43 anni dalla Strage di Via Fani: ricordiamo l’attentato politico più famoso d’Italia

Il 16 marzo del 1978 le Brigate Rosse rapirono il democristiano Aldo Moro, massacrando la sua scorta a Via Fani. 

43 anni fa , via Fani ,l'agguato terrostitico e il rapimento dell'On.Moro.

L’agguato a Via Fani sensibilizzò il nostro paese sulla lotta al terrorismo politico, come mai prima. La minaccia di gruppi estremisti continuò a delineare ciò che gli Anni di piombo rappresentarono in Italia. Vediamo i punti salienti del primo rapimento politico italiano.

Il contesto: cosa stava succedendo nelle fazioni politiche?

L’attentato non fu pianificato in maniera casuale. Aldo Moro in quel momento fu in procinto di recarsi alla Camera per votare la fiducia al quarto Governo Andreotti, sostenuto per la prima volta anche dal PCI. Questo fu possibile anche grazie al “compromesso storico” che Moro attuò con Berlinguer. Due mondi completamente opposti di vedere e fare la politica, a tal punto che non mancarono critiche all’interno di entrambi gli schieramenti. Ad esempio, la nuova composizione ministeriale non andò bene per i comunisti, considerata troppo di parte. Gli stessi giornali descrissero Moro come un leader autorevole, pronto a sfruttare la maggioranza solamente a favore dei democristiani.
Anche gli uomini della scorta si fecero trovare puntuali sotto la casa del leader democristiano, tra cui lo stesso maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi. Moro scese intorno alle 9, mettendosi sul sedile posteriore di una Fiat 130. Con loro, partirono anche l’auto di rappresentanza e quella della scorta. Nessuno però si sarebbe immaginato ciò che da lì a poco successe.

L’agguato: un atto di una freddezza micidiale

Il quartiere Trionfale di Roma ha ancora oggi quella targa intitolata ad Aldo Moro e alla sua scorta nella famigerata Via Fani. Un riconoscimento illustre allo stesso politico, ma anche a chi venne ucciso direttamente sul posto. Lo stesso Leonardi ad esempio, ma anche l’appuntato Domenico Ricci, i poliziotti Giulio Rivera e Raffaele Iozzino e il vicebrigadiere Francesco Zizzi. Insomma, a parte Moro che fu rapito, tutti gli uomini della scorta vennero trucidati per mano delle Brigate Rosse. Queste furono una organizzazione terroristica di estrema sinistra, propugnatori di una lotta armata rivoluzionaria. Fondate da Renato Curcio e da Margherita Cagol, le BR raggiunsero il loro punto più alto proprio con il Sequestro Moro. In quel momento si diede alla luce una vera e propria caccia all’uomo. La notizia passò immediatamente al Ministro degli Interni Francesco Cossiga, che per la pressione subita nel tempo, si dimise addirittura due mesi dopo. Proprio nell’esatto momento in cui trovarono Aldo Moro morto nel bagagliaio di una Renault 4 a via Caetani. Era il 9 maggio, e la mastodontica operazione di controllo delle Forze dell’Ordine servì un gran poco. Le speranze risultarono vane. L’Italia quel giorno si vestì di lutto.

Caso Moro: la falsa esecuzione del Lago della Duchessa
Il corpo di Aldo Moro, trovato il 9 maggio nel cofano di una Renault 4.

I dettagli: cosa si poteva fare di più?

L’agguato di Via Fani non fu di certo lasciato nel silenzio. Le polemiche che si alimentarono non furono poche. Anzi riuscirono a portare a galla alcuni particolari che ancora oggi godono del beneficio del dubbio. Ad esempio, non riusciamo tuttora a spiegarci perché la scorta non avesse reagito subito, nonostante disponessero nell’auto di quattro pistole Beretta. E che soprattutto i quattro brigatisti non disponessero di una adeguata preparazione militare, poiché nessuno di loro seppe sparare, mentre gli uomini della scorta fossero in realtà degli esperti.
Non sì riesce a comprendere nemmeno come gli assassini sfuggirono per così tanto tempo, nonostante gli innumerevoli posti di blocco in quasi tutto il Lazio. C’è chi pensa ad una complicità di altri gruppi, che protessero le BR, tra cui i servizi segreti italiani e la ‘ndrangheta. Diverse testimonianze infatti rammentarono di una possibile conoscenza in anticipo del rapimento, seppur le versioni non combaciarono mai, poiché i 4 brigatisti si assunsero la colpa. Gli stessi brigatisti che in quel momento furono vestiti come degli aviatori di Alitalia: quasi impossibile di conseguenza non accorgersi di nulla.
Infine si cerca sempre di comprendere se si poté fare qualcosa prima dell’agguato. Aldo Moro fu più volte minacciato indirettamente da movimenti e relazioni strane, tra cui quella con uno studente universitario, poi scopertosi agente del KGB. Mentre per quanto riguardano piccolezze come foto, e anche delle borse che lo stesso Moro ebbe quel giorno, vennero subito smentite da qualsiasi dubbio.

Le conseguenze: l’inizio di un periodo difficile

Fatto sta che, tralasciando le varie incongruenze nella spedizione punitiva, la Strage di Via Fani contribuì di certo a controlli più rigidi per quanto riguardano le fazioni estremiste. Nel mentre invece, il governo Andreotti IV ottenne la fiducia, con Aldo Moro come neo candidato alla presidenza della Repubblica. Le Brigate Rosse continuarono dall’altra parte il loro lavoro di intimidazione, riuscendo anche a porre una tale pressione nelle istituzioni, da far dimettere vertici importanti come il Capo di Stato Giovanni Leone.
Il “Caso Moro”, come definito da molti giornali, mise fine ai governi di solidarietà. I comunisti non si allearono più con i democristiani. E quest’ultimi iniziarono un periodo di crisi, culminato nel 1981 quando vi fu l’ultimo esponente della DC alla presidenza del Consiglio. Come si previdero nelle lettere di Aldo Moro: con lui messo alla berlina, non ci fu più alcun rapporto con Berlinguer!
Lo Stato nel frattempo istituì la legge 15/1980 relativa alla nascita dei collaboratori di giustizia. Grazie a questo ordinamento, e ai suoi decreti espansivi, si procedettero alle informazioni date dai pentiti riguardo le BR. Le testimonianze date poi sarebbero state utili per la cessazione della loro attività terroriste.

 

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