Sarebbe possibile capire una lingua aliena? Il linguaggio secondo Arrival e Wittgensetin

Cosa hanno in comune tutti i linguaggi?

Caratteri della lingua aliena dal film Arrival

Se è possibile, come avviene nel film Arrival, comprendere una lingua aliena e, da essa, vedere il mondo con gli stessi occhi di chi la parla, ciò avviene per le proprietà condivise da tutti i linguaggi delineate da Wittgnestein nel suo Tractatus logico-philosophicus.

Alieno che vai, linguaggio che trovi

Immaginate che all’improvviso, da un momento all’altro, un’astronave extraterrestre piombi sulla Terra e che, quasi come se stesse aspettando qualcosa o qualcuno, se ne stia lì, immobile, senza che nulla accada. Una scena in realtà questa già vista decine e decine di volte sul grande e piccolo schermo, di solito poco prima che qualche strano mostro spaziale inizi a fare stragi di umani. Escludendo però i film horror o d’azione a tema fantascientifico, a ben pensare le prime domande che chiunque si farebbe sarebbero: chi sono? Perché sono finiti qui? Che intenzioni hanno? Ma soprattutto: come posso porre loro queste domande e comprendere le loro eventuali risposte?

E’ così che Louise Banks, linguista di fama mondiale, e Ian Donnelly, fisico teorico altrettanto qualificato, i due protagonisti del film Arrival, vengono reclutati per cercare di stabilire una comunicazione con i visitatori spaziali. Dopo aver scartato l’ipotesi avanzata dallo stesso Ian, secondo il quale il miglior strumento per comunicare con qualsiasi civiltà è la matematica, scienza necessaria ed universale, la direzione dell’operazione passa nelle mani di Louise, specialmente quando viene scoperto che gli alieni sono in grado di dialogare attraverso una particolare forma di scrittura. Questa infatti non è espressione dei fonemi della comunicazione orale, ma è composta da caratteri circolari che significano invece concetti specifici, tali che uno solo di essi può esprimere un’intera frase. Attraverso lo studio di questi caratteri diventa così possibile avviare una faticosa traduzione del linguaggio alieno, grazie alla quale Louise, seguendo la teoria linguistica secondo la quale il linguaggio è in grado di influenzare la categorie di pensiero dei parlanti, riesce ad entrare sempre più profondamente in contatto con le creature.

Tuttavia la situazione degenera improvvisamente quando un’alieno sembra ammettere che il loro scopo sia quello di donare agli umani un’arma. Nonostante non sia chiaro se l’alieno faccia riferimento ad un’arma vera e propria o più in generale ad uno strumento, il messaggio allarma diverse nazioni, le quali decidono, in risposta, di porre un’ultimatum agli alieni per abbandonare il pianeta prima di aprire definitivamente il conflitto. Un ultimo e disperato tentativo da parte di Louise di mettersi in contatto con gli extraterrestri permette però di rivelare la vera natura del loro piano: l’ “arma” portata in dono agli uomini, i quali a loro volta tra 3000 anni ricambieranno il favore, sarebbe il linguaggio alieno stesso, attraverso il quale essi, “riprogrammando” la loro mente sulla scorta di nuove categorie concettuali, diventerebbero in grado di vivere in un tempo non più lineare, ma circolare. E’ così che Louise, che ormai possiede una buona padronanza della lingua e può già in parte inserirsi in un siffatto tempo, attraverso visioni di un futuro in realtà già trascorso, riesce a dissuadere le nazioni in procinto di dichiarare la guerra. Solo a questo punto capiamo come l’inzio e la fine del film coincidano, a dimostrazione del fatto che ormai Louise abbia fatto proprio, in un verto senso, il mondo degli alieni.

L. Wittgenstein

Il linguaggio come immagine del mondo

Wittgenstein, filosofo austriaco tra i più importanti del XX secolo, fornisce una giustificazione teorica a quanto vediamo accadere in Arrival. Egli infatti, nel suo celebre Tractatus logico-philosophicus, cercando di definire le proprietà di un linguaggio formale perfetto, ripulito dalle impurità e dalle ambiguità tipiche di tutte le lingue naturali, quelle che normalmente usiamo per comunicare, propone in realtà una teoria sulla natura del linguaggio, comune a tutte le lingue possibili.

Per spiegare che cosa sia, nella sua forma più pura, il linguaggio, Wittgenstein racconta di aver preso spunto da un episodio svoltosi in un tribunale, dove per ricostruire le dinamiche di un incidente automobilistico vengono usati dei modellini: ogni modellino di automobile rappresenta una delle automobili reali e la disposizione dei modellini sta per le disposizioni delle automobili reali durante l’incidente, in modo tale che ognuno, conoscendo il “significato” dei modellini e dei loro rapporti, comprenda la corrispondente situazione rappresentata. Allo stesso modo, ogni possibile linguaggio opera secondo le stesse modalità del modellino: tutte le parole, indicando qualcosa di reale, hanno un significato, e il loro modo di interagire e relazionarsi secondo determinate regole permette di rappresentare situazioni (stati di cose, come direbbe Wittgenstein) più o meno complesse, così che al parlante risulta sufficiente conoscere il significato delle parole e le regole grammaticali per comprendere il significato di una proposizione. E’ in questo senso che il filosofo afferma che comprendere una frase vuol dire sapere come è il mondo qualora la frase stessa risulti vera e che le proposizioni non sono altro che un’immagine, un modello della realtà (anche se certamente ad un livello più puro ed astratto rispetto all’esempio dell’incidente automobilistico). Infatti, sebbene la comprensione di una frase non implichi riconoscere quest’ultima come vera a priori (solo verificando attraverso l’esperienza ciò è possibile) e dunque la conoscenza del linguaggio non comporti una conoscenza degli avvenimenti che realmente accadono, la capacità di riconoscere il significato di una proposizione correttamente formulata ci permette di costruire un insieme di composizioni che nel loro complesso sono in grado di rappresentare tutte le situazioni e i fatto logicamente possibili e realizzabili, la sommatoria delle quali costituisce, secondo la definizione del Tractatus, il mondo.

Le nozioni di linguaggio e di mondo vengono così fortemente accostate, tanto che Wittgenstein non si accontenta di dire che i limiti del linguaggio sono i limiti del mondo stesso (in quanto ciò che non può essere detto, coerentemente con quanto espresso sopra, corrisponde con ciò che non può verificarsi nel mondo come fatto), ma arriva a sostenere, nella proposizione 5.6, che i limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo. Lungi dall’assumere una posizione relativistica, ciò che qui il filosofo austriaco intende è che il linguaggio ha sempre un possessore e che esso prende per così dire vita solo in funzione del secondo, il quale, attraverso la sua esperienza, fissa il significato delle parole, le quali, assemblandosi in proposizioni, costituiscono infine il mondo: come l’occhio, pur non facendo parte del campo visivo, è condizione di ogni possibile visione e seleziona tutto ciò che entra a far parte del campo visivo stesso, allo stesso modo il soggetto, pur non facendo parte del mondo, è condizione di ogni possibile fatto e ne seleziona, applicando le regole del linguaggio inteso come immagine del mondo, gli elementi.

Intellego ut dicam, dico ut intellegam

Il film Arrival ed il Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein mettono dunque in luce le caratteristiche comuni a tutti i linguaggi, che nel loro insieme aiutano a definire la natura del linguaggio in sé: esso, secondo la teoria della raffigurazione wittgensteiniana, è come una finestra aperta sul mondo, uno strumento attraverso il quale rappresentiamo i fatti possibili ed esprimiamo giudizi (verità o falsità) su di essi. E’ in questo senso che quanto avviene in Arrival può avere una sua spiegazione: nessuna lingua, se se ne conoscono gli elementi fondamentali, nasconde misteri irrisolvibili, e apprendere un nuovo sistema linguistico, come Louise fa, significa, in una certa misura, adottare una nuova prospettiva sul mondo.

Così linguaggio e mondo vengono a formare un binomio quasi indivisibile, nel quale diventa difficile distinguere il primo dal secondo, il quale ci rivela l’importanza delle parole, mai state così lontane dall’essere semplice flatus vocis: se da una parte è infatti necessario conoscere una cultura per capire il linguaggio in cui essa esprime i propri concetti, dall’altra è forse ancor più necessario conoscere il linguaggio di una cultura per comprenderla nel senso più profondo, prendendo parte al mondo così come essa lo concepisce.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.