Per Schopenhauer l’uomo soffre a causa della mancanza di ciò che desidera, mentre nella visione di Pain, il dolore stesso è l’unico modo con cui l’umanità immatura può crescere.
Nel manga di Kishimoto uno dei “villain” più enigmatici e complessi è Pain, una figura le cui sofferenze passate lo hanno elevato a messia di un nuovo mondo ideale, in cui l’uomo deve soffrire (da qui il suo nome) prima di poter giungere a una felicità perenne. In Schopenhauer, invece, il dolore è la riposta alla perenne insoddisfazione del nostro animo, in grado solo di vivere attimi fugaci di felicità ritornando poi nella noia della ricerca di un nuovo desiderio. Cosa accomuna queste due prospettive ?
Schopenhauer e la “voluntas”
Arthur Schopenhauer rappresenta, al fianco del già citato Kierkegaard, una delle più importanti voci contrarie alla supremazia dell’hegelismo della sua epoca. Nato a Danzica, città prussiano-tedesca, nel 1788 fu cresciuto da suo padre, ricco mercante appartenente a una delle famiglie più facoltose della città, con una cultura più cosmopolita possibile in quanto sarebbe stato proprio Arthur a prendere il posto del padre nell’ambiente del commercio. Durante la sua adolescenza fu spesso combattuto riguardo i suoi interessi umanistici, tanto che alla morte del padre si trovò a scegliere tra il mantenere la promessa fatta al genitore o dare una svolta radicale alla sua vita. Il suo travaglio proseguí fino a che non intraprese gli studi di filosofia all’Università di Gottinga dove si interesserà dei classici ma particolarmente di Platone e Kant. Successivamente, a causa delle guerre napoleoniche, si trasferirà a Weimar e nello stesso anno inizierà la stesura della sua tesi di laurea che invierà all’Università di Jena ove conseguirà una laurea in absentia. Il suo iniziale insuccesso in ambito accademico (tenne alcune lezioni di filosofia nella stessa università e durante le stesse ore di Hegel) con la pubblicazione delle sue prime opere, tra cui “Il mondo come volontà e rappresentazione”, subì una svolta con la tarda pubblicazione della “Parerga e paralipomena”, una raccolta delle sue opere minori che ebbe un inaspettato successo. Nel 1860 Schopenhauer manifestò gravi problemi di salute, con difficoltà respiratorie e tachicardia, tanto che si ammalò di polmonite degenerata in pleurite acuta che lo portò alla morte il 21 settembre dello stesso anno. La filosofia di Schopenhauer si presenta come un capovolgimento del sistema hegeliano dove l’idea non è, come afferma Hegel, l’essenza del mondo, non è il trionfo della ragione che torna a sé ma l’essenza del mondo è la volontà di vivere (voluntas), una forza cieca, irrazionale ed eterna. Riprendendo i concetti di fenomeno e noumeno da Kant, egli affermerà che il fenomeno, ossia il mondo così come ci appare, è soggettivo e per questo illusorio ed è coperto, mediante il “Velo di Maya “, nascondendo la realtà in sé, ossia il noumeno. Per Schopenhauer l’uomo intuisce sé stesso in due modi diversi, da una parte come corpo fisico, dall’altra come possessore di una volontà di vivere affermando che proprio questa volontà sia una caratteristica degli esseri viventi, che ci spinge a proseguire la nostra esistenza, manifestandosi nell’uomo come costante bisogno o desiderio. Proprio per l’insoddisfazione di questo desidero viviamo in costante dolore e il piacere rappresenta un passaggio transitorio che viene subito sostituito dalla noia, portando la vita dell’essere umano a una perenne oscillazione (da qui il famoso richiamo all’immagine del pendolo) tra il dolore e la noia, intervallati da brevi attimi di piacere. Le soluzioni che offre Schopenhauer alla condizione umana sono la via estetica(contemplazione dell’arte e in particolare della musica) e la via etica (vivere per l’amore della giustizia e della pietà) che ha al suo culmine nell’ascesi (qui si nota con maggiore chiarezza la vicinanza del filosofo alle filosofie orientali), ossia nella “noluntas” come rinuncia a ogni piacere materiale e fisico seguendo la via del Buddah.
Pain: il dolore come maturazione
Pain, alias Nagato Uzumaki, è uno dei principali antagonisti della seconda parte del manga di Masashi Kishimoto “Naruto” pubblicato dall’ottobre 1999 al novembre 2014, divenuto uno dei manga più famosi di sempre. La figura di Pain è molto complessa, nel flashback delle sue origini ci viene mostrato come inizialmente Nagato, Yahiko e Konan fossero tre orfani di guerra, il primo era dotato di un abilità quasi divina, ossia il “rinnegan” che gli permetterà successivamente di controllare sei diversi corpi (tra cui quello del defunto Yahiko) chiamati appunto “Pain”. Durante la loro infanzia incontrano uno dei personaggi principali nonché futuro maestro del protagonista Jiraiya, il quale deciderà di restare con quei orfani per insegnare loro sia come difendersi sia come spezzare la catena dell’odio che si alimenta durante le guerre (il motto occhio per occhio), con l’idea che Nagato possa essere il ragazzo della profezia che potrà portare finalmente la pace in un mondo in continuo conflitto. Dopo la partenza del maestro i tre ragazzi decisero di fondare l’ “Akatsuki” (tradotta con “Organizzazione Alba”) con lo scopo di difendere gli indifesi e gli oppressi, fino a che un giorno Nagato vide morire il suo amico Yahiko proprio davanti ai suoi occhi, risvegliando il suo vero potere e sterminando chiunque gli si opponesse. A quel punto agli occhi del ragazzo fu tutto chiaro: il mondo non poteva conoscere la pace poiché non conosceva il dolore, unico motore capace di portare alla maturità, che si sarebbe poi concluso con l’ascesa di Pain a nuovo dio, infatti già l’aspetto delle “sei vie” di Pain rappresentano un richiamo alla cristologia, ogni corpo è controllato mediante dei “chiodi” di metallo utilizzati come sonde, richiamo alla crocifissione e alla sofferenza del Cristo.
Le soluzioni al dolore
Se per Schopenhauer il dolore è una condizione costante della vita umana, per Pain l’uomo non ha sofferto o non soffre abbastanza, per questo continua ad uccidere e a desiderare. A ciò andrebbe anche aggiunto che, mentre per il primo ognuno di noi è in grado, mediante le due vie che confluiscono nell’ascesi, per il secondo ciò non è attuabile se non tramite un messia, divenuto tale dopo infiniti dolori, che può condurre l’umanità sino alla pace mediante la sofferenza. Il rimedio finale di Pain si identifica con la creazione di un illusione collettiva (chiamata nell’opera “Tsukuyomi infinito”), una sorta di “Velo di Maya” ulteriore in cui ogni individuo vive nell propria illusione, creando una pace fittizia, in cui la libertà e la realtà vengono sacrificati in nome di un bene superiore. Resta ora da chiedersi se squarciare o meno il velo, se continuare a restare immersi nelle realtà alternative dei social e dei media, nella quale ogni nostro sguardo è indirizzato con sempre più accuratezza e in cui ogni nostro momento di noia possa essere eluso fugacemente oppure accettare la realtà così com’è, nelle sue sofferenze come nelle sue gioie.