Ti sei mai chiesto quanto è rischioso fare bungee jumping o scalare l’Everest? E se fosse rischioso quanto startene seduto su una sedia? L’Istituto di statistica australiano ci ha dato una risposta.
Siamo in grado di calcolare il nostro rischio di morire?
Per chi se lo fosse perso, già dagli anni 70′ molti studiosi si erano concentrati su questo tema andando a creare un’ unità di misura statistica: il Micromort. Il Micromort calcola la probabilità di morte su un milione a causa di un evento inaspettato o di una normale attività quotidiana. Molte persone sono abituate a pensare che prendere un aereo sia meno pericoloso che guidare un’auto, ma è stato statisticamente dimostrato che non è così. Per il National Safety Council of America, il rischio di morire in un incidente aereo è di 1 su 7178, mentre quella di morire per un incidente automobilistico è di 1 su 98. Ma non solo, sono molto radicate anche alcune credenze che abbiamo sullo sport, per esempio che il paracadutismo sia meno pericoloso di una maratona. Invece no, se il paracadutismo ci avvicina alla morte di circa 8-9 Micromort a salto (intorno a una possibilità su 100.000 di morire), la maratona aumenta il rischio di 7 Micromort per corsa. Allora perchè sbagliamo tanto a calcolare i rischi?
Ecco perchè facciamo errori sui rischi che corriamo
Riprendendo le attività che ci causano rischi, ci sorprenderà sapere che stare seduti su una sedia comporta un rischio di morte pari a 1,3 Micromort per la possibilità di cadere. Non c’è modo di scampare alla morte a quanto pare. Ad ogni modo tutto questo dimostra che i calcoli che facciamo sulle probabilità di morire risultano spesso errati e irrazionali. Entra qui in gioco la psicologia, mettendo in luce uno degli errori cognitivi più comuni: l’euristica della disponibilità. L’euristica della disponibilità è una scorciatoia cognitiva in cui la stima della frequenza o della probabilità del verificarsi di un evento è basata sulla velocità con cui vengono alla mente esempi e associazioni. In poche parole: più un evento richiama facilmente degli esempi già all’interno della nostra memoria più percepiamo la frequenza di quell’evento alta. Il fatto che i tg dedichino servizi lunghi agli incidenti aerei (statisticamente meno frequenti degli incidenti in auto) e si concentrino per minor tempo sugli incidenti stradali, nel tempo crea nelle nostre menti la percezione che un volo aereo sia più pericoloso rispetto a guidare l’auto per andare a lavoro.
Come le emozioni possono ingannare il nostro cervello
Le emozioni possono farci fare molti errori, tra cui sballare le nostre percezioni sui rischi. Uno studio di Sinaceur, Heath e Cole (2005) ha dimostrato che le etichette emotive sono più facilmente memorizzabili dalla popolazione. Lo studio mise a confronto l’impatto delle testate giornalistiche che trattarono una malattia neurologica che aveva colpito i bovini. Alcuni giornali usarono il termine tecnico-scientifico della malattia, ovvero encefalopatia spongiforme bovina o BSE. Altri fecero uso di parole più emotive come “mucca pazza”. Dallo studio emerse che quando venivano usati termini tecnico-scientifici la percezione del rischio era minore, mentre al contrario con le etichette emotive l’allarme delle persone cresceva testimoniato da un’abissale riduzione del consumo di carne. La conclusione è che spesso non ci rendiamo conto che le nostre valutazioni sono frutto di luoghi comuni o pensieri irrazionali. L’unico modo per restare oggettivi è prendersi del tempo per riflettere e essere consapevoli delle proprie credenze. Ma alla fine tutto include un rischio quindi non sarebbe meglio concentrarsi su qualcosa di positivo?
Virginia Famà