Ripensiamo il sesso e il genere ripartendo dal desiderio con Elisa Cuter e Gilles Deleuze

Elisa Cuter parla del suo nuovo libro “Ripartire dal desiderio” in un’intervista rilasciata a Rolling Stones. I temi riguardano il femminismo, le questioni di genere e il desiderio.

Gilles Deleuze è un filosofo francese che ha aperto una nuova linea di pensiero per le tematiche sociali e politiche negli anni ’70 del secolo scorso. Anche qui al centro delle sue riflessioni, troviamo il desiderio.

Ripartiamo dal desiderio con Elisa Cuter

Elisa Cuter è dottoranda e assistente di ricerca alla Filmuniversität Konrad Wolf di Babelsberg, si è occupata di critica cinematografica e questioni di genere. Il suo primo testo ha un titolo significativo e accattivante “Ripartire dal desiderio” ed esprime alcune questioni in modo chiaro. Come spiega nell’intervista il suo obiettivo è quello di ripensare il femminismo e le questioni di genere, cercando di eliminare gli eccessi moralistici e moralizzanti in questo contenuti.

Le sfere sono separate e distinte: le violenze di genere (così come tutte le violenze) sono assolutamente da criticare, così come sono da criticare le disparità lavorative e i diversi tipi di iniquità nel mercato e nel mondo del lavoro. Tuttavia questo non implica una demonizzazione dell’universo maschile: sarebbe un grave fraintendimento della sessualità credere che essa sia idealizzata, spesso il sesso riduce i corpi a dei corpi, e in questo non c’è nulla di male.

Gli studi di genere comunque non si sono fermati solo agli studi femminili, ma si sono interessati  anche ai maschietti. Si è parlato di “crisi della mascolinità”, grazie agli studi e alle riflessioni di Foucault e Bourdieu principalmente. La facciata virile che i maschi mostrano nasconde in realtà fragilità e insicurezze, i ragazzi subiscono gli stereotipi quanto le ragazze, quando fanno fatica e difficoltà ad aprirsi e mostrare i loro sentimenti…

Il Desiderio di Gilles Deleuze

Gilles Deleuze è un pensatore geniale quanto sui generis, caratterizzato in ogni suo scritto da uno stile caustico, ironico, sui generis. Centrale nelle sue riflessioni è il concetto di desiderio, espresso in modo ormai celebre nell’Antiedipo, testo in cui accusa filosofi e psicanalisti del passato di aver frainteso il desiderio, da Freud a Lacan nessuno si salva. I suoi toni sono spesso di aperta polemica, ma in realtà riconosce grandissimi meriti alla psicanalisi.

L’unico che si salva è il medico e psicanalista Wilhelm Reich, ma perché proprio lui? Perché Reich aveva parlato di una libido, o desiderio, che investe direttamente il campo politico e sociale, non in modo mediato, come sostiene Freud e la psicanalisi classica. Così per Deleuze il desiderio è interamente è intimamente connesso con la politica, l’economia, tanto che arriva a parlare di un’unica economia, comune alla libido che all’economia politica.

Il desiderio per Deleuze non è esclusivamente sessuale, o viceversa il campo sessuale include tutto il campo sociale, non è per metafora che Hitler faceva arrapare i fascisti, sostiene il filosofo francese, così come la borsa, il credito e le cedole fanno arrapare gli economisti (e non solo loro). In ogni caso importante è capire che il sesso non va ridotto alla sua rappresentazione antropomorfica, ma include il campo sociale, tanto è che arriva a parlare di macchine desideranti. Ovvero sia i diversi rapporti e concatenamenti che si creano nella società, tra individui, tra istituzioni, etc.

Ripensare il lavoro insieme alle questioni di genere

Riporto per intero un passo dell’intervista della Cuter che esprime chiaramente questo punto:

Mi fa impressione che per un sacco di persone invece il lavoro – inteso proprio come dovere di guadagnare o identificarsi con esso – sia un’ideologia. Quando sento “fateci lavorare! Fateci riaprire, vogliamo lavorare, non vogliamo sussidi statali!”, penso: ma non è un desiderio un po’ triste? Forse si può desiderare qualcosa di meglio. C’è un sacco di gente che è straconvinta di questo ed è la cosa che mi spaventa di più, che la dignità e il valore come essere umano dipendano soltanto da se e quanto si produce, ed è molto difficile far capire che c’è dell’altro in un sistema che comunque impone di guadagnare altrimenti si crepa, quindi direi che l’ideologia va di pari passo con le condizioni materiali.

Nell’era moderna il lavoro si è imposto come uno dei punti cardine al fine di sviluppare la nostra società, il progresso, l’illuminismo, la razionalità, l’efficienza. Sicuramente è stato utile ed ha avuto una grande importanza, ma oggi il lavoro appare più un istituzione fondata su un obbligo sociale che dotato di una sua importanza reale.

Il desiderio di lavorare al fine di campare non è un desiderio un po’ stanco? Non ci sono altri modi più salutari e vitali per vivere? Non è un desiderio stanco della vita, un desiderio da preti, come direbbero Nietzsche e Deleuze? Nietzsche arriva al punto di sostenere che:

Bisognerebbe lavorare se non per amore, per disperazione, a ben vedere è meno noioso che divertirsi

Il lavoro inoltre è strettamente connesso con gli stereotipi di genere, i quali trovano la loro origine nella divisione del lavoro. Quante volte ormai abbiamo sentito che la divisione dei generi nasce perché gli uomini andavano a caccia e le donne tenevano i bambini?

La sociologia economica si pone il problema del lavoro e del ruolo che ha nelle nostre vite, indicando come sia un’istituzione che andrebbe ripensata a fondo. Magari riconoscendo lo status di lavoro e finanziando con sussidi e indennità attività culturali, artistiche, sociali lasciando ad esempio la libertà a uomini e donne di occuparsi della famiglia e della cura oltre che della carriera. Uscendo da una macchina che gira e ci schiaccia, mangiandoci sempre più il tempo della nostra unica vita.

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