Era il 1918. Anno famoso per la fine della I^Guerra Mondiale, ma anche per l’avvento di una delle peggiori epidemie della storia, la cosiddetta “influenza spagnola” (o, più brevemente, la Spagnola).
Un’epidemia devastante
Circa 50 milioni di persone caddero sotto i colpi del virus H1N1 (conosciuto negli ultimi anni soprattutto per essere stato responsabile, nel 2009, dell’influenza “aviaria”), in una popolazione distrutta da anni di feroci combattimenti, in situazioni igienico-sanitarie quantomeno precarie. I più colpiti dalla Spagnola furono i giovani tra i ~20 e 40 anni, e ciò è stato per decenni un vero mistero, essendo questo dato in controtendenza rispetto a malattie simili. Un’ipotesi plausibile è che questa specifica fascia d’età non sia mai stata colpita, nell’infanzia, da virus di questo genere.
La stagionalità del virus dell’influenza
È molto interessante andare a parlare più approfonditamente del virus dell’influenza. Anzitutto, tutti i ceppi sono solitamente identificati da un codice alfa-numerico H()N(). La chiave sono proprio H (emoagglutinina) ed N (neuroamidasi). Si tratta dei due principali fattori di virulenza espressi dal virus, ovvero delle proteine presenti sulla sua struttura più esterna responsabili dell’infezione. Questi sono presenti in varie forme nei vari ceppi, ed il numero accanto serve proprio per distinguerli. Tra il 1889 ed il 1900 il ceppo più diffuso era H3N8, mentre in tempi precedenti e successivi ne comparsero altri con H1 o N1 (quindi parzialmente simili a quello della Spagnola). Questo ha giocato, secondo i ricercatori, un ruolo molto importante, per quanto non si possa certo limitare le ragioni di un’epidemia tanto devastante ad una sola.
L’importanza della prevenzione
Avere già contratto nel passato un tipo di influenza simile, infatti, specialmente nel durante l’infanzia (periodo durante il quale si è di solito più soggetti a questo genere di malattie), ha permesso ai giovanissimi ed agli adulti più anziani di aver già sviluppato una certa risposta immunitaria al virus, inquanto il loro corpo era “allenato” ad un simile ceppo. Per quanto involontario, quindi, la popolazione al di fuori della fascia “incriminata” 20-40 era stata vaccinata contro H1N1, per quanto il virus non fosse lo stesso e quindi la protezione non fosse esattamente adeguata. Ciò ci permette di comprendere in maniera pratica e particolarmente evidente come la prevenzione sia importante, e quanto preparare il proprio organismo ad un infezione prima che questa avvenga salvi le vite. È infatti indubbio che un individuo colpito dalla Spagnola nel 1918, sopravvissuto, sia poi diventato per così dire “immune” alla malattia stessa, ma quei 50 milioni avrebbero preferito avere un vaccino che la prevenisse.
La Spagnola oggi
Secondo quanto riportato dall’Ansa, se oggi scoppiasse nuovamente un’epidemia di Spagnola come quella del 1918 i morti sarebbero circa 147 milioni. Ora, il numero può sorprendere solo relativamente, dal momento che la popolazione mondiale nel secolo scorso è passata da 1,7 miliardi a 7 miliardi, quindi il triplo dei morti a fronte di oltre il triplo di popolazione totale indica una percentuale di decessi inferiore a quella del primo dopoguerra. Tuttavia la malnutrizione, l’invecchiamento della popolazione e la possibile comparsa di antibiotico-resistenza sono fenomeni ch non vanno sottovalutati, per cui la prevenzione risulta essere, se non la migliore, comunque una delle più efficaci vie per arginare il propagarsi di malattie anche letali come, un secolo fa, lo è stato la Spagnola.