“Spes contra spem” ci racconta il disagio del carcere duro in Italia

Ergastolo ostativo e carcere duro: da anni, queste sono le parole chiave per detenuti mafiosi e implicati nel terrorismo. Ma se fossero trattamenti inumani?Non è neanche da dire: sappiamo tutti che il sistema penitenziario è, per usare un gentile eufemismo, da riformare. Già nel 1995, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ci ha bacchettati, dopo un sopralluogo in alcune carceri. La condanna, però, è scattata solo nel 2013, con la tristemente celebre sentenza Torreggiani: i detenuti del Bel Paese subiscono, ogni giorno, un trattamento inumano e non dignitoso. Tutto ciò ha portato a poche migliorie, ma, almeno, ci ha regalato la legge contro il reato di tortura, nel 2017. Ma se esistessero delle forme legittimate di tortura ancora oggi? Vediamolo con “Spes contra spem“.

Spes contra spem” mette a nudo l’ergastolo ostativo

E’ del 2016 il docufilm “Spes contra spem – Liberi dentro“, presentato per la prima volta alla 73esima Biennale del Cinema di Venezia. Il tema è particolarmente ostico, nonché oggetto di vero e proprio dibattito pubblico: l’ergastolo ostativo. Sancito dall’articolo 4 bis del codice penale, è la massima punizione prevista dall’ordinamento italiano. La sua particolarità, infatti, è che consiste nella detenzione a vita, senza possibilità né di modifiche, né di accedere a benefici penitenziari. Il film è costruito intorno alle interviste di alcuni condannati al fine pena mai: prevalgono rassegnazione, colpa, ma anche speranza. Possiamo, ancora oggi, avvalerci di penalità così pesanti per il reo?

Storia e vicissitudini del 41 bis

Nel nostro codice penale, esiste, oltre al 4 bis, anche un altro articolo particolarmente discusso e pesante: parliamo del famoso 41 bis, meglio conosciuto come il carcere duro. Alla sua nascita, doveva essere riservato esclusivamente alla gestione immediata di un’emergenza nel penitenziario, giusto per dare il tempo al personale di sorveglianza di ripristinare l’ordine e la sicurezza. Dopo la strage di Capaci, però, questo articolo assume un valore e una forza che ancora oggi mantiene: come già detto, viene usato, attualmente, per reati legati al terrorismo e alla criminalità organizzata. Nel 1995, sia la CEDU, che Amnesty International si sono dichiarati contrari a tale pena, che, oltre ad essere inumana, porta i sottoposti a una situazione di possibile infermità mentale: è una tortura legittimata dal sistema giuridico italiano.

L’articolo 41 bis: il carcere duro

L’applicazione dell’art. 41 bis al regime detentivo porta a una grave limitazione dei diritti del carcerato, con la sospensione di garanzie e di istituti comportamentali. Queste restrizioni vengono prese, fondamentalmente, per evitare la comunicazione e il passaggio di informazioni fra l’esterno e il penitenziario. Per esempio, il detenuto vive in una condizione di isolamento totale e di sorveglianza costante, in ali specifiche e riservate del carcere. E’ ammesso un solo colloquio al mese con i familiari, separati, però, da un vetro per tutta la durata della visita; la cadenza è mensile anche per le telefonate, che devono effettuate, da parte della famiglia, dal carcere più vicino (il tutto viene video-registrato). La posta viene controllata, sia in entrata, che in uscita; non sono ammessi libri, giornali e penne, così da evitare eventuali messaggi tra il territorio e il detenuto. E’ ammessa un’ora d’aria al giorno, in un cortile interno, da passare insieme a un altro condannato con il 41 bis. E, rullo di tamburi, non è prevista nessuna attività trattamentale, che siano corsi di formazione, o aiuto psicologico. A voi la parola: misure di sicurezza necessarie o forme di tortura legale?

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