Nei meandri più reconditi di un’opera letteraria lontana nel tempo si celano spesso visioni, idee, scoperte che leggendole nel XXI secolo ci lasciano esterrefatti per la modernità dei concetti espressi.
Quante volte leggendo un romanzo ci siamo imbattuti in pagine che ci hanno fatto sussultare: “Ma davvero un uomo vissuto centinaia (o migliaia) di anni fa è stato capace di esprimere concetti così attuali? La letteratura, da quella greca a quella italiana, da quella latina a quella inglese trabocca di scoperte sensazionali frutto di menti eccezionali che, nonostante l’esiguità dei mezzi di cui potevano disporre gli uomini che le possedevano nei tempi in cui vissero, riuscirono, spesso tacitamente, ad anticipare il presente e… perché no, a prevedere il futuro.
1 Il De Rerum Natura di Lucrezio: un manuale di scienza moderna
L’opera in questione risale ad un periodo tanto remoto quanto glorioso, a tal punto da suscitare la più profonda ammirazione di Gustave Flaubert che lo definì come quel momento unico nel suo genere “in cui è esistito l’uomo, solo”. Siamo nel I sec. a.C., Roma era ormai divenuta la capitale di tutto l’ecumene per potenza militare a politica, ma l’arretratezza da un punto di vista culturale e religioso non era stata ancora superata. Ad inaugurare una nuova era, un nuovo modo di guardare le cose, ci pensò un uomo tanto odiato dall’oscurantismo del Cristianesimo di IV secolo da essere additato come “folle per un filtro d’amore” da parte di San Girolamo: quell’uomo era Tito Lucrezio Caro e la portata della sua venuta al mondo fu tutt’altro che causata dalla pazzia. L’opera con cui è passato alla storia, il De Rerum Natura, contiene al suo interno delle visioni talmente moderne da sembrare non poter essere state nemmeno lontanamente pensate da un uomo vissuto più di 2000 anni fa. Nel poema didascalico Lucrezio si guarda attorno, parte dalla semplice visione di tutto ciò che lo circonda, unico metodo di cui poteva fruire l’uomo di quel tempo e, a partire da ciò, ipotizza un’intera visione del mondo che parte dal piccolo, dalla materia che sta alla base della nascita di ogni elemento vivente per poi allargare il suo spettro visivo: dalle teoria sull’evoluzione alla creazione dei fiumi e dei laghi, dalla teoria del progresso all’angoscia esistenziale, dall’essenza dell’animo umano alla formazione dell’universo. Lucrezio fu capace di abbattere, in un periodo profondamente imbevuto di paganesimo, quella religione che per lui non era altro che credenza, “supersititio”, tanto da biasimare il celebre sacrificio di Ifigenia che fu salvifico per i Greci ai tempi della spedizione troiana… e forse in ciò si mostrò ancor più moderno di noi! Per non parlare delle teoria scientifiche presenti nel De Rerum Natura, un poema che riesca a coniugare la finezza poetica alla fredda e arida scienza atomica senza mai lasciare che la bellezza degli esametri prenda il sopravvento sulla razionalità dei concetti, concetti che non sembrerebbero anacronistici se li trovassimo espressi in un’opera di fine Ottocento. Ecco che Lucrezio giunge a discorrere di spazio infinito e di mondi innumerevoli alla maniera di Giordano Bruno, di “vuoto è pieno” alla maniera di Torricelli, dalle sue parole sembra sottesa la legge della conservazione della massa di Lavoisier, per non parlare dell’evoluzionismo darwiniano e della teoria cinetica dei gas di Maxwell. Chi al giorno d’oggi riuscirebbe ad adattare a dei versi poetici così meccanici come era l’esame tra latino delle teorie sceintifiche, casomai anticipando quanto diranno scienziati del 4000 d.C.? Beh mai disperare, ma di uomini così ne sono esistiti e ne esiteranno ben pochi, lo aveva compreso anche Albert Einstein:
“Vediamo come immagina il mondo un uomo dotato di autonomia di giudizio, portato per la speculazione scientifica, provvisto di immaginazione e intelligenza fervide , ma che non ha la minima idea neppure delle nozione di fisica che si insegnano ai bambini”
2 La teoria del progresso di Lucio Anneo Seneca
Rispetto alle incredibili previsioni lucreziane in ambito scientifico, quando ci accostiamo al mondo di Seneca la sensazione che di primo acchitto abbiamo è quella di essere al cospetto di un letterato più interessato alle speculazioni filosofiche in quanto tali che alla stretta scienza. In effetti, se apriamo un’opera senecana quale il De Brevitate vitae o il De tranquillitate animi, la consapevolezza che ne deriva è quella di un autore che indaga i più profondi meccanismi che regolano le passioni umane e che cerca di fornire risposte agli interrogativi che i massimi pensatori di tutti i tempi si sono posti. Perché esistiamo? Come affrontare l’invecchiamento? Esiste una provvidenza divina? Meglio l’ozio o la vita impegnata? Queste e molte altre sono le questioni che Seneca cerca di indagare fornendone la sua enormemente lucida interpretazione e furono proprio queste le indagini che interessarono gran parte della sua esistenza. Eppure non tutti sanno che il buon Seneca si occupò anche di scienza e che scrisse un’opera mastodontica dal titolo “Naturales quastiones” in cui, un po’ come aveva fatto Lucrezio nel suo poema didascalico, si immerge nello studio di fenomeni naturali quali i fuochi celesti, le acque terresti, la neve, la pioggia, i terremoti, il tutto racchiuso in sette libri che ci forniscono un’ampia panoramica degli elementi che ci circondano e che spesso diamo troppo per scontati senza soffermarci sulla loro origini ed essenza. In particolar modo, nell’ultimo libro dell’opera, Seneca parla delle comete e delle stelle cadenti, uno dei fenomeni più affascinanti che la natura ci riesce ad offrire e che, come siamo soliti fare noi durante la notte di San Lorenzo, impreziosiva anche le notti dei Romani del I sec. d.C. Il fenomeno delle comete era stato già indagato in lungo e largo dagli antenati del filosofo romano e Seneca, dopo aver passato in rassegna le varie teorie e dopo essersi accorto della mancanza di certezze sul problema della loro genesi e del loro manifestarsi, dà vita ad una delle più lucide riflessioni sul progresso che mente umana possa generare. Seneca ci invita a non meravigliarci del fatto che le comete, uno spettacolo del cielo così raro, non siano ancora comprese in leggi sicure, né si conosca l’origine e la fine di quei corpi celesti perché
“verrà un giorno in cui il passare del tempo e l’esplorazione assidua dei secoli porterà alla luce quello che ancora ci sfugge. Una sola generazione non basta all’analisi di fenomeni così complessi, anche se si dedicasse esclusivamente al cielo […] Perciò questi fenomeni saranno spiegati attraverso un lungo succedersi di generazioni”.
È la consapevolezza dei limiti della conoscenza scientifica, una teoria del progresso per la quale ogni generazione aggiunge un tassello, dà un suo contributo alla conoscenza e fa sì che il mondo possa evolversi. Non possiamo pensare nel nostro piccolo di essere in grado di conoscere ogni cosa, nemmeno la più grande mente che il mondo abbia generato è stata mai capace di dedicarsi a tutto lo scibile e di dare risposte certe, bensì ognuno nel suo piccolo ha fornito il suo grande contributo all’evoluzione, a rendere il mondo un qualcosa di un po’ meno oscuro… e chissà, forse un giorno verrà l’uomo che, disponendo di tutti quei tasselli che i suoi antenati hanno eretto, riuscirà ad aggiungere quel tassello finale che permetterà di ammantare in un unico abbraccio l’universo intero, di fornire risposte a tutte quelle domande su cui noi effimeri esseri del XXI secolo possiamo solo speculare.
-3 1984: quando George Orwell predisse il Grande Fratello e la sorveglianza di massa
Il romanzo distopico per eccellenza uscito dalla penna dello scrittore britannico George Orwell fu una delle opere più innovative per i tempi in cui venne scritta e a leggerlo oggi continua a suscitare profondo scalpore e un senso di angosciosa reverenza. Scritto nel 1948, è intitolato 1984 proprio perché Orwell voleva immaginare una data abbastanza lontana nel tempo in cui potessero crearsi le condizioni per un potere totalitario e di controllo della società come quello da lui descritto. Ed in effetti lo scopo della maggior parte dei romanzi distopici è proprio quello di mostrare la disumanizzazione della società proiettata nel futuro, un futuro in cui l’autore crede si possano realizzare determinati fenomeni che hanno come genesi proprio alcuni meccanismi già intravisti nell’epoca in cui l’autore stesso si trova a scrivere. Peccato che non tutti i romanzi distopici furono capaci di prevedere il futuro nella stessa maniera in cui lo fece Orwell nel suo capolavoro. Siamo nel 1984, il mondo è diviso in tre grandi macroaree: Oceania, Eurasia ed Estasia. Nel superstato di Oceania la società è controllata in ogni singola azione da un partito ispirato ai principi del socialismo estremo, il Grande Fratello, un misterioso dittatore il cui volto fa bella mostra di sé in ogni teleschermo e nei manifesti di propaganda. Ogni città è sorvegliata dalla Psicopolizia che ha come scopo di vita il controllo totale della vita dei cittadini, stormi di elicotteri silenziosi sorvegliano le masse dall’alto, giochi e lotterie sono organizzate in modo tale che non vinca quasi nessuno in modo da raccogliere denaro per lo Stato e infondere nelle masse un sentimento di speranza verso un’improbabile via d’uscita; la ‘storia’ è raccontata ai cittadini tramite le riscritture falsificanti ad opera dell’ossimorico Ministero della verità, il Ministero della guerra è stato ribattezzato Ministero della pace ed in aggiunta a tutto ciò la pace non esiste poiché, a conclusione di ogni guerra, ne inizia immediatamente una nuova per mantenere viva la rotazione del sistema militare. Come se non bastasse, la dittatura controlla anche il pensiero e, di conseguenza, il linguaggio, attraverso il cosiddetto “bispensiero” che impone come verità l’assurdo.
«Non ci limitiamo a distruggere i nostri nemici, noi li cambiamo. Capisci cosa intendo dire con queste parole?» O’Brien accennò un sorriso: «… Non ho forse detto che siamo diversi dai persecutori del passato? Non ci accontentiamo dell’obbedienza negativa, e meno che mai di una sottomissione avvilente. Quando infine ti arrenderai a noi, ciò dovrà avvenire di tua spontanea volontà».Noi non distruggiamo l’eretico per il fatto che ci resiste. Anzi, finché ci resiste non lo distruggiamo. Noi lo convertiamo, penetriamo nei suoi recessi mentali più nascosti, lo modelliamo da cima a fondo.
Leggendo al giorno d’oggi l’opera orwelliana, un romanzo scritto ben 72 anni fa, non possiamo far altro che vivere un sentimento di angosciosa incredulità per la genialità dello scrittore nel prevedere letteralmente l’evolversi della società nel futuro: le previsioni tecnologiche come i “teleschermi”, dispositivi che nell’universo distopico di 1984 servivano sia per l’intrattenimento che per la comunicazione bidirezionale e che venivano usati dal governo centrale per spiare le persone attraverso microfoni e telecamere incorporate nei dispositivi, coincidono con buon grado di approssimazione con gli strumenti tecnologici che sono entrati a far parte della nostra vita quotidiana. Essi, tramite i sistemi di tracciamento incorporati, permettono ai governi di sapere dove siamo, con chi ci incontriamo oltre ad i nostri gusti, le nostre occupazioni, le nostre ricerche. Per non parlare poi del capovolgimento del significato delle parole: la pace che diventa guerra, la verità che diventa falsità sommersa, amore che non è altro che odio… ecco che anche oggi sentiamo spesso parlare di “Missioni di Pace”, che nella maggior parte dei casi portano con sé invasioni di altri Stati e stragi di civili o di “Termovalorizzatori”, uno dei tanti termini che la contemporaneità ha deciso di coniare per mantenere l’oscurità della reale essenza degli oggetti ad essi connessi, che riesce fornire un tocco di positività a strumenti utilizzati per bruciare i rifiuti con la conseguente produzione di un inquinamento dalle dimensioni spropositatamente ingenti. E che dire dei giochi e delle lotterie incentivati dal Governo? Le vincite, nel romanzo così come nella realtà del XXI secolo, sono pochissime e diventano irrisorie se messe a confronto con il ricavato, ma riescono comunque a produrre nella popolazione, soprattutto negli strati più bassi, quella speranza di farcela che tiene a galla gli ultimi i quali, aggrappati a tale brama, accettano la loro condizione vaneggiando un futuro più roseo.