Freud, al preludio della Seconda Guerra Mondiale, decide di analizzare una volta per tutte il rapporto dell’uomo con la sua stessa civiltà. Christopher McCandless e Caparezza esprimono il loro parere, molti anni dopo.

Uomo e società: da secoli, molti intellettuali cercano di capire se il loro rapporto sia nocivo o benefico. Freud, per par condicio, dà meriti ad entrambe le ipotesi. Caparezza e Christopher McCandless, però, risultano schierati nettamente da una delle due parti. Analizziamo, ora, il loro modo di pensare la loro società
“Stando a come si comporta il bonobo, la scimmia è l’evoluzione dell’uomo”
Beh, questa frase è un po’ il riassunto della celebre canzone di Caparezza appartenente all’album del 2008 “Le dimensioni del mio caos”. Il testo è molto chiaro: Caparezza decanta l’innata dote del bonobo (una razza di scimpanzé) di vivere in società pacifiche, dove gli impulsi non vengono frenati, permettendo di scaricare le tensioni senza che si abbiano ripercussioni sulla stessa società. Come dice lo stesso Caparezza: “Vive in comunità estremamente pacifiche in cui maschi e femmine hanno pari diritti e dignità. Non sa cosa sia la competizione e condivide le risorse con tutti, in maniera equa. Non conosce la guerra, l’assassinio e la violenza“. Sarà un modo poetico del cantante di descrivere una società perfetta? Assolutamente no! Studi effettuati nelle comunità dei bonobo rivelano che, al contrario degli scimpanzé comuni, essi non lottano per il possesso di una femmina, e lei non si lascia trattare come un trofeo. E’, infatti, un’interazione reciproca in cui sia maschi che femmine hanno pari diritti di scelta del proprio partner. Inoltre, tra i bonobo, nessun maschio è sicuro di quali siano i figli propri; nessun maschio, quindi, aggredisce o molesta i piccoli, e tutti sono disposti ad aiutare e a difendere qualunque cucciolo del gruppo…e non solo! Se due comunità diverse (che possono contare fino a cento esemplari l’una) vanno alla ricerca di cibo nello stesso territorio, non entrano in contrasto ma in contatto, tramite rapporti sessuali, per poi spartirsi il cibo. E’ proprio il sesso alla base dei rapporti sociali, che permette non solo di creare parità tra maschi e femmine, ma anche di risolvere i conflitti tra bonobo della stessa comunità. Sono tipiche le orge, in cui i bonobo hanno anche molti rapporti omosessuali per mostrare l’affetto che provano l’uno verso l’altro e l’appartenenza totale alla loro comunità. A questo punto, forse rimane solo da dire che l’uomo ha molto da imparare dal bonobo che, ad oggi, è la specie di scimpanzé più pacifica in natura.

Quindi le società sono un male? Freud esprime la sua opinione
Torniamo indietro fino al 1930. E’ un periodo storico fragile, causato dal crollo della borsa di Wall Street, con conseguente crisi economica mondiale. La Grande Depressione, in Germania, aveva, in un certo senso, permesso l’ascesa di Hitler, che basava la sua politica su una restaurazione economica interna autonoma che generava grandi consensi. Vivendo in pieno questo periodo per niente roseo, Sigmund Freud si pone come obiettivo quello di analizzare la tensione tra civiltà ed individuo. Pubblica, così, “Il disagio della civiltà“, in cui espone la sua teoria secondo la quale il disagio dell’uomo e la profonda crisi che sta vivendo sono dovuti dalla repressione degli istinti primitivi a causa delle leggi, create per non ostacolare il buon funzionamento di una comunità umana. Freud si sofferma molto sul tema delle passioni e degli impulsi più oscuri e profondi dell’uomo che, solo se totalmente appagati, possono portare alla felicità. Quindi Freud ritiene le società come qualcosa di deleterio per gli uomini? Non proprio. Secondo lui, sono proprio le comunità che permettono agli uomini di non essere nocivi per gli altri e per loro stessi, e di non vivere infelici per il resto della loro vita. Confusi? Freud ce lo spiega meglio! Freud ritiene Eros, pulsione di Vita, ciò che ci fa agire per il nostro bene e piacere personale, senza avere un freno e senza essere controllata. Ciò porterebbe non solo ad essere nocivi gli uni verso gli altri (pensate agli stupri o agli omicidi per cercare di soddisfare le nostre pulsioni) ma anche alla nostra infelicità in quanto i nostri bisogni sarebbero destinati ad aumentare continuamente, non permettendoci più di “stare al passo” con loro e di non provare più piacere nel vano tentativo di appagarli. Le norme sociali ci permettono di frenare i nostri impulsi e di porre loro dei limiti, cercando di sublimare la nostra aggressività nella coesione forzata tra gli individui. Freud così definisce società “giuste” quelle che presentano norme e regole che danno origine al Super-Io collettivo, ma che riducono gli spazi di repressione e sofferenza. In quest’opera, Freud ritiene, quindi, la società necessaria, in quanto l’uomo è “animale malato” i cui istinti vanno repressi.

“Per non essere mai più avvelenato dalla civiltà, egli fugge”
Se Freud è convinto che la società sia un male ma, ahimè, necessario, questa teoria non è supportata da Alexander Supertramp, alias Christopher McCandless, un ragazzo che, poco più che ventenne, sente forte la pressione da parte della società e lo vive come disagio, decidendo di iniziare un viaggio su e giù per l’America alla ricerca delle terre più selvagge dove rifugiarsi dal capitalismo e consumismo che sono causa non solo del suo profondo senso di vuoto, ma anche quello dell’intera società in ci vive. Il film “Into the Wild“, scritto e diretto da Sean Penn, rappresenta in pieno l’insofferenza verso la vita che McCandless provava, e al tempo stesso, il forte senso di libertà che ha inizio nel momento stesso in cui lui inizia il suo viaggio, un viaggio che non ha solo lo scopo di una profonda ricerca di sé, ma anche una ribellione verso la società moderna, che inizia con la definitiva perdita della sua identità sociale (brucia i suoi documenti, abbandona la sua macchina, non dà più notizie di sé). La sua saggezza non sarà tanto data dalla sua ricerca o dal suo contatto con la natura, quanto dalle figure che incontrerà durante il suo viaggio, che saranno quasi un rimpiazzo della sua stessa famiglia, in cui il suo disagio e la sua insofferenza nei confronti della società hanno inizio. Tuttavia, nessuno riuscirà a farlo ricredere e a far finire il suo viaggio, ma sarà “La felicità domestica”, di Tolstoj con la frase “credo di aver trovato cosa occorra per essere felici: una vita tranquilla, appartata, in campagna. Con la possibilità di essere utile alle persone che si lasciano aiutare […] amore per il prossimo. E poi, al di sopra di tutto, tu per compagna, e dei figli, forse. Cosa può desiderare di più il cuore di un uomo?”. Capendo che “la felicità è reale solo se condivisa”, tenterà di fare ritorno verso casa, non riuscendoci. Il film, che vede come assoluto protagonista il confronto tra uomo e natura e la celebrazione della libertà, è l’apoteosi della celebrazione della vita di un uomo, pronto a tutto pur di colmare il senso di vuoto e disagio che la società in cui viveva e i suoi legami familiari gli causavano.
