Quando un dibattito è pluralista e quando scade nella pura ricerca di audience?
“I critici facciano pace con questa cosa, i talk show devono garantire una pluralità e farlo in modo vivace. Il genere, fino a prova contraria, si compone di due parole: talk e show”. Così Corrado Formigli, conduttore di Piazzapulita, in onda su La7.
Basta la pluralità?
Quando una discussione è democratica? Verrebbe da rispondere che è solo nella misura in cui un dibattito è composto da una pluralità di voci ed è in grado di far vedere un determinato fatto da più punti di vista che può dirsi condotto democraticamente. Far emergere sfumature e dissensi intorno a una questione è la linfa vitale dei talk show, come Formigli ha tenuto a sottolineare.
Così in Italia ritroviamo media (televisivi e non) nei quali la guerra in Ucraina è interpretata da persone contro e pro Russia, (queste ultime apprezzate anche da esponenti politici, come Giuseppe Conte, presidente del M5S, che ha affermato di ammirare il “pensiero laterale” di Orsini, professore universitario al quale la Luiss ha recentemente chiuso l’osservatorio a causa delle sue “discutibili” posizioni sulla guerra); nei quali la bontà della vaccinazione viene messa in discussione da un cantante o nei quali, come scrive il professor Giuseppe Tipaldo ne La società della pseudoscienza “si insinua l’illusoria speranza di chi ancora confida nel rimedio a base di merda di capra”, che avrebbe il magico potere di far guarire la gente dal cancro (per chi non conoscesse la vicenda del siero Bonifacio, eccone un riassunto di Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Siero_Bonifacio).
Quale democrazia?
In nome della “pluralità”, i talk show portano alla ribalta anche posizioni palesemente in contrasto con la narrazione dei fatti per motivi di spettacolarizzazione e audience: un ultimo esempio è Rete4 che, intervistando il ministro degli Esteri russo Lavrov, ha permesso un discorso fazioso a favore della propaganda russa in diretta nazionale.
Invece, Vittorio Emanuele Parsi, professore di relazioni internazionali all’università Cattolica di Milano, ha recentemente abbandonato un programma televisivo a cui stava partecipando come ospite affermando:
“Volevo evitare di fare da cassa di risonanza per tesi strampalate. Il problema principale di alcuni talk show, anche se non tutti, è che l’oggetto della discussione diventano le tesi delle persone che sono lì a discutere, mentre si perde di vista quello che sta succedendo realmente”.
Viene quantomeno il dubbio, allora, che non sia esclusivamente la pluralità di voci a garantire un vero dibattito democratico. Il problema nasce soprattuto nel modo in cui oggi concepiamo la democrazia è la libertà d’espressione. Spesso si scambia quest’ultima per la possibilità di esprimere anche baggianate: le quali, per carità, su un meme di Instagram stanno benissimo, ma quando si tratta di analizzare, commentare e comunicare fatti determinanti per una corretta informazione sul fenomeno in questione, la storia cambia.
Un’autentica libertà
L’idea dell’uno vale uno (per quanto possa sembrare contraddittorio), è fortemente rischiosa per la tenuta democratica di un Paese. Come scrive ancora Tipaldo, si scambia per libertà d’espressione “una libertà d’opinione senza freni, unica legge morale di un nuovo empireo del sapere, […] nel quale tutti possono interagire con tutti su qualunque argomento e alla pari”.
Tuttavia, come ci ricorda il filosofo Umberto Cerroni, una democrazia cresce nel momento in cui incontra la scienza, in particolare il metodo scientifico. Non basta la pluralità per definire un dibattito sano, perché altrimenti diventa una pura performance di fazioni rivali che decidono di scontrarsi senza incontrarsi, ma è necessario soprattutto avere il coraggio di sottoporre le opinioni al vaglio dei fatti e pretendere che, dopo la loro formulazione, siano in grado di strutturarsi tramite riscontri e prove. Senza il cosiddetto fact cheking, si alimenterà lo share ma non la nostra democrazia, che ha bisogno di una ridefinizione a partire da queste basi. A proposito, il noto direttore del TG La7 Enrico Mentana si è recentemente espresso così sui social:
“Scrissi qui cinque mesi fa che mi onoravo di non aver mai ospitato nel tg che dirigo nessun esponente dei no vax. Allo stesso modo mi onoro oggi di non invitare chi sostiene o giustifica l’invasione russa in Ucraina. E uso quelle stesse parole per rivendicarlo, senza dover aggiungere nemmeno una virgola:
Chi mi dice che così impongo una dittatura informativa, o una censura alle opinioni scomode, rispondo che adotto la stessa linea rispetto ai negazionisti dell’Olocausto, ai cospirazionisti dell’11 settembre, ai terrapiattisti, a chi non crede allo sbarco sulla luna e a chiunque sostiene posizioni controfattuali, come sono quelle di chi associa i vaccini al 5G o alla sostituzione etnica, al Grande Reset, a Soros e Gates o scempiaggini varie. Per me mettere a confronto uno scienziato e uno stregone, sul Covid come su qualsiasi altra materia che riguardi la salute collettiva, non è informazione, come allestire un faccia a faccia tra chi lotta contro la mafia e chi dice che non esiste, tra chi è per la parità tra uomo e donna e chi è contro, tra chi vuole la democrazia e chi sostiene la dittatura”.