Il Bardo immortale, dopo un’attenta lettura della “Vita di Cesare” di Plutarco, mette in scena una delle sue più fortunate tragedie

Nel XVI secolo in Inghilterra, durante il regno della regina Elisabetta I, si parlava ancora di personaggi fondamentali nella vita repubblicana romana come se questi fossero protagonisti di fatti di attualità, in realtà questi non partecipavano alla politica elisabettiana, ma erano protagonisti a teatro nelle tragedie messe in scena da William Shakespeare. Infatti il bardo amava rappresentare momenti della storia politica dell’Antica Roma, spesso allegando nell’opera un’allegoria riguardante i vizi e gli eccessi del potere, come succede nei drammi: Antonio e Cleopatra, Coriolano, Tito Andronico e appunto, Giulio Cesare. La vera domanda è: da quale fonte storica attingeva le informazioni Shakespeare? Dai dettagli presenti nelle sue tragedie sappiamo che ha studiato le Vite Parallele di Plutarco e le Vite dei Cesari di Svetonio.
Vita di Cesare

La vita di Gaio Giulio Cesare, secondo Plutarco, è una minaccia per la decadente Repubblica Romana fin dalla giovinezza, lo stesso Silla affermava di vedere in Cesare molti Mario. Infatti Cesare vantava di appartenere ad una stirpe gloriosa che discendeva addirittura da Venere, secondo la leggenda; purtroppo però, la gioventù di Cesare è travagliata in quanto si trova a dover lasciare la patria e nascondersi in vari punti del Mediterraneo a causa della vittoria di Silla su suo zio Gaio Mario. Uno spiraglio di possibilità si apre a Cesare quando Roma è divisa tra le forze di Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso, in questa situazione Cesare vede un’opportunità per acquisire gravitas (potere) in Senato. Così propone alle parti di riconciliarsi per il bene della repubblica e formare un triumvirato con lui, che avrà il ruolo di console per far approvare le leggi dei triumviri dal Senato, e in più ottenere il proconsolato della Gallia Cisalpina. Questa richiesta sarà ciò che lo porterà all’apice del successo come conquistatore della Gallia, ma con il prestigio arrivano anche i problemi. Infatti Pompeo, rimasto solo a Roma dopo la morte del triumviro Crasso a Carre, in Persia, deve spartire il potere con Cesare, divenuto potente e temuto a Roma anche se questo si trova nelle foreste della Gallia. Per questo motivo Pompeo, Catone Uticense e gli altri senatori ordinano a Cesare di tornare a Roma e lasciare le sue legioni sul limes al Rubicone, ma il generale non cede alle imposizioni del Senato, e anzi, decide di varcare il Rubicone e marciare in armi su Roma. I senatori e Pompeo, ormai nel panico, abbandonano Roma per rifugiarsi in Grecia e affrontare Cesare a Farsalo, dove le condizioni favoriscono Pompeo di 20 a 1 su Cesare. Nonostante il vantaggio Pompeo perde la battaglia e con essa anche la guerra, per questo cerca rifugio in Egitto dove viene tradito e assassinato. Svetonio riporta che una volta vista la testa decapitata del suo vecchio rivale, Cesare si è messo a piangere, e dopo per vendicare la morte dell’avversario si è alleato con Cleopatra, pretendente al trono d’Egitto, per combattere il faraone Tolomeo XIII. In questa guerra alessandrina Cesare viene messo all’angolo, è assediato nel palazzo reale di Alessandria, rischia anche di annegare nel porto della città, ma anche questa volta ne esce vittorioso ed è pronto a tornare a Roma in trionfo, anche se circondato da nemici interni.
Le Idi di Marzo

La svolta drammatica della vita di Cesare è quella che Shakespeare decide di rappresentare nella tragedia Giulio Cesare. Infatti il dittatore trascorre gli ultimi giorni della sua vita a Roma, ignorando l’opposizione dei congiurati formata da Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, in questo periodo Cesare viene visto come un possibile re di Roma, tant’è che per calmare gli animi della plebe, ordina a Marco Antonio di consegnargli una corona ai Lupercali per poi rifiutarla tre volte davanti gli occhi del popolo. Tuttavia i senatori non sono ancora convinti delle buone intenzioni di Cesare e vogliono agire, ma temono la furia della plebe, così cercano di convincere Bruto a sferrare il colpo mortale a Cesare, visto che proprio un Bruto ha liberato Roma dal giogo dei re. Giocando sul prestigio del nome di Bruto i congiurati riescono a coinvolgerlo e decidono di colpire il dittatore alle Idi di Marzo. Quel giorno fatale si verificarono eventi apocalittici e presagi di un disastro così grave che, Calpurnia, la moglie di Cesare prova a convincerlo a non recarsi alla riunione del Senato, ma il generale viene convinto da Decimo Bruto, un altro congiurato, a presentarsi davanti ai senatori. Così durante la seduta, Cesare viene afferrato da Casca, che sferra il primo colpo, e di seguito tutti i congiurati si accalcano sull’indifeso dittatore pugnalandolo.
Il vero protagonista della Tragedia
Nonostante il titolo dell’opera di Shakespeare, il protagonista della tragedia non è Giulio Cesare, bensì Marco Antonio, che dopo la morte del suo generale chiede a Bruto ed ai congiurati di fare un discorso funebre su Cesare davanti alla plebe. I congiurati ingenuamente concedono questo permesso ad Antonio, che ne approfitta per vendicare il dittatore aizzando la folla contro i cesaricidi (Atto III, scena II). Questo provoca la fuga degli assassini di Cesare in Grecia, dove dovranno affrontare i triumviri Ottaviano, Antonio e Lepido a Filippi. Bruto sapeva che avrebbe dovuto combattere in quel punto, perché il fantasma di Cesare gli aveva annunciato che si sarebbero rivisti a Filippi. E’ qui infatti che avviene la disfatta dei cesaricidi, che messi alle strette si suicidano per non cadere nelle mani del nemico e, ironia della sorte, Shakespeare racconta che il gladio usato per il loro suicidio era ancora sporco del sangue di Cesare, in questo modo il Bardo immortale simbolizza la vendetta.