Dalla notte dei tempi, gli esseri umani sono attratti da tutto ciò che è macabro. E cosa c’è di più macabro del suicidio? Andiamo a vederne la valenza sociale con delle guide d’eccellenza.Parliamo di un argomento antico quanto l’uomo. Il suicidio è, infatti, un fenomeno tristemente noto fin dai tempi più remoti e, ancora oggi, non accenna a scomparire. Sebbene sia ancora un tabù, non è più giudicato esclusiva materia della psicologia o della psichiatria: anche la pop culture se n’è appropriata, più o meno dal ‘700 in avanti. Si veda per esempio l’opera maestra di Goethe, I dolori del giovane Werther, oppure l’attualissima serie televisiva Tredici, che, nel 2016, fece impazzire molti adolescenti. Ma andiamo a scoprire i risvolti più sociali di questo tragico atto.
E allora ciao: la dichiarazione-suicidio di Willie Peyote
Contenuta in Educazione Sabauda (2015), E allora ciao non è una traccia scontata, non è la classica hit. Si può intendere la sua diversità dagli altri brani dai secondi iniziali, in cui viene riprodotta una telefonata fra due uomini. I protagonisti sono, infatti, Guglielmo Bruno (a.k.a. Willie Peyote) e suo padre. Il secondo suggerisce al figlio di trasferirsi, di cambiare radicalmente la sua vita se non la reputa più vivibile, “perché sennò l’alternativa è solo una, Gugliè“. Il duro rapper a cui siamo abituati, in lacrime, con la voce spezzata, sussurra un “lo so” stentato, da cui trasuda tutta la sofferenza di una persona che è sull’orlo del suicidio. Perché è proprio di questo che parla questa canzone, fra le meno ascoltate dell’artista torinese. O meglio, il brano parla di ciò che l’ha frenato dal compiere il gesto estremo.
“Le lettere dei suicidi sono semplici liste di nomi“
Nella seconda strofa di E allora ciao, il caro Guglielmo canta:
E intanto nel dubbio, scrivo lettere d’addio
Ne ho un cassetto pieno, perché il problema mio
È che nella casa nuova c’ho pure mille cassetti
Che ostentano col vuoto come a farmelo pesare
E in effetti, riempiendo quegli spazi riempiremmo noi stessi
E’ evidente che, accarezzando l’idea del suicidio, l’autore abbia deciso di scrivere diverse lettere d’addio ai suoi cari, tanto da riempire cassetti interi. Quegli stessi cassetti che, empi, gli fanno pesare ancora di più il senso di vuoto che già lo attanaglia, in quella nuova casa in cui si sente “solo, solo verso l’imbrunire“. Il topos delle lettere dei suicidi, anche se spesso sono “semplici liste di nomi“, è sempre stato molto utilizzato. Come dimenticarsi delle ultime parole scritte da Werther? O delle epistole di Jacopo Ortis? Willie Peyote cita anche “il viaggio di Tenco a Sanremo“, occasione in cui il famosissimo cantautore si suicidò, lasciando un breve biglietto. Nei tempi moderni, però, questo è stato a volte sostituito dalla tecnologia, come, per esempio, video-messaggi o cassette (Anna Baker di Tredici docet). Ma facciamo un passo indietro al 1721.
Lettere Persiane di Montesquieu: il suicidio e la politica
Cosa c’entra il suicidio con un’opera del 1721 che tratta di politica? Domanda più che legittima. Innanzitutto, Lettere Persiane è un romanzo epistolare che nasconde (ma neanche tanto velatamente) una pungente critica nei confronti della monarchia assoluta francese. I protagonisti sono due giovani persiani benestanti e socialmente elevati, che decidono di fare un grand tour in Europa. La provenienza persiana non è un caso: era luogo comune, nel XVIII secolo, che l’Asia fosse retta solamente da Imperi dispotici. Meta principale del loro viaggio è la Francia, su cui nutrono grandi aspettative, che vengono, però, tradite. Infatti, arrivati nella patria di Montesquieu, la criticano aspramente, in quanto governata in modo assolutistico, secondo dogmi cattolici. Proprio per questi motivi, i due giovani affermano che quello che era considerato un avanzato Stato libero, in realtà è un regime dispotico, almeno quanto la loro natia Persia. L’unica soluzione alla pressione soffocante delle istituzioni sul singolo, privato di ogni diritto, non può che essere il suicidio.
La socialità del suicidio
Come abbiamo visto, il suicidio è un fenomeno talmente complicato da rendere quasi ogni speculazione su di esso un qualcosa di parziale e, molte volte, inappropriato. Ma nasce quando l’uomo entra in società, oppure è insito nella sua natura? Questo non lo sapremo mai, probabilmente, ma possiamo intuire, dalle righe di Montesquieu, che sicuramente la condizione politica e sociale nella quale l’individuo è inserito è fondamentale. E, come dice il padre di Willie Peyote, a volte è necessario modificare la propria vita, anche drasticamente, per renderla nuovamente vivibile, per riempire quel vuoto asfissiante “dei mille cassetti“.