprio dalla continua esposizione ad una bellezza “normale” che nasce l’insicurezza. Sì perché le grandi star sono in qualche modo giustificate per la perfezione dei loro volti o dei loro fisici, per il loro stile di vita lussuoso o per la fortuna che hanno avuto. Sono quasi mitizzati, percepiti come altro rispetto al singolo che ogni mattina va a scuola o a lavoro e, per questo, non colpevoli. Con l’avvento di una classe di creators passata dalle stalle alle stelle solo grazie all’aspetto esteriore però, sono iniziati a sorgere i problemi dettati da un sentimenti di inadeguatezza costante. E allora che fare? Ambire a rientrare in quei canoni a qualunque costo, passando le ore davanti allo specchio o spendendo migliaia di euro in abiti alla moda, divenendo come il prodotto di una produzione in serie che abbraccia tutto il mondo. Si sa però, il troppo storpia, e da un’innocente e normale attenzione al proprio aspetto, si arriva in un batter d’occhio ad indossare le vesti di un Narciso 2.0, tutto fumo e niente arrosto.

AMERICAN PSYCHO

Thriller psicologico del 2000 diretto da Mary Harron e basato sull’omonimo romanzo di Bret Easton Ellis, “American Psycho” racconta la vita apparentemente perfetta del giovane e affascinante uomo d’affari di Wall Street Patrick Bateman (Christian Bale). Dietro questa facciata di gel per capelli e camicie inamidate con polsini e colletto bianco, si nasconde però l’oscurità di una mente sociopatica e narcisista figlia di una una società ossessionata dall’apparenza e dal successo. La trama si sviluppa attraverso una serie di eventi violenti e disturbanti che vedono Bateman immergersi sempre più nell’abisso della sua mente contorta, metodica e ben organizzata. Con la sussurrata satira sociale e la critica della cultura consumistica degli anni ’80, il film offre una visione cinica e spietata del capitalismo e della superficialità della vita urbana, mettendo in discussione la natura stessa della realtà e dell’identità. Intrisa di surrealismo e ambiguità inoltre, la narrazione oscilla tra il sogno e la realtà suggerendo a tratti che la vita del protagonista sia più una costruzione della sua mente che verità immanente. Proprio in questo contesto sfocato e osservato attraverso il filtro della follia di Bateman, il film mette in discussione i valori morali e sociali della cultura contemporanea, offrendo uno sguardo spietato su una società decadente e vuota abitata da maschere agghindate indelebilmente macchiate di sangue.

L’OPULENTO NARCISISMO 2.0

Ma quindi, essere o apparire? L’ancestrale dubbio che già nei primi secolo del dopo Cristo attanagliava Seneca, torna più attuale che mai e mette sul tavolo una miriade di nuovi interrogativi. Probabilmente il periodo di assestamento di quella che è forse la più grande innovazione del nostro secolo è stato troppo breve, non c’è stata la possibilità di adattarsi gradualmente alla miriade di stimoli a cui si è  sottoposti, né di comprendere gli effetti che tutto questo avrebbe avuto sul lungo periodo. Tra tutto di certo, lo sviluppo dei social media ha promosso schemi comportamentali e modelli spesso problematici per i giovani che, costantemente esposti alle vite falsamente opulente di coetanei, hanno iniziato a mettere in dubbio la propria situazione. Il sapere che nel mondo esista gente più bella o più ricca è un conto, vedere a cadenza quotidiana la vita da sogno sponsorizzata sui social da centinaia di persone è un altro. Lasciando da parte il fatto che la maggior parte di questi creators dissimuli un benessere fasullo, è evidente che le menti malleabili degli adolescenti facilmente impressionabili inizi a sviluppare un costante senso di inadeguatezza fisica e sociale, terra fertile per lo sviluppo di problematicità più serie. In questo modo già a 12/ 13 anni diventa fondamentale avere l’abito all’ultima moda, il cosmetico firmato o la borsa da migliaia di euro, come se bastasse solo questo per definire un’intera esistenza. Questi giovani con atteggiamenti adulti quindi, crescono nella superficialità di una società sempre più frivola in cui l’appartenenza è definita sulla base di categorie estetiche o possibilità economiche che non sono la normalità, ma l’eccezione.

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