Sulpicia desta molti sospetti, essendo l’unica voce letteraria femminile del suo tempo.
Le donne dell’antica Roma scrivevano? E se si, scrivevano come gli uomini? Il corpus tibulliano ci dona il nome di Sulpicia, la voce femminile della poesia romana, e il mistero che la avvolge. Sta a noi formulare le ipotesi.
IL MISTERO DI SULPICIA
All’interno del corpus tibulliano si distinguono sei elegie particolari. Uno stile compositivo diverso e il modo in cui sono trattate alcune tematiche confermano che la mano che le ha scritte non è quella del famoso poeta imperiale. Questo sconosciuto tratta dell’amore in un modo tutto suo: dice allo zio Messalla di non intromettersi nei suoi affari, ammette di aver avuto piacere nel commettere peccato (“sed peccasse iuvat”), nella sua poesia dichiara di volersi “denudare” (“nudasse”) metaforicamente per mostrare tutti i suoi sentimenti al pubblico. Il suo nome è Sulpicia, unica voce letteraria di una donna romana.
IL LATINO DELLE DONNE
Ricca, aristocratica, forse a capo di un circolo letterario di cui fecero parte Tibullo e Ovidio. Il suo stile ha aiutato lo studioso tedesco Grouppe a definire il “latino delle donne”. Questo è caratterizzato da una sintassi complessa, a volte confusa come una raffica di pensieri e spesso con un ordine insolito delle parole. Inoltre, dato che vivevano spesso vite diverse dagli uomini, le donne potrebbero aver creato un lessico diverso per descrivere la quotidianità. La nostra Sulpicia ad esempio usa “cadere” per “innamorarsi”, un po’ come l’inglese “fall in love”. Tuttavia, molti filologi non riescono a concepire che una donna abbia seriamente scritto elegie in età romana, finendo spesso a screditarla. Grouppe è incuriosito da lei, ma altri hanno spesso attribuito il suo manierismo all’essere incompetente, o peggio, all’essere donna. Oltre che a screditarla, la filologia del passato ha voluto negare l’esistenza di Sulpicia.
PERCHÉ NON SI PUÒ AVERE UNA POETESSA ROMANA?
Alcuni hanno avanzato l’ipotesi che il suo nome sia solo uno scherzo di Tibullo, che immaginava giocosamente come fossero i sentimenti di una giovane ragazza. Altri hanno pensato che questo volesse coprire i suoi esperimenti poetici malriusciti con il nome di una donna. Eppure, non ci sono prove che mettono in dubbio la sua firma. In generale, chi nega la sua esistenza come donna lo fa perché sembra impossibile che lei abbia trovato il suo spazio in una società misogina, sarebbe troppo bello per essere vero. Ma negare che Sulpicia sia vissuta, abbia amato e abbia letto tanto da poter scrivere del suo amore è una prova di una concezione semplicista della storia. Anche i romani erano umani, abitavano un luogo e vivevano un’epoca, che come tutte le altre ha le sue voci fuori dal coro.