Il 22 luglio ricorreva la scomparsa del grande giornalista Indro Montanelli.
Montanelli parlò di Dante e lo raccontò come solo lui aveva il potere di fare.
Indro Montanelli: il simbolo del giornalismo italiano
Indro Montanelli nacque il 22 aprile 1909.
Personaggio di spicco della cultura e del giornalismo italiano, Montanelli ha segnato la storia contemporanea del nostro paese.
La sua carriera iniziò durante l’era fascista e Montanelli, da sempre, si distinse per trasparenza e limpidezza ideologica e professionale.
Per circa quattro decenni fu simbolo del principale quotidiano d’Italia, “Il Corriere della Sera”.
Poi, lasciato il giornale per contrasti sulla nuova linea politica della testata, fondò e diresse per vent’anni un altro quotidiano, “Il Giornale” in cui si distinse come opinionista conservatore.
Nel 1977 venne gravemente ferito durante un attentato delle Brigate Rosse.
Con l’entrata in politica di Silvio Berlusconi nel 1994, lasciò “Il Giornale” e, nel marzo dello stesso anno, fondò “La Voce”, un quotidiano che chiuse l’anno seguente.
Fu anche autore di una collana di libri di storia a carattere divulgativo, “Storia d’Italia”, che narrano la storia della nostra nazione dall’antichità alla fine del XX secolo.
Montanelli, ancora oggi, è ricordato per la caparbietà, il desiderio di andare controcorrente e l’onestà intellettuale.
Morì il 22 luglio 2001.
Dante Alighieri: una vita di lotte e sacrifici
Durante i conflitti politici di quegli anni, Dante si schierò con i guelfi contro i ghibellini e nel 1289 prese parte ad alcune azioni militari.
Nel 1295 ebbe inizio la sua attività politica con l’iscrizione alla corporazione dei medici e degli speziali.
Quando la classe dirigente guelfa si scisse tra bianchi e neri, Dante si schierò con i bianchi, i quali avevano il governo della città
Nel 1300, dopo una missione diplomatica a San Gimignano, venne nominato priore, ruolo che ricoprì grande con senso di giustizia e fermezza, tanto che, per mantenere la pace in città, approvò la decisione di esiliare i capi delle due fazioni in lotta, tra i quali vi era anche l’amico Guido Cavalcanti.
Venne accusato di concussione e condannato prima al pagamento un’enorme multa e poi a morte nel marzo del 1302.
Fu così che ebbe inizio il suo doloroso esilio narrato nelle sue opere.
Durante gli anni dell’esilio Dante si spostò nell’Italia settentrionale tra la Marca Trevigiana e la Lunigiana e il Casentino, forse spingendosi fino a Parigi tra il 1307 e il 1309.
Si recato poi insieme ai figli a Verona presso Cangrande della Scala, dove è rimasto fino al 1318.
Da qui si spostò a Ravenna dove morì nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321.
Le sue spoglie non sono mai più tornate a nella sua compianta Firenze.
Contrariamente a quanto si possa pensare, Dante soffriva di problemi economici e neanche la famiglia gli tese la mano durante i momenti più difficili.
Quella volta che Montanelli raccontò Dante
Indro Montanelli raccontò, con il suo modo intuitivo e geniale, la vita di Dante. Ecco alcuni interventi tratti da una serie del 1993 dedicata ai grandi italiani.
Montanelli comincia parlando del paesaggio fiorentino.
Firenze non era allora la stupenda e ridente città che oggi conosciamo […]
Di bello, c’era solo il paesaggio: quella corona di colline, fra cui si srotolava l’Arno […]
Poi Montanelli prosegue parlando della giovinezza del poeta e di come un incontro abbia cambiato per sempre la letteratura del nostro paese: quello con Beatrice Portinari.
Di tutta l’infanzia del poeta, conosciamo solo un episodio, che però doveva restare decisivo per la sua vita e la sua opera: l’incontro con Beatrice. Gli storici hanno discusso a lungo sulla realtà di questo personaggio: alcuni hanno ritenuto che fosse di pura fantasia. Ma ormai è opinione comunemente accettata che si trattasse della figlia di Folco Portinari, banchiere molto stimato a Firenze. Era quasi coetanea di Dante, più tardi andò sposa a Simone de’ Bardi, e morì nel 1290, probabilmente di un parto andato male […]
Il giornalista ricorda anche uno dei più importanti maestri del “Sommo Poeta“: Brunetto Latini.
Dopo la scuola, dove aveva imparato ben poco, Dante ebbe un altro maestro, che gl’insegnò molto di più: Brunetto Latini. Era costui un notaio che godeva di notevole prestigio, e non solo per le sue qualità professionali. La gran cultura, la signorilità, il «tatto», ne facevano anche un uomo di mondo, un idolo dei salotti, e un diplomatico di prima scelta […]
Montanelli racconta dello stravolgimento poetico dello Stil Novo di cui Dante fece parte.
La novità, per ridurla all’essenziale, consisteva in questo. L’amore dei provenzali era stato estetico e sensuale, ma anonimo. L’identità di colei che lo aveva suscitato veniva nascosta sotto il senhal o pseudonimo. Ed è naturale perché si trattava solitamente di un tributo alla padrona di casa, e bisognava salvare il prestigio coniugale del marito, cioè di colui che forniva l’ospitalità al poeta. Gli stilnovisti fecero il contrario. Tolsero all’amore ogni contenuto carnale. E, resolo in tal modo inoffensivo, poterono metterci sopra l’indirizzo della destinataria. A chi poteva dar noia? Disincarnata e angelicata, l’ispiratrice non è più la moglie né la figlia né la sorella di nessuno. È solo un simbolo di perfezione spirituale e uno strumento di elevazione a Dio. Ciò che conta non è lei, ma il sentimento che suscita. Ed è infatti su di esso che gli stilnovisti si accaniscono, vivisezionandolo e rivoltandolo con una casistica puntigliosa e, a dire il vero, abbastanza uggiosa. I cultori di questo nuovo credo poetico erano Cino da Pistoia, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi. Erano degli esteti, i cui equivalenti si ritrovano a scadenza di ogni due o tre generazioni, e ogni volta credono di inventare chissacché. Predicavano quella che oggi si chiamerebbe «l’arte per l’arte», cioè una poesia «disimpegnata» da tutto, anche dal bisogno di piacere ai Signori che avevano mantenuto i trovatori nei propri castelli […]
Montanelli conclude, poi, con un’arguta deduzione.
Tuttavia i cànoni andavano rispettati. E quelli dell’«amor cortese» esigevano che anche Dante eleggesse una dama a ideale poetico di vita. Probabilmente fu soprattutto per questo che si ricordò di Beatrice. Non ci sarebbe nulla di bizzarro se l’amore, in Dante, fosse nato dalla poesia, e non viceversa […]