Il mio Io Lirico (leggasi ego), mi porta spesso, se non sempre, a scrivere di temi saggiati sulla mia pelle. Si dia il caso che ieri sera, per la prima volta, abbia assistito ad un’esibizione di StandUp Comedy, nel locale Zog di Milano. Accompagnavo un amico, Alessandro Berti, che si sarebbe dovuto esibire insieme ad altri undici comedians. Tra una risata e l’altra, la mia deformazione professionale mi ha fatto notare che quelle battute tanto irriverenti, avevano qualcosa di letterariamente notevole e che non mi suonava nuovo. Prima di entrare nel merito della questione, lasciatemi però istruire i neofiti come me su cosa sia la StandUp Comedy.
StandUp Comedy, la comicità degli eccessi
Vorrei potervi definire la StandUp Comedy rimandandovi ad un link di Wikipedia o di qualsiasi sito di approfondimento sul tema, ma trovare qualcosa a riguardo nel web italiano è davvero difficile. Posso darvi però un po’ di storia del genere e spiegarvi cosa la StandUp Comedy non è. Si tratta di un genere comico, una tipologia di cabaret, inventato negli Stati Uniti d’America da Lenny Bruce, negli anni ’50, e che fa abbondante uso di satira, linguaggio volgare e tematiche tabù. Nonostante la fortuna che il genere ebbe oltreoceano fin dagli anni ’60, grazie a comedians come George Carlin e Bill Hicks, in Italia la StandUp Comedy esiste solo da un decennio.
La StandUp Comedy ha come unica vera regola canonica la presenza di un comedian e di un microfono. Questi gli unici elementi obbligatori. Il pezzo può essere poi strutturato in un monologo oppure in una serie di battute secche sconnesse tra loro. Uno dei temi classici della StandUp Comedy è la satira politica e sociale, ma Crozza non è un comedian. Tipicamente il monologo di un comedian è incentrato sulle disavventure dell’autore, ma Pintus non fa StandUp Comedy. Giorgio Montanini, di cui un video sopra e qui un’intervista, è un comedian. Ciò che distingue questo genere dalla comicità classica è il peso dato alla parola tabù, al tema intoccabile, al soggetto innominabile. Famosissimo ad esempio il monologo di Lenny Bruce “C’è qualche negro in sala stasera?”, in cui la ripetizione continua della parola razzista, offensiva, “negro”, comportava la sua perdita di significato. Svuotare del proprio valore una parola offensiva, è il primo passo per demolire un’idea offensiva.
Nella StandUp Comedy non esiste quarta parete, il comico non ha maschere, è se stesso con il pubblico. La risata non è il fine dell’esibizione, ma il suo mezzo. Tramite la risata viene veicolato un pensiero, un contenuto, spesso un ritratto amaro della realtà contemporanea.
Giorgio Montanini come Marziale
“[il comico, tra gli artisti, è] il più disperato, perché vive nel suo abisso, da dove emerge solo quando sale sul palco e può schiaffarvi in faccia la sua tragedia. “
Queste le parole di Giorgio Montanini, uno dei più importanti comedian italiani, in apertura ad un suo monologo. Ho letto queste sue parole e il presentimento avuto ieri sera mi si è ripresentato. Il linguaggio dissacrante dei comedian è vicinissimo a quello dei poetae novi o neoteroi della tarda Repubblica Romana e ancor più, nelle sue accezioni polemiche, alla poetica di Marziale. I neoteroi, di cui un nome certo conosciuto è Catullo, componevano in versi, trattando di tematiche molto vicine alla popolarità, spesso con toni estremizzati. Si raccontavano gli effetti del vino, si parlava di eros, non senza sfociare nella pornografia, e ci si abbandonava all’invettiva personale. Il turpiloquio era la spada tramite cui il poeta affondava l’esistenza. Nella StandUp Comedy, la parola-tabù ha il medesimo scopo, ma ha in più delle implicazioni sociali ben precise. Come per Marziale e a differenza dei neoteroi, il comedian utilizza infatti la narrazione degli eccessi per dipingere uno Stato decadente. Non c’è quasi mai nella StandUp Comedy la volontà di migliorare la società grazie al proprio testo. Quello che il comedian fa è, piuttosto, proprio come fa Marziale, raccontare con tragica ironia un mondo deteriorato, senza valori.
Non vi è alcun intento morale o moraleggiante, né in Marziale né nel nostro Giorgio Montanini. Il linguaggio dissacrante è in entrambi il linguaggio della rassegnazione, la reazione letteraria alla inarrestabile decadenza di una civiltà. L’alternanza tra tragicità e comicità percorre tanto l’autore latino quanto il comedian italiano, rendendoli, se non lontani fratelli di spirito, quantomeno di penna. Va forse detto, che il comune esito artistico tra la civiltà romana e quella occidentale, dovrebbe farci riflettere sulla fine alla quale forse stiamo andando in contro.
Non voglio però chiudere l’articolo come un pezzo di StandUp Comedy, ossia con un accenno di sincera amarezza. Vi lascio perciò con un motto di Marziale, che forse i comici, ed i comedian in particolare, dovrebbero iniziare a studiare, per coglierne qualche spunto.
“Se la fama giunge solo dopo la morte, che aspetti?“