Striscia vs Giovanna Botteri: quali sono i danni degli stereotipi di genere in tv?

Una giornalista di indubbio valore al centro, suo malgrado, dell’attenzione dei media. Perché? Per la sua acconciatura, i suoi abiti, il trucco… le solite cose da donna, insomma.

Giovanna Botteri vanta una carriera giornalistica decisamente di tutto rispetto. Da anni, come reporter internazionale per la Rai, racconta il mondo con passione e dedizione, aprendo il nostro sguardo su realtà lontane e spesso difficili. Ora si trova a Pechino per fornirci aggiornamenti quotidiani sullo sviluppo della pandemia, ma negli ultimi giorni il collegamento con l’Italia si è concentrato su ben altri discorsi.

Lustro e onore ci darai

La puntata del 28 aprile di Striscia la Notizia l’ha chiamata in causa, per smentire gli accaniti del web che sui social hanno sentenziato la sciatteria dell’inviata Rai. Il servizio sottolinea che nell’edizione del tg di qualche sera prima, eccezionalmente, la Botteri era tirata a lucido, truccata e con una messa in piega a regola d’arte. Il conseguente sollevarsi di un polverone di polemiche era alquanto prevedibile. Subito Michelle Hunziker ci ha tenuto a precisare che assolutamente non si è trattato di body shaming: il servizio pullulava di complimenti rivolti alla Botteri, all’outfit, al trucco e al parrucco, alla sua coraggiosa noncuranza per l’aspetto esteriore. Ma, il punto è: era così necessario mettersi a parlare del look della giornalista? Perché, certo, questo caso è abbastanza lontano dal body shaming, ma quanto lo è da una ben più grave oggettivazione?

Considerare le donne più per come appaiono che per quello che dicono è frutto di uno stereotipo di genere innestatosi nel cervello umano da dio solo sa quanto. I media, dal canto loro, non fanno che alimentare le false credenze su come le donne debbano essere rappresentate, semplicemente perché cercano di accontentare un pubblico già nel turbine di questo circolo vizioso. La televisione ci vuole belle, giovani, magre, perfette anche quando non facciamo le veline. Per quanto il taglio umoristico di Striscia la Notizia possa aver professato le sue migliori intenzioni celebrative nei confronti della giornalista, puntando i riflettori sul suo aspetto fisico ha innescato un processo irreversibile a danno della sua immagine. La dimensione del corpo ha avuto la meglio su quelle della personalità e del pensiero della giornalista, e questo concetto è passato anche ai telespettatori. Quali sono le conseguenze di una tale, seppur non intenzionale, oggettivazione?

I guai dentro e fuori

A livello intrapersonale, le donne percepiscono la pressione dello stereotipo e del modello inarrivabile di perfezione trasmesso dai media, che le porta a considerarsi loro stesse come oggetto e a investire molte delle loro energie per cercare di abbellirsi. Com’è tristemente noto, questa insoddisfazione cronica può avere risvolti estremamente negativi e causare depressione e disturbi alimentari. A livello sociale, quando una donna viene percepita in funzione della sua esteriorità le si attribuisce una minor competenza e abilità per certe professioni comunemente considerate maschili. Nell’analisi più approfondita di una concezione preponderante del corpo, alle donne oggettivate (soprattutto sessualmente) viene tolta inevitabilmente una componente interiore di moralità, di emozioni e umanità che in qualche modo legittima la violenza di genere, perché si priva la vittima della capacità di soffrire. Ed ecco che si fatica a riconoscere le donne in posizioni apicali di potere, lo si percepisce innaturale. Ecco che ci si abitua all’idea insensata che la donna abbia lo scopo decorativo di un soprammobile e che il suo ruolo di invisibilità sia chiaramente prestabilito all’interno della società.

Eziologia di una pessima idea

Il partorimento dello stereotipo di genere come frutto dell’immaginario collettivo risulta probabilmente parallelo alla comparsa dell’homo sapiens. Ciò che ancora oggi continua a nutrire questo parassita del pensiero umano è banalmente sotto gli occhi di tutti. Fin dalla primissima infanzia, la stragrande maggioranza dei film Disney ci insegna che i buoni sono belli e magri e che i cattivi sono brutti, vecchi, o grassi (o tutte e tre le cose). Le principesse in difficoltà quasi sempre hanno bisogno di un baldo giovine che venga in loro soccorso o di fenomeni paranormali e oggetti incredibilmente magici per dare un qualche senso alla loro schifosa vita. Da grande fan dei cartoni animati, mi costa un’enorme sofferenza ammettere questo fatto. Per non parlare dei giocattoli e di come vengono pubblicizzati. È verificato da recenti studi che già a tre anni le bambine interiorizzano l’importanza che la società attribuisce alla bellezza esteriore nell’universo femminile.

Con il passare degli anni, è sufficiente accendere la televisione per rendersene conto. Il monitoraggio Rai del 2018 conferma l’evidenza. L’età media degli uomini è superiore ai 40 anni, mentre quella delle donne oscilla tra i 20 e i 30. La presenza di figure femminili esperte nei diversi ambiti di competenza vede il 38,4% di donne per società e giustizia, il 35,4% per scienza e salute, il 28,9% per l’economia, il 26,8% per la politica. Ovviamente sul tema bellezza, invece, le donne sono molto presenti. Molta dell’influenza sulla rappresentazione dei ruoli femminili deriva anche da come vengono dipinte le donne nelle testate giornalistiche. Come è ovvio pensare, spesso questi ritratti sono ricchi di allusioni all’aspetto fisico, di sessismo benevolo mascherato da complimento, di paternalismo falsamente cordiale. “La bellissima ministra a rilasciato la seguente dichiarazione…”, “… Samantha Cristoforetti è tornata alla madre terra, tra le braccia di omoni russi che la coccolavano…”, “Stupratore assolto perché lei indossava un tanga troppo sexy”.

La risposta della Botteri, sulla scia di questi fatti, invita ad una riflessione critica:

“Qui a Pechino sono sintonizzata sulla BBC, considerata una delle migliori e più affidabili televisioni del mondo. Le sue giornaliste sono giovani e vecchie, bianche, marroni, gialle e nere. Belle e brutte, magre o ciccione. Con le rughe, culi, nasi orecchie grossi. Ce n’è una che fa le previsioni senza una parte del braccio. E nessuno fiata, nessuno dice niente, a casa ascoltano semplicemente quello che dicono”.

Ma riflettere non basta, non è mai bastato. Tutta questa polemica sarà ancora una volta fiato sprecato. Conviviamo con questo cancro da troppo tempo e solo da pochi decenni si sta cercando una cura. Ma dal guarire le differenze nei diritti, e da moltissime altre cose, l’Italia è ancora lontana.

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