“Mi chiamano cacca“. Queste sono le parole della piccola protagonista del video, mentre racconta al papà che a scuola i compagni la prendono in giro per il colore della sua pelle.
“Ma perché sono nata tutta scura?”
Questa è una delle domande che una bimba di 4 anni pone al suo papà. Non stiamo parlando di un film o di una serie tv, ma di un video condiviso sui social da un padre napoletano che riprende sua figlia mentre lamenta che i compagni di scuola la prendano in giro per il colore della sua pelle. La madre della bambina ha origini ghanesi e da lei la bambina ha ereditato il colore della pelle. Il padre con la condivisione dello sfogo della figlia ha voluto denunciare il clima crescente di discriminazione razziale. L’uomo racconta ai giornalisti che le prese in giro sono iniziate un anno fa e l’associazione tra il colore della pelle e la presa in giro è nata dalla mente della piccola. Questo è forse un indizio che anche i più piccoli non sono estranei alla discriminazione? E, se fosse così, come nasce e come si instaura il pregiudizio razziale nei bambini?

L’inclinazione al pregiudizio
Queste sono le domande che diversi studiosi si sono posti. Grazie anche agli studi di Sherif sappiamo che appartenere ad un certo gruppo (etnico in questo caso) ha degli effetti ben precisi sulla visione e sulla considerazione degli altri gruppi. Quando ci viene chiesto di fare delle valutazioni nei confronti di un outgroup prendiamo come riferimento il nostro gruppo di appartenenza (l’ingroup) come se fosse un prototipo, un insieme di linee guida in base alle quali determiniamo il nostro favore nei confronti dell’outgroup. Questo accade per gli adulti, ma vale anche per i bambini? Per un adulto la cui identità è ben formata, non è difficile identificarsi all’interno di un gruppo, ma per un bambino dovrebbe essere più complicato. Alcune ricerche effettuate con bambini e neonati hanno dimostrato che già in tenera età siamo in grado di sviluppare un pregiudizio positivo. Con questa espressione s’intende che il pregiudizio nei bambini si sviluppa grazie al riconoscimento delle persone più simili a loro. Già all’età di 3 mesi infatti i bambini esprimono preferenze nell’osservare volti di persone che riconoscono come appartenenti alla loro etnia, e a 9 mesi questa tendenza si stabilizza. Il pregiudizio positivo però è molto diverso dal pregiudizio razziale. Infatti non dovrebbe stupire che crescendo un bambino preferisca trascorrere il tempo con persone che gli ricordano l’ambiente familiare nel quale apprende, è amato ed impara a vivere, piuttosto che con persone del tutto estranee a questo ambiente; ma la facoltà di riconoscere volti simili al proprio da volti estranei alla propria vita quotidiana, non significa che i bambini sono razzisti.
Il pregiudizio razziale: un problema sociale
Potremmo dire allora che il razzismo viene appreso durante il vivere sociale? Sì. Già a 5 anni infatti i bambini sono portati a ritenere i membri proprio ingroup come più “buoni” e gentili rispetto a quelli dell’outgroup (esattamente come accade negli adulti); a quest’età l’ingroup però può essere definito anche da qualcosa di superficiale: pensate a quando si giocava a ruba bandiera. La squadra avversaria era quella che “rubava” sempre i punti, non è così? Per i bambini, che ancora non hanno un’identità ben costruita e solida, i confini dell’ingroup possono essere ridisegnati facilmente! Quello della famiglia è comunque un ambito stabile attorno al quale costruire un gruppo di appartenenza. Questo fattore di familiarità legato al favoritismo espresso nei confronti di persone simili a discapito di quelle che hanno un ceppo etnico differente, può portare allo sviluppo atteggiamenti razziali. Come si può evitare che il pregiudizio razziale di sviluppi nei bambini? Parlare delle differenze e rispondere alle domande dei bambini è la strada forse più scontata, ma anche la più efficace. Le parole, lo sappiamo, hanno un grande potere. Spiegare ai bambini cos’è il razzismo e perché è sbagliato giudicare le altre persone in modo superficiale, solo in base al colore della loro pelle può essere davvero molto utile. Un’altra cosa da considerare è il giudizio che noi adulti diamo degli altri in loro presenza: i bambini apprendono guardando, ascoltando anche se a noi non pare sia così. E, alla luce dell’importanza che la famiglia ha per la loro crescita, è importante porre l’attenzione sui termini che si usano tra le mura domestiche.
La scuola della piccola protagonista del video di cui abbiamo parlato in apertura, ha preso provvedimenti proprio seguendo la strada del dialogo con i bambini che frequentano la classe della giovane napoletana. Le istituzioni, ma la famiglia in primis, hanno un ruolo fondamentale per la prevenzione di atteggiamenti razziali. Possiamo quindi concludere che i bambini siano razzisti? No, ma imparano ad esserlo molto e la responsabilità grava tutta sulle spalle di noi grandi.
Valentina Brina