A chi sembrerai bella? Rispondono Gaio Valerio Catullo e Antonello Venditti

Gaio Valerio Catullo nel carme VIII del suo Liber e Venditti in Unica cantano le domande senza tempo della gelosia.

 

Uno dei più celebri poeti d’amore della latinità e di ogni tempo è, senza dubbio, Gaio Valerio Catullo (84 a.C. ca-54/53 a.C.); della sua biografia non sappiamo molto, ma quel che è certo è che l’avvenimento destinato a stravolgerla.

A volte capita: un incontro stravolge la vita

E quale è stato l’avvenimento di cui stiamo parlando?
Beh, è stato l’incontro con Lesbia.
(Quanto spesso accade che sia un incontro, del resto, a stravolgere una vita e a cambiarla per sempre?)
Anzitutto, Clodia o Lesbia?
Clodia per tutti gli altri, Lesbia per Catullo, il quale, all’interno del suo libello la canta insistentemente sotto mentite spoglie, quelle di Lesbia, appunto, per tutelarla dalle maldicenze e dalle possibili invidie, da lui ritenute rovina d’amore.
Eppure, nemmeno il reiterato ricorso ad un senhal pare scongiurare la fine della relazione, quella verosimilmente descritta nel carme VIII.
Perché verosimilmente? Perché ad oggi si discute senza esito se questo componimento, sintomatico certamente di una crisi, sia soltanto uno sfogo conseguente a un litigio o se marchi, invece, un addio definitivo.
Poco importa, forse, dopo tutto, quel che è incerto; quel che conta è solo quel che è sicuro e, allora, vale la pena ricordare che, sicuramente, Catullo inscena, all’interno di questo testo, uno scontro eterno, quello tra ragione e sentimento.

Resistere o cedere alla gelosia? Questo è il dilemma

Il poeta, infatti, angosciato per l’abbandono di Lesbia, instaura, con un procedimento a lui consueto e caro, un colloquio con se stesso, esortandosi a ritenere che i giorni felici trascorsi insieme a lei, rievocati con un campo semantico tutto gravitante attorno alla luminosità. fanno parte ormai di un passato che non si può ripetere.
Tuttavia, la rievocazione dei baci e dei giochi d’amore sono elementi di smarrimento per il poeta al quale occorre un più saldo impegno a non lasciarsi trascinare dalle illusioni.
Il componimento è interamente basato su questo continuo alternarsi di stati d’animo: da una parte, Catullo evidenzia ferma determinazione, dominio di sé (o almeno l’ambizione ad esso),  dall’altra, invece, abbandono irrazionale ai sogni e alla gelosia, notazione sentimentale con cui il carme si conclude.
Queste, in particolare, le domande retoriche che chiudono il testo e che rivelano come il poeta sia tutt’altro che guarito dalla sua pazzia amorosa:
Che vita t’attende?
Chi adesso ti verrà a cercare? A chi sembrerai bella?
Con chi farai oggi l’amore? A chi dirai: «Sono tua»?
A chi darai i tuoi baci? A chi morderai le labbra?

 

Venditti rielabora il modello, ricordandoci che danno è l’amore

Che danno è l’amore verrebbe da dire, osservando queste lacerazioni interiori e, pensando questo, non possiamo non canticchiare Unica di Venditti, che, secoli dopo, ci ripropone le stesse catulliane domande, a testimonianza di quanto l’uomo, di fronte all’amore o, meglio, alla fine di esso, si ponga, sempre, gli stessi quesiti e, persino a fronte di progressi inimmaginabili, mostri invece, nella sfera dell’interiorità, le medesime fragilità dei tempi antichi.
Tu, ora dove sei?
Se vivi un’altra storia, con chi stai?
Chi ti prenderà?
Chi ti stringerà?
Chi ti griderà «sei unica»?
Che danno è l’amore

 

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