Tra luce e tenebra: Roberto Longhi interpreta il tormento di Caravaggio attraverso 3 opere

Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, è una delle figure più affascinanti e controverse della storia dell’arte. Pittore vissuto a cavallo fra il 1500 e il 1600 ha realizzato capolavori eterni, dalla potenza espressiva magistralmente e misteriosamente veicolata dalla luce e dalle ombre da lui catturate.

Pier Paolo Pasolini, Ritratto di Roberto Longhi (da www.rivistasegno.eu)

Nel libro “Caravaggio” il celebre storico dell’arte Roberto Longhi, vissuto tra il 1890 e il 1970, ripercorre la vita del tormentato pittore sfatando alcune leggende e stereotipi esasperanti del pittore maledetto e sregolato. Descrive con gli strumenti propri della letteratura i dipinti, restituendo con  immediatezza le sensazioni  e suggestioni che aleggiano nelle atmosfere del Caravaggio.

La “canestra di frutta” e la rivoluzione della natura morta

Caravaggio usa lo specchio per meglio rappresentare la realtà. Usando come modello non direttamente la realtà ma il suo riflesso nello specchio riusciva a coglierla con maggiore certezza, accuratezza e veridicità. La visione diretta è soggetta all’imprecisione e alla vaghezza mentre lo specchio restituisce l’unità della frammentata realtà, come una “realtà-acquario”. Lavorando in questo modo finì per accorgersi che anche se dovesse mancare la figura umana, lo specchio continuerebbe a riflettere l’ambiente e gli oggetti. Sembra un’affermazione scontata, eppure non lo è per nulla. Al termine di un secolo in cui l’uomo era il centro attorno a cui ruotava il sapere, la natura e la riflessione filosofica, l’arte aveva il compito di esaltare entusiasticamente questo ruolo cardine. Quest’intuizione caravaggesca comporta il rifiuto della divisione in classi del rappresentabile, al cui vertice vi era l’essere umano e, socialmente parlando, la nobiltà. Ma come ci dice Longhi:

Il Caravaggio si rivolgeva alla vita intera e senza classi, ai sentimenti semplici e persino all’aspetto feriale degli oggetti, delle cose che valgono, nello specchio, al pari degli uomini , delle “figure”.

Con lui per la prima volta la natura morta acquista un valore in sé e per sé, non solo come elemento decorativo o di contorno in una composizione in cui il ruolo principale è destinato all’uomo. Egli stesso asserì la necessità dello stesso impegno tanto nel dipingere un quadro di figure quanto di fiori. Tra l’altro proprio nel dipinto “canestra di frutta” si può cogliere la portata rivoluzionaria di tale scelta che nemmeno con la raffinatezza e il pregio degli oggetti tenta di innalzare il soggetto, anzi, la protagonista dell’opera è “la cestina comune dell’affittacamere colma di frutta a buon mercato“. Un’aderenza alla prosaicità del reale talmente scrupolosa che non mancano le mele bacate e nemmeno le foglie avvizzite.

“Canestra di frutta” Caravaggio

“Vocazione”: l’incontro col sovrannaturale è causato da “un gioco di luci”

And we shall play a game of chess-pressing lidless eyes and waiting for a knock upon the door

E giocheremo una partita a scacchi, premendoci gli occhi senza palpebre, in attesa che bussino alla porta.

Con questa citazione da The Waste Land (La terra desolata), poemetto del 1922 di T. S. Eliot, Longhi ci descrive il culmine drammatico della scena della “Vocazione di San Matteo“, tratta dai vangeli, del 1599-1600. Il braccio sospeso languidamente da Cristo e inondato di luce che improvvisamente abbaglia i personaggi al tavolo da gioco ha il sapore di un incontro predeterminato.  Occhi senza palpebre, allucinati e insaziabilmente esasperati dalla brama del gioco d’azzardo, di pubblicani che senza saperlo stanno aspettando che il destino bussi alla porta della loro esistenza. La luce è la chiave di tutto, la causa dei fatti, una luce che rivela ciò che solo un secondo prima era occultato nelle tenebre. È l’incidenza di questa che conferisce fatalità al gesto, segno che all’uso dello specchio il pittore aveva sostituito quello della “camera oscura“, una stanza dalle pareti scure illuminata da una sola luce artificiale. San Matteo e i suoi compagni di gioco sono vestiti con abiti alla moda del tempo di Caravaggio mentre Gesù e San Pietro indossano i panni poveri propri della loro epoca lontana e non portano calzari, il tutto a sottolineare l’irruzione dell’eterno nella quotidianità. Roberto Longhi si sofferma sul modo in cui la luce evidenzia psicologicamente uno ad uno i personaggi presenti:

Sospende nell’aria greve la mano del Cristo mentre l’ombra corrode il suo sguardo cavo; striscia sulle piume, si intride nelle guance, si specchia nelle sete dei giocatorelli; sosta su Matteo mentre, raddoppiando ancora con la destra la puntata, addita se stesso, quasi chiedesse: “Vuol me?” (…); spiuma confusamente le canizie del vecchio importuno in occhiali; per ultimo, fruga viso e spalle del giocatore a capotavola che vorrebbe immergersi nell’ombra lurida della propria perplessità.

“Vocazione di San Matteo” Caravaggio

“La morte della Vergine” quadro scandaloso rifiutato dalla committenza

Questo quadro era destinato alla cappella Cherubini nella chiesa di Santa Maria della Scala in Trastevere a Roma, ma fu brutalmente rifiutato dalla committenza al quale risultava sospetto, per non dire eretico. Mai prima d’ora qualcuno aveva osato raffigurare la Vergine in quel modo indecoroso e scandaloso. Una donna scarmigliata, dal pallore cadaverico, scomposta, col ventre gonfio e i piedi nudi protesi verso l’osservatore. Sembra di più la scena in cui si piange la morte di una popolana del rione e non della madre di Dio. L’evidenza della visione già era sufficiente per ritenere indecente il dipinto alla quale si aggiungeva la diceria che il pittore avesse fatto portare il cadavere di una prostituta annegata nel Tevere da utilizzare come modello per la Madonna deceduta. C’è troppa verità, “naturalismo” in quest’opera, tendenza che già si era manifestata anche in altri soggetti sacri come la “Maddalena”, che è più una “ciociarella” piangente per il tradimento dell’innamorato che la Santa penitente del Vangelo. Ancora una volta è la luce la vera protagonista del capolavoro come ci comunica l’autore:

Ma l’angoscia di questi astanti sembra prender senso e autorità infinita dal chiarore devastante che, irrompendo da sinistra nella cerchia di colori già stranamente fiammanti e pur combattendo con tutte le specie dell’ombra, sosta per un attimo sul viso arrovesciato della Madonna morta, sulle calvizie lunate, sui colli pulsanti, sulle mani disfatte degli apostoli; fende di traverso il viso dolente di Giovanni; fa della Maddalena seduta in pianto un solo massello luminoso; della sua mano sul ginocchio un grumo solo di luce rappresa.

“Morte della Vergine” Caravaggio

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