Salgado espone a Roma: il suo progetto “Amazônia” richiama l’attenzione sulla responsabilità dell’Occidente

Sebastião Salgado incanta grazie a un reportage in bianco e nero di un luogo selvaggio quanto fragile: l’Amazzonia.

Natura, antropologia, politica. La mostra di Salgado esposta al MAXXI di Roma, unica tappa italiana, è un’esperienza totalizzante. Attraverso i suoi scatti l’autore conduce lo spettatore per le meraviglie e la precarietà della foresta più conosciuta del mondo.

IL BIANCO E NERO CHE PARLA: AMAZÔNIA DI SALGADO

Sebastião Salgado è uno dei fotografi contemporanei più apprezzati. A buon diritto, anche. I suoi scatti raccontano storie di natura selvaggia e popolazioni ancestrali. Il potere evocativo del bianco e nero sapientemente orchestrato proietta l’osservatore in un mondo lontano, onirico e incredibilmente tangibile allo stesso tempo.

Nel suo ultimo progetto, Salgado conduce direttamente nel cuore del Brasile, suo Paese natale. L’esposizione si chiama infatti Amazônia e racconta la vita naturale e antropologica del polmone del mondo. Ma non solo. Attraverso i suoi scatti e le testimonianze raccolte, Salgado intende sensibilizzare il grande pubblico riguardo agli interventi distruttivi del governo Bolsonaro e al loro terribile impatto sulla natura e le popolazioni indigene locali.

L’autore, infatti, non si limita a raccontare attraverso le immagini, ma affida la denuncia del governo brasiliano alla viva voce dei popoli indigeni. Sono forse proprio le interviste il vero fulcro della mostra. Compaiono di colpo, immerse in un fiume in piena di foto di paesaggi sconfinati e natura selvaggia. Proprio per questo, le parole risultano ancora più efficaci e tragiche: la minaccia che incombe sull’Amazzonia si fa quanto mai presente e viva.

I bianchi nascono altrove e vengono qui a prendere la nostra terra

dice uno.

Una volta chiedevo consiglio alla saggezza millenaria degli alberi, ora non posso più farlo

continua un altro.

Ovunque rimbomba un pensiero: quanta colpa abbiamo noi occidentali?

Il lavoro di Salgado richiama alla mente un interrogativo cruciale. Ma prima di lui, già due grandi penne della letteratura inglese hanno affrontato la questione. Per conoscerle, occorre tornare al cuore del periodo coloniale: l’Imperialismo.

GIOCARE A ESSERE DIO: CUORE DI TENEBRA

Siamo agli ultimi atti dell’Ottocento, quando l’Inghilterra è scossa da un racconto tanto corto quanto spietato: Cuore di tenebra, di Joseph Conrad. In esso, l’autore polacco naturalizzato inglese intende denunciare con forza gli orrori dell’Imperialismo europeo e la sua presunta spinta civilizzatrice. A ben vedere, infatti, potrebbe non essere un caso il fatto che una critica così aspra e perentoria provenga da uno scrittore il cui Paese di nascita, la Polonia, era estraneo al fenomeno imperialista. Quello di Conrad è uno sguardo esterno e, proprio per questo, privo di indulgenze.

La storia è piuttosto nota, anche grazie ad Apocalypse Now, capolavoro della cinematografia ampiamente ispirato al racconto in questione. La vicenda ha una struttura circolare che trova principio e fine nella civilissima Londra, capitale mondiale e faro dei buoni costumi Occidentali. Tra i due estremi, tuttavia, si sviluppa tutto l’orrore dell’Imperialismo. Nel suo viaggio nel cuore dell’Africa, XXX, il protagonista, assiste a uno spettacolo raccapricciante: il civilizzato uomo europeo si è trasformato in un orrendo e bestiale carnefice. Uomini schiavizzati, mutilati, teste impalate sulle picche. Lontano dall’ipocrisia della civiltà occidentale, l’uomo bianco mostra la sua autentica natura animalesca e crudele.

Tutto ciò è incarnato da Kurtz, un magnate che nel cuore dell’Africa ha costruito un vero e proprio impero incentrato sul terrore, la violenza e il culto della persona. Kurtz attua ciò che ogni uomo sogna segretamente: essere Dio per gli altri uomini. Avere nelle mani la vita degli altri e deciderne le sorti, in una spirale di violenza che diventa sempre più indicibile fino a giungere all’ineffabile. Al punto che Kurtz in punto di morte non riuscirà a descrivere nulla di ciò di cui si è macchiato. Tutto ciò che esce dalla sua bocca è un lapidario ed evocativo:

The Horror! The Horror!

Il colonialismo rappresentato da Conrad mostra la sua faccia più turpe e terribile. La condanna è senza appello.

IL FARDELLO DELL’UOMO BIANCO: LA CIVILIZZAZIONE È UN IMPERATIVO MORALE

Molto diversa è la visione di Rudyard Kipling. Lo scrittore indiano muove i passi negli stessi anni di Conrad, ottenendo un successo immediato con opere fondamentali, quali: Il libro della giungla.

Ebbene la visione di Kipling è molto diversa dal collega polacco. Non è difficile capirne il perché. Al contrario di Conrad, infatti, egli nasce già in un territorio all’interno dell’Impero Britannico e avverte la sua identità come fortemente britannica. La sua prospettiva non contempla una condanna del colonialismo, anzi.

In effetti, il suo nome è legato soprattutto a una lunga e controversa poesia, dal titolo: Il fardello dell’uomo bianco. Il pensiero di Kipling in questa poesia è chiaro. Essa, diventata successivamente il manifesto dell’Imperialismo, anche oltre le intenzioni dell’autore, intendeva sottolineare come il processo di civilizzazione da parte degli europei fosse un vero e proprio imperativo morale.

L’uomo occidentale, civilizzato, portava con sé un fardello, quello di dover esportare la propria cultura e la propria civiltà alle popolazioni tribali. Questa necessità di europeizzazione era per Kipling il nodo centrale e la grande giustificazione morale all’Imperialismo.

Va ricordato, tuttavia, il significato profondo della poesia e le reali intenzioni dell’autore, successivamente piegate in nome della propaganda razzista. Il messaggio di Kipling si configura come una sorta di missione messianica. Gli europei, consapevoli della loro importanza nella Storia devono agire in tutti i modi per portare pace, prosperità e benessere nel mondo, anche a costo di piegare alcune culture e conformarle a quella occidentale. È un tema ancora molto attuale.

Non solo in Amazzonia, la protagonista di questo articolo, ma ovunque.

Basti pensare a ciò che sta succedendo in Afghanistan.

 

 

 

 

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