L’opera “I Malavoglia” e la canzone “Crêuza de mä” ci parlano della difficile vita dei pescatori e dei marinai.
Giovanni Verga e Fabrizio De André giocano con il dialetto Siciliano e con il dialetto Genovese per ricreare la veridicità delle vicissitudini vissute in mare dalla famiglia Toscano nell’opera di Verga e dai marinai in quella di Faber.
“CRÊUZA DE MÄ”
“Crêuza de mä” è il titolo di una canzone di Fabrizio De André che funge anche da titolo dell’intero album nel quale la canzone è contenuta. La canzone è interamente scritta in dialetto genovese e la tematica la si evince già dai primi versi che, tradotti, significano:
“Ombre di facce, facce di marinai, da dove venite? Dov’è che andate? Da un posto dove la luna si mostra nuda”
Così fin dall’inizio è palesemente visibile il riferimento ai marinai che vengono dal mare, descritto poeticamente come “un posto dove la luna si mostra nuda”. De Andrè parla delle loro sensazioni, delle loro esperienze, della loro vita perennemente in balia del mare. Nell’ultima strofa della canzone il mattino viene descritto come il padrone di una corda “marcia di acqua e di sale”, quella stessa corda che finirà per legare i marinai e riportarli al loro destino lungo una “crêuza de mä”, ovvero un viottolo di mare. Nell’agosto 2020 è stata realizzata una nuova versione del brano, cantata da numerosi cantanti italiani, tra cui Vasco Rossi e lo stesso Cristiano De André, figlio di Fabrizio, su iniziativa di Dori Ghezzi appositamente per la cerimonia di inaugurazione, a Genova, del viadotto autostradale Genova San Giorgio, costruito in sostituzione del precedente viadotto Polcevera, crollato due anni prima.
“I MALAVOGLIA”
“I Malavoglia” è un romanzo scritto da Giovanni Verga (1881); l’opera è formata da 15 capitoli. La vicenda si svolge fra il 1863 (ma l’azione comincia solo nel settembre 1865) e il 1877 o 1878. È la famiglia Toscano, il soprannome antifrastico di “i Malavoglia”: curiosa a cui non manca certo la voglia di lavorare. La famiglia è composta dal nonno, padron ‘Ntoni, che possiede una casa (la casa del Nespolo) e una barca (la Provvidenza), da Bastianazzo e dalla nuora Maruzza, della la Longa, e dai nipoti ‘Ntoni, Luca, Alessi, Mena e Lia. Per fare la dote a Mena padron ‘Ntoni compra a credito una partita di lupini indebitandosi con l’usuraio del paese, ovvero Campana di Legno (anche detto zio Crocifisso). Durante il trasporto dei lupini la barca fa naufragio e Bastianazzo muore in mare. Comincia così un periodo di disgrazia e di miseria. Quando la famiglia sembra riprendersi e Meno sta per fidanzarsi con il figlio di un ricco possidente, la morte di Luca nella battaglia di Lissa, un nuovo naufragio della Provvidenza e poi il desiderio di evasione di ‘Ntoni, ricacciano la famiglia nella disgrazia, sino a indurre il vecchio padron ‘Ntoni a vendere la barca e accedere la casa per poter pagare il debito. ‘Ntoni cerca fortuna a Trieste, poi tornato più povero di prima comincia a fare Il predicatore di idee di eguaglianza e a frequentare la bettola e gli ambienti del contrabbando disonorando la famiglia. Contemporaneamente il brigadiere don Michele insidia Lia. Sorpreso in flagrante durante il contrabbando ‘Ntoni accoltella don Michele e viene condannato a cinque anni di carcere. Lia fugge da casa e diventa prostituta a Catania. Trascorso il periodo di carcere doni torna alla casa del Nespolo dove vi rimane solo una notte: all’alba riparte per sempre. Ha capito che non può più vivere in una famiglia di cui ha violato le norme morali e in un paese che ora vede come un’oasi di tranquillità e di serenità.
LE ANALOGIE TRA LE DUE OPERE
Lo scrittore Giovanni Verga per avvicinare la scrittura al vero dell’ambiente rappresentato compie un’operazione linguistica di forte sperimentazione: inserisce i costrutti dialettali nel tessuto stesso della narrazione, così lessico italiano e sintassi siciliana si fondono in maniera originale in modo che la parola si adegui perfettamente alla materia che essa racconta. Ai personaggi dalla psicologia elementare e all’ambientazione paesana e contadina corrisponde una lingua volutamente povera nelle scelte lessicali infarcite di proverbi ed espressioni popolari, dalla sintassi non complessa, a imitazione del modo con cui la gente umile e incolta, anche se ricca di sentimenti e di saggezza, formula pensieri e discorsi. Anche De André nel testo di “Crêuza de mä” compie una sperimentazione linguistica, infatti la canzone è interamente cantata in dialetto genovese. Ad accomunare le due opere non vi è però solo la scelta dell’utilizzo del dialetto (quello Siciliano da parte di Verga e quello Genovese da parte di De André) ma anche la tematica legata alla difficile vita dei pescatori e dei marinai, il cui destino è sempre in balia delle onde del mare.