PRIME MOGLI: L’ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI CLAUDIA OTTAVIA CI RICORDA CHI ERA L’IMPERATORE NERONE

Il principato di Nerone è di sicuro il più singolare e discusso della storia, caratterizzato da eventi del tutto tipici, a partire dal rapporto con le donne della sua vita. 

Nerone e sua madre Agrippina.

La vita di Nerone (Lucio Domizio Enobarbo, 37 d.C. – 68 d.C. ) è forse una delle più chiacchierate da storici e letterati. Le affermazioni secondo cui fosse un violento pieno di turbe mentali vengono continuamente smentite e poi ritrattate da anni. Di certo, se Nerone fu meritevole addirittura della damnatio memoriae qualcosa nella sua politica doveva essere andato storto, o mal interpretato. È indubbio però che il suo regno, lungo dal 54 al 68, sia uno dei più interessanti, ricco di storia e fonti. In occasione dell’anniversario della sua morte questo articolo e quello di Giulia Weyler (“Il 9 giugno del 68 Nerone si siucidava: ripercorriamone il principato sotto una nuova luce” ), cercherà di sottolinearne i tratti tipici. 

CLAUDIA OTTAVIA

In data 9 giugno ricorre anche l’anniversario dell’omicidio della prima moglie di Nerone, Claudia Ottavia, morta sei anni prima, nel 62. Su di lei si hanno poche informazioni. Si sa che era figlia dell’imperatore Claudio e della sua terza moglie Messalina. L’anno di nascita è approssimativamente datato intorno al 40, ma non è certo. La giovane Ottavia visse una vita solitaria, poco considerata dal padre, che, dopo l’omicidio di Messalina, accusata di vari scandali di corte, dubitava persino che la ragazzina fosse figlia sua. La sua vicenda è direttamente legata a quella di Agrippina Minore, nipote e ultima moglie di Claudio, la quale nel 49 riuscì ad insinuarsi a corte e a sposarlo. Agrippina lavorò assiduamente, forte della vecchiaia dell’imperatore, per favorire il figlio Nerone, nato dal matrimonio con Gneo Domizio Enobarbo. Spingendo la volontà di Claudio, Agrippina riuscì a far fidanzare Ottavia con Nerone, e renderlo così marito di una principessa, quindi erede al trono. Quando Claudio venne a mancare Ottavia non poté far nulla per impedirlo e si ritrovò sola alla corte di Nerone, da lui disprezzata, mite spettatrice della sua vita dissoluta. Nonostante fosse la sua consorte, seppur forzata, e anche al sua sorellastra, seppur forzata, risultò ben presto chiaro che Nerone voleva sbarazzarsi di lei. Una volta che l’imperatore riuscì ad allontanare dalla corte la sua stessa madre, niente sembrava mantenere in piedi il loro matrimonio. Non aiutò alla causa la comparsa di Poppea Sabina, allora moglie di Otone. Spedito Otone in Lusitania, niente, nemmeno Ottavia e Agrippina, impedirono a Nerone di consumare la feroce passione stabilitasi con Poppea. Quando morì Agrippina la pallida presenza di Ottavia non fu abbastanza per impedire ai due di stare insieme. Nerone tentò addirittura di esiliarla in Campania, ma il popolo era troppo affezionato a lei, così dovette trovare un modo diverso per sbarazzarsene. L’unica soluzione era accusarla di adulterio con un liberto già famoso per aver ucciso Agrippina, Aniceto. Egli, sotto comando di Nerone, confessò a cuor leggero il delitto e l’adulterio e poi fuggì da Roma. In un primo momento Nerone decise di esiliare nuovamente Ottavia, ma passò poco tempo prima che ne ordinasse l’esecuzione per dissanguamento, avvenuta il 9 giugno 62. La sua testa fu recisa e consegnata a Nerone e Poppea.

Busto di Claudia Ottavia.

AGRIPPINA MINORE

Il giovane Nerone fu addestrato al governo fin da subito, seguito direttamente da Agrippina e dal suo precettore Lucio Anneo Seneca. Lo scopo della donna era quello di governare, creandosi una cerchia tutta sua di sostenitori, e questo poteva avvenire solo sfavorendo Britannico, figlio di Claudio, anche lui papabile erede al trono. Per un periodo funzionò anche, e Agrippina sembrava aver raggiunto il suo scopo, isolando Britannico dalla corte e mettendo in luce Nerone, ma Claudio non aveva alcuna intenzione di acconsentire. Non vi era altra soluzione che avvelenarlo. Così, approfittando dell’assenza di Britannico, Agrippina uccise suo marito Claudio e questo portò Nerone sul trono. Agrippina divenne poi la flaminica del Divo Claudio e della Casa Giulia, quindi la massima sacerdotessa di Roma. Incurante che non fosse lei al potere, riequilibrò lo Stato come una vera imperatrice, guadagnandosi il titolo di Augusta per le sue doti morali e politiche. C’è da dire che Agrippina non credeva che il figlio fosse un problema, quindi tendeva ad ignorarne la presenza politica. Le fonti descrivono il loro rapporto come morboso e a tratti inquietante, ma è anche vero che in realtà Nerone poco la sopportasse a causa del suo atteggiamento accentratore. Iniziò dapprima ad ignorarla, preferendo la compagnia di Seneca e Burro, e poi prese a tradire ripetutamente la perfetta moglie scelta da sua madre, Ottavia, con la libertà Atte, prima di sostituirla definitivamente con Poppea. Per ripicca Agrippina volse le sue attenzioni a Britannico, così Nerone lo fece uccidere, avvelenandolo durante un banchetto. Da lì fu il declino. Nonostante la presenza di Poppea avesse indebolito Agrippina, la donna non demordeva. Si decise così di ucciderla. In un primo momento Nerone tentò il metodo classico, e la avvelenò, ma era evidente che non si può uccidere un serpente con la sua stessa arma. Così, nel 59, mandandole un falso invito per una cerimonia in onore di Minerva a Baia, la fece salire su una barca che affondò non causalmente. La donna si salvò, nuotando e nascondendosi sott’acqua per non essere vista dagli attentatori giunti sul posto per raccogliere il suo corpo. Ferita, fu salvata da alcuni pescatori che la portarono in una villa sul lago Lucrino. Nerone, appresa dal liberto Lucio Agermo la notizia che la donna non era morta, gettò un pugnale ai suoi piedi e lo accusò di aver attentato alla sua vita per ordine di sua madre. La scusa era pronta e così Aniceto fu incaricato di raggiungerla sul lago Lucrino con alcuni sicari. Dopo che l’ebbero colpita in testa con una mazza, nonostante la ferita grave, lei urlò: “Colpite al ventre che lo ha generato!“. Loro eseguirono. Nerone viaggiò di persona per vederne il corpo.

IL GRANDE INCENDIO DI ROMA

Uno dei più grandi eventi avvenuti durante il principato di Nerone fu il grande incendio del 64 d.C. passato alla storia come il più grave dei suoi crimini (presunti). Il fuoco scoppiò nella notte tra il 18 e il 19 luglio, nella zona del Circo Massimo e andò avanti senza sosta per sei giorni. Tre delle quattordici regioni di Roma andarono completamente distrutte, mentre altre sette si ridussero a pochi cumoli di macerie. Non era raro a Roma, come in tutte le città antiche, che scoppiasse qualche incendio, specialmente d’estate. Le case erano in gran parte di legno e in molte stanze erano presenti tantissime fiamme libere. Inoltre, la vicinanza degli edifici tra di loro, separati da strade strette e vicoli insistenti, favoriva senza sforzo l’ampliarsi dell’incendio. Degli incendi si occupavano sette coorti di vigilees, liberti che si occupavano di spegnere gli incendi localizzati. Nerone in quel periodo era ad Anzio, ma tornò di corsa a Roma quando gli giunse la notizia che ormai anche la sua casa, la Domus Transitoria, stava soccombendo alle fiamme. Non perse tempo e soccorse il popolo, diede loro viveri e riparo, in barba ad alcune fonti che invece lo vedono osservare Roma bruciare, recitando l’Eneide sul terrazzo del suo palazzo.

Rappresentazione dell’incendio di Roma.

IL COMPORTAMENTO DI NERONE

Scagionato l’imperatore rimaneva da dare la colpa a qualcuno. Capro espiatorio furono i cristiani, accusati a causa della loro appartenenza a quella che al tempo era considerata al pari di una setta. Molti cristiani morirono, nei modi più brutali e disparati, ma alcuni storici restano fermamente convinti che sia stato Nerone, folle e violento, a volere che Roma bruciasse. Il motivo era la volontà dell’imperatore di radere al suolo la vecchia città, così da essere ricostruita per far spazio alla sua Domus Aurea. Questa è una teoria ancora fortemente discussa e recentemente anche smentita. Le fonti di accusa provenivano in gran parte dal Senato, il quale era profondamente contro Nerone, poiché tendeva ad ignorarne l’autorità e la prestigiosità in favore del ceto popolare. Eppure il comportamento di Nerone, pur potendo (sforzandosi) essere intrepretato come ambiguo, fu quanto più corretto possibile per Roma. Ordinò l’abbattimento degli edifici sulle pendici dell’Esquilino non per distruggere ancora di più Roma, bensì per evitare che l’incendio si propagasse. Emanò un provvedimento che prevedeva lo sgombero di macerie e cadaveri, e il gesto di buon senso fu visto invece come un tentativo mal celato di impadronirsi dei beni dei cittadini. È bene però ricordare che dopo il grande incendio, seguito da un altro due giorni dopo, scoppiato sul Palatino e sul Celio, è stato il pretesto (seppur tragico) per costruire Roma come è adesso. La popolarità degli incendi a Roma comportava ricostruzioni sempre più innovative. L’assetto urbano di Roma come è oggi è dovuto principalmente alle misure di ricostruzione volute e promulgate da nient’altri che Nerone.

LA GUERRA CON I PARTI

Nonostante il suo principato sia più interessante dal punto di vista della politica interna, specialmente vista la nomea che l’imperatore si conquistò nei suoi anni di regno, Nerone non mancò di occuparsi delle campagne fuori Roma, come anche tratta Giulia Weyler nel suo articolo (“Il 9 giugno Nerone si suicidava: ripercorriamone il principato sotto una nuova luce” ). Ottenne infatti qualche successo significativo sul fronte orientale. Qui stanziò un famoso generale, Domizio Corbulone, il quale riuscì ad avere la meglio sui Parti e a portare di nuovo l’Armenia sotto l’influenza di Roma. Nel 66 Nerone incoronò a Roma il re armeno Tiridate, di fatto uno dei clientes dei Romani, durante una fastosissima cerimonia. In questa occasione si chiusero le porte del tempio di Giano e fu proclamata a gran voce la pacificazione dell’Impero. Risolta la situazione a Roma Nerone partì per la Grecia, dove intendeva compiere una tournée artistica per tutte le poleis greche.

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