11.000 coppie “rompono” dopo il suo show: Daniel Sloss infrange il vero amore. Il vostro reggerà la sfida?

«Quando avevo sette anni mio ​​padre mi disse qualcosa che, ancora oggi, è il motivo per cui morirò da solo. Molto felicemente, aggiungerei. Ma avevo sette anni, non sapevo cosa fosse la vita o l’amore. Non sapevo cosa fosse l’esistenza, come avrei potuto? Quindi ho pensato di chiedere a mio padre una cosa del tipo: ‘papà, che cosa ci facciamo tutti qui?’. E lui rispose: ‘immagina la tua vita, la mia vita e la vita di chiunque altro come se fosse un puzzle personale’.»

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Credit: IMDb

È con queste parole che si apre uno dei più noti monologhi del comico scozzese Daniel Sloss, soli 28 anni, di cui nove trascorsi sul palco come unico protagonista dei suoi irriverenti e spesso “politicamente scorretti” show, nonché giovanissima promessa della stand-up comedy mondiale. Dopo aver conquistato le risate del pubblico con il suo odio teatrale per i vegani ed aver suscitato le reazioni più disparate raccontando con spensieratezza della morte della sorella minore, Sloss torna questa volta sotto l’occhio di bue con un tema tutt’altro che leggero, scardinando l’idea che una performance comica debba esclusivamente far ridere. Anzi, a dirla tutta, la maggior parte degli spettatori reduci dal suo show “Puzzle” – dedicato alle relazioni amorose – si sono infatti ritrovati in lacrime, sommandosi al tragico conteggio di “vittime” che dalla sua prima, nel 2016, ha lasciato dietro di sé 11.000 rotture, 48 fidanzamenti annullati e 59 divorzi.

«Mentre viviamo, lentamente aggiungiamo un pezzo dopo l’altro, sulla base delle esperienze e delle lezioni che abbiamo imparato, fino a quando non abbiamo ottenuto la perfetta immagine finale del nostro puzzle completo» prosegue Sloss con fare sardonico di fronte alla platea. «Ma il problema è che tutti abbiamo perso la scatola del nostro puzzle, quindi in realtà nessuno di noi sa quale sia l’immagine finale e tutto quello che facciamo durante la nostra vita è tirare ad indovinare. Dunque, il modo migliore per costruire senza l’immagine da seguire è quello di iniziare dall’esterno, dai lati e dai quattro angoli: famiglia, amici, hobby e lavoro. Ovviamente nel corso della vostra esistenza questi quattro elementi saranno soggetti a modifiche: a volte vi farete nuovi amici e perderete i contatti con quelli vecchi, quindi dovrete spostare questo angolo un po’ più in là. A volte avrete un lavoro che non vi permetterà di proseguire un certo hobby, e sarete costretti a spostare altri pezzi. A volte un vostro familiare potrebbe morire lasciando un grosso buco nella vostra vita, e in quel momento dovrete trovare un modo per riempire quel vuoto»

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Credit: Vox

«Per me il discorso di mio padre aveva perfettamente senso, perché avevo sette anni e adoravo i puzzle!» prosegue ridendo lo scozzese. «Ma mi restava una domanda a quel punto: una volta che hai completato la cornice esterna del puzzle, quale sarà la parte centrale e principale dell’immagine? E a quel punto lui mi disse: ‘Ebbene, questo è il pezzo del partner: una persona perfetta che non hai mai incontrato prima e che sbucherà fuori dal nulla, completandoti e rendendoti integro per la prima volta nella tua vita, proprio come tua madre ha fatto con me’. Sette anni. Avevo sette anni. Avrei voluto che rispondesse semplicemente ‘gelato!’ e tutti noi saremmo potuti andare a casa felici».

L’eredità amorosa famigliare

Fin qua il monologo del comico scozzese non sembra niente di così pericoloso: anzi, si limita a raccontare al pubblico un simpatico aneddoto tra lui ed il padre. Eppure, implicitamente, garantisce il nulla osta ad uno dei temi maggiormente trattati nell’ambito della psicodinamica delle relazioni familiari, ovvero l’importanza dell’impronta genitoriale nella costruzione della nostra idea di amore. Dal punto di vista individuale, infatti, ognuno di noi crescendo sviluppa delle rappresentazioni co-presenti e legate ad un’attitudine verso la relazione, la quale non è congenita ma, piuttosto, strutturata anche e soprattutto attraverso la propria rete famigliare d’origine. Tra queste rappresentazioni, una delle più importanti riguarda l’immagine di sé come partner percepita dall’individuo, la quale non coincide necessariamente con la rappresentazione che abbiamo di noi stessi come individui. Se un adolescente in passato ha sperimentato rappresentazioni negative del rapporto di coppia dei propri genitori (come una smisurata gelosia o una totale mancanza di fiducia), in futuro potrebbe mettere in atto meccanismi disfunzionali che solo un partner con un’ottima rappresentazione di sé sarebbe in grado di disinnescare: per riallacciarci all’esempio sopracitato, sarebbe quindi utile che l’altra faccia della coppia fosse una persona capace di comprendere come tale gelosia strumentale e manipolatoria non sia nient’altro che un meccanismo di difesa, e altrettanto in grado di restituire al partner insicuro significati comportamentali e simbolici che lo aiutino a superare questa matrice disfunzionale.

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Credit: GdS

Anche se la metafora usata dal padre potrebbe sembrare dolce, quello che il cervello da bambino di sette anni di Daniel ha tradotto è stato esclusivamente: “se non sei con qualcuno, sei rotto, difettoso o non intero”. Se pensiamo a questo concetto con uno sguardo più ampio, ci renderemo inoltre conto che esso non è solo il punto di vista di un padre di famiglia come tanti altri, ma piuttosto il leitmotiv tramandato da un’intera società che – da quarant’anni a questa parte – ci insegna che “nessun uomo è un’isola” e da soli siamo incompleti.

«Quando ci crescono in quel mondo, dove ogni cosa mira all’amore, nel momento in cui noi tutti diventiamo adulti siamo così terrorizzati che inevitabilmente alcuni finiranno col scegliere la persona sbagliata, il pezzo errato e si limiteranno a ficcarlo con la forza al centro del proprio puzzle, negando che chiaramente non ci sta. Inizieremo quindi a fare di tutto per convincerci che sia il pezzo giusto, butteremo via altri tasselli, rinunceremo a questo hobby, a quest’altra opinione, a questo amico che ci aveva detto che ci sbagliavamo. Forzeremo questa fottuta persona nella nostra vita perché preferiremmo avere qualcosa di non adatto piuttosto che non avere niente».

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Credit: LezPop

L’amore dura solo tre mesi

«Forse è possibile incontrare la persona perfetta, ma ogni relazione è perfetta per tre mesi. Ed ecco spiegato perché: dopo tre mesi ti rendi conto che nessuna persona è un pezzo di puzzle e che qualsiasi altro essere umano su questo pianeta è tanto profondo e complesso quanto lo sei tu, il che significa che anche lui ha passato gli ultimi 20 anni della sua vita a lavorare sul suo puzzle personale esattamente come hai fatto tu con il tuo. E non puoi aspettarti che da un momento all’altro abbandoni tutto ciò che ha costruito per entrare nel tuo puzzle, perché anche tu ti arrabbieresti se ti chiedessero di sacrificare tutto ciò che hai fatto per completare il disegno di un altro». A quel punto qualcuno del pubblico iniziava già a guardarsi nervosamente in giro. «Poi accade che dopo cinque o più anni con qualcuno ti ritrovi a guardare il vostro puzzle e ti rendi conto che entrambi state lavorando su immagini molto diverse. E in quel momento, ti rendi conto di avere davanti una domanda molto difficile da chiedere a te stesso: sono pronto ad ammettere che gli ultimi cinque anni della mia vita sono stati uno spreco? E sono pronto a sprecare il resto della mia vita?».

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Credit: Cinematographe.it

Sì, lo so: a questo punto manca solo una canzone di Adele e una lametta, ma per i cuori più resistenti queste obiezioni non sono sufficienti a mettere in crisi il vero amore. Come cantava una delle coppie più amate della Canzone italiana, infatti, in una relazione spesso e volentieri si attua una vera e propria “costruzione di un amore”, fatta di compromessi, passi indietro, rinunce e accordi silenziosi. Il tutto in nome di quell’amore sudato, florido i sacrifici e di impegno che ci hanno insegnato a ricercare, motivati dallo slogan “se non ti fa soffrire, allora non è vero amore”. Eppure, la disincantata visione di Sloss ha una risposta anche per questo, quindi preparate i fazzoletti.

«Il 55% dei matrimoni termina con il divorzio e il 99% delle relazioni avviate prima dei trent’anni finiscono: se queste statistiche riguardassero un intervento chirurgico, nessuno di noi rischierebbe di sottoporvisi. Ma la nostra generazione è diventata così ossessionata dall’idea di iniziare il resto della propria vita, da essere disposta a rinunciare a ciò che vive attualmente. Abbiamo romanticizzato l’idea di romanticismo e questo è cancerogeno. Le persone sono più innamorate dell’idea di amore piuttosto che della persona con cui stanno. Io sono dell’opinione che se non ami il 100% della persona che sono, allora non mi ami. Tu ami un’idea di me, che hai falsamente fabbricato nella tua testa, e non è colpa mia se non sono all’altezza di quelle aspettative. Devi amare il 100% di me, perché questo è ciò che mi rende ciò che sono. E perché io amerò sempre il 100% di te, anche i pezzi che mi infastidiscono. Ma soprattutto, dovete imparare ad amare voi stessi prima di permettere a qualcun altro di farlo. Se ti ami solo al 20%, significa che appena qualcuno arriverà e ti amerà al ​​30% allora ti ritroverai a pensare ‘wow, è tantissimo!’. Se invece ti ami al 100%, la persona che si innamorerà di te dovrà davvero impegnarsi per farti sentire speciale».

L’amore ai tempi di Fairbairn, tra libido e inconscio

A dare una possibile spiegazione psicologica del perché effettivamente ci accontentiamo di quel misero 30% fu William Faribairn, connazionale di Sloss e noto psicoanalista del ‘900. Egli infatti, nella sua teoria dedicata al cosiddetto “Io centrale” di ogni individuo, postulò l’esistenza di due istanze contrapposte e in lotta continua tra loro. Immaginiamo di avere davanti una coppia in cui uno dei due partner viene costantemente sminuito e criticato dall’altro e – nonostante questo – si rifiuta categoricamente di abbandonare quella relazione nociva. Secondo Fairbairn, questo dipende dall’azione da un lato di un Io antilibidico (o sabotatore interno) che colpevolizza l’individuo facendogli credere di essere debole, inutile ed incapace come afferma il partner. L’individuo vorrebbe fuggire da questa colpevolizzazione continua ed abbandonare la coppia, ma, dall’altro lato, l’azione di una seconda istanza nota come Io libidico lo blocca: esso infatti stimola nell’inconscio dell’individuo l’ingenua speranza che le cose cambieranno, che quella storia maturerà e che i desideri sognati dalla vittima della relazione disfunzionale potranno essere gratificati prima o poi. È facile osservare come, nelle situazioni più estreme, questo tipo di ragionamento involontario stia alla base di relazioni di violenza domestica, sia fisica che psicologica.

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Credit: Lifestyleblog.it

Ma se quindi il nostro destino è quello di essere “in coppia”, allora qualsiasi relazione ci porterà inevitabilmente ad ammettere compromessi nocivi per la nostra persona se vogliamo felicemente concludere il nostro puzzle?
, secondo Daniel Sloss. Ma solo nel caso in cui il pezzo mancante tanto bramato – a differenza di ciò che pensavamo – non abbia niente a che fare con l’amore.

La legge del “quando avrai la mia età, capirai”

«Mio padre diceva che il centro del mio puzzle dovrebbe essere un partner, ma perché allora sono più felice quando sono da solo? Ci ho messo un po’, ma alla fine ho capito qual è quell’unica cosa su cui mio padre si era sbagliato nel suo modo adorabile di raccontare questa metafora. Lui disse che il centro del puzzle riguarda il “pezzo del partner”, ma in realtà esso rappresenta la felicità, il centro della propria vita attorno al quale tutto il resto si inserirà spontaneamente. Solo che per mio padre il fulcro di quella felicità era mia madre. Per me, come per molti altri, non è così. Capisco che ci saranno un sacco di persone un po’ più anziane che – ascoltando un ventottenne che spara opinioni sull’amore – staranno pensando: ‘Daniel, sei così giovane. Sei così ingenuo e cinico. Lo so, Daniel, perché pensavo le stesse cose quando avevo la tua età. Ma poi ho incontrato questa persona e siamo insieme da allora. È stato un duro lavoro, abbiamo dovuto faticare, ma alla fine ne è valsa la pena. E capisco che tu ti senta così, Daniel, ma un giorno troverai il vero amore e non vedo l’ora che accada anche per te’».

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Credit: TV Guide

«Ecco la mia risposta: spero che tu abbia ragione, davvero. Perché voglio essere un marito e un papà più di ogni altra cosa al mondo. Ma soprattutto perché suppongo che se tu non dovessi avere ragione, se tu ti sbagliassi, l’unica spiegazione è che quando avevi la mia età eri così terrorizzato dall’idea di essere solo, da costringere te stesso ad amare qualcuno».

Francesca Amato

 

 

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