Quella volta in cui l’Abruzzo bevve mercurio: cosa ci insegna l’etica ambientalista

Il caso del SIN (Sito d’Interesse Nazionale) di Bussi Sul Tirino: un disastro ambientale, fra negligenza ed omertà. Qual è il prezzo da pagare per la mancanza di un’etica ambientale?

Nel sottosuolo abruzzese, presumibilmente dagli inizi del Novecento, esiste una discarica abusiva, che ha raccolto per anni i residui industriali della M.: sostanze nocive per l’ambiente e per l’uomo, tanto da essere considerate cancerogene. La vicenda è di per sé un capitolo buio, ma, l’indifferenza riservata al caso, potrebbe rivelare un problema ancora più grande.

IL DISASTRO AMBIENTALE DI BUSSI SUL TIRINO

È il 2007 quando viene rilasciato un report dell’Istituto superiore di sanità sulle acqua che i cittadini della Valle del Pescara consumano quotidianamente: i dati sono sconcertanti, dai rubinetti abruzzesi scorrono più di 32 sostanze nocive – per citarne alcune, cloroformio, esacloroetano, piombo e mercurio. L’area inquinata, la famosa “Tre Monti”, ha conservato decenni di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi: si parla di contaminazione delle acque superficiali, dei suoli, fino ad arrivare alle acque di falda profonde e l’acquedotto, ovvero, l’acqua di circa 700mila cittadini. Molte le voci, alcuni gli accusati: tutto è stato scoperto da un’inchiesta della Forestale, coordinata dal PM Aldo Aceto. Si parla di circa 500mila tonnellate di veleni e di 25 ettari per la discarica: l’accusa è di disastro ambientale.

UN ITER GIUDIZIARIO DURATO TREDICI ANNI: IL CALVARIO DELLA BONIFICA

Nel 2008, l’area viene segnalata come SIN: occorre una bonifica al più presto. Questa data, però, segnerà l’inizio di un calvario lungo 13 anni. Il primo processo si tiene nel 2009, ma prevede soltanto il rinvio a giudizio di 27 persone; la faccenda viene ripresa nel 2013, dove i rinviati diventano 19. Gli imputati sono gli ex amministratori della M. e della A. Il 19 Dicembre del 2014, però, la sentenza della Corte d’Assise di Chieti li assolve tutti: il reato di disastro ambientale è caduto in prescrizione perché definito colposo e non doloso – in altre parole, “non sapevano di inquinare”.
Questa seconda sentenza si rivelerà, inoltre, particolarmente nebbiosa per delle presunte accuse di pressioni alla giuria popolare. Successivamente, un’ulteriore sentenza condanna 10 dei precedenti 19 imputati: è il 17 Febbraio del 2017. Il reato di avvelenamento è stato finalmente riconosciuto, anche se prescritto. La vicenda non si conclude qui: la Cassazione ribalta la sentenza ed il 28 Settembre 2018, 4 accusati vengono assolti e le restanti 6 vengono nuovamente prescritte.
Soltanto nell’aprile del 2020 viene riconosciuta l’effettiva colpevolezza dell’Edison (ereditaria della Montedison), che è costretta a bonificare le discariche 2A e 2B: è la sede della famosa sentenza dell’avvocato Cristina Gerardis, “chi inquina paga“.
Ma la realtà ancora più grave di tutta la vicenda è che, per lunghissime diatribe burocratiche e giudiziarie, la bonifica di Bussi non è ancora stata fatta.

IL PROBLEMA DELL’INDIFFERENZA AMBIENTALE E L’EDUCAZIONE ALL’AMBIENTE

Ciò che più ci inorridisce è guardare indietro a questa vicenda come un fallimento nostro. Ci spaventano le svariate fonti che attestano che molti in città sapessero dello smaltimento illegale. Tutto sembra essere avvenuto sotto gli occhi di tutti ed allo stesso tempo di nessuno: non si tratta solo di omertà. Il nocciolo del problema è la nostra visione della Natura.

Come attestato dal filosofo Umberto Galimberti, è a partire dalla tradizione giudaico-cristiana, che l’uomo si relaziona alla Natura come suo dominatore. Dio avrebbe consegnato nelle mani dell’uomo la Natura, gli avrebbe permesso di controllarla a suo piacimento e di usarla (sfruttarla) come mezzo. È proprio di “mezzo” ciò di cui parla Galimberti, illustrando come questo pensiero sia presente per tutta la durata della storia occidentale: come dimenticare, d’altronde, la morale kantiana? “L’uomo è da trattare sempre come un fine e mai come un mezzo”, direbbe il filosofo tedesco, donando all’umano il pretesto (scorretto) per poter comandare a piacimento tutto ciò che non sia uomo: la Natura è di nuovo “mezzo”.

Il lato più negativo di tutta la questione è l’ambivalenza nascosta di questa visione del mondo. Pensare che l’ambiente possa essere mezzo, e possa, quindi, essere usato a proprio piacimento, senza limiti morali o etici, è stato il monito della nostra società. Guardando indietro, l’inquinamento ambientale, diretta causa del pensiero appena esposto, ha sempre, come risvolto, il male dell’uomo. Che sia nelle manifestazioni di un clima che sta diventando, poco a poco, sempre più distruttivo, o che sia nelle altissime percentuali di tumori riscontrate nella zona di Bussi, la Natura come mezzo non sembra più la via da percorrere.

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