L’Italia si piazza al 159^ posto nella classifica dei paesi migliori per gli atei, questa la conclusione della ricerca condotta dall’ International Humanist and Ethical Union. Una posizione decisamente non ottimale, specie se vogliamo pensare che ognuno debba poter decidere della propria spiritualità nella massima libertà.
Ogni italiano pensando al proprio paese si figura un’Italia libera e aperta, in cui ognuno può trovare i modi e i mezzi per sviluppare il proprio pensiero e le proprie idee. Ma quando si tratta di religione e ateismo, le cose si fanno più complesse. Se infatti pensiamo che l’Italia sia un ottimo paese per gli atei, forse ci sbagliamo. Il Bel Paese risulta infatti 159esimo, subito dopo lo Zimbabwe e prima dello Sri Lanka, nella classifica dei migliori paesi per gli Atei stilata dall’INHEU (International Humanist and Ethical Union), di cui, lo ricordiamo, l’UAAR fa parte.
La classifica dell’INHEU
L’INHEU ha individuato una classifica completa di tutti i paesi del mondo in base al livello di discriminazione nei confronti di atei, umanisti e non religiosi (non solamente gli atei nudi e crudi, quindi). I dieci paesi peggiori in cui vivere per un ateo sono, in ordine: Arabia Saudita, Iran, Afghanistan, Maldive, Pakistan, Emirati Arabi Uniti, Mauritania, Malesia, Sudan, Brunei. I dieci migliori: Belgio, Olanda, Taiwan, Nauru, Francia, Giappone, São Tomé e Príncipe, Norvegia, Usa, Saint Kitts e Nevis. L’Italia non ne esce comunque bene: si guadagna infatti il 159^ posto in classifica
Le ragioni delle difficoltà incontrate dagli atei
Le ragioni per cui all’Italia è spettato questo posto sono molteplici. Le criticità principali sarebbero l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole (in cui, lo ricordiamo, la Chiesa ha ancora una certa influenza, anche se inferiore rispetto al passato), l’8×1000, il fatto che la Chiesa sia anche molto presente nel palinsesto televisivo nazionale, e l’esorbitante finanziamento pubblico delle scuole cattoliche. Da non dimenticare il fatto che l’Italia sia ancora tra i paesi che puniscono il reato di blasfemia (art. 724 codice penale) e che tutela il sacro in maniera particolare attraverso le fattispecie di vilipendio.
Ma c’è di peggio
Nel mondo però sono ben 71 i paesi che puniscono la blasfemia: in 18 è prevista una multa, in 46 la prigione, in 7 la condanna a morte (Afghanistan, Iran, Mauritania, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita e Somalia). In 18 invece viene condannata l’apostasia: in 6 è punibile con la prigione (Bahrein, Brunei, Comore, Gambia, Kuwait, Oman) e in 12 con la pena di morte (Afghanistan, Iran, Malaysia, Maldive, Mauritania, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Somalia, Sudan, Emirati Arabi Uniti, Yemen). Inoltre, la maggior parte di questi 12 paesi spesso considera la blasfemia come prova di apostasia.
Perché il pensiero ateo dovrebbe potersi sviluppare
Nel 2018, quasi 2019, molte di queste sanzioni colpiscono per la loro arretratezza. L’uomo ha da sempre bisogno di trovare una risposta spirituale di qualsiasi tipo, e le religioni danno delle risposte immediate e molto semplici. Essere religiosi, psicologicamente parlando, è molto facile: basta seguire dei dettami collettivamente condivisi. E nel caso di alcune religioni, questi dettami vengono vissuti anche con molta leggerezza (in altre, tutto il contrario). Ma la religione non deve mai essere una forzatura: per questo motivo è giusto e doveroso che il pensiero ateo si sviluppi senza vincoli. Rappresenta il contraltare critico della religione, una valida alternativa che permette una scelta consapevole. Qualunque sia la risposta che si vuole dare alla propria necessità di spiritualità, l’ateismo deve poter crescere e diffondersi senza vincoli: in questo modo si evita conformismo e omologazione, si incontra il progresso e si favorisce il ragionamento critico.