La realtà è spesso ingannevole, i nostri occhi credono di osservarla per come essa è, ma molti studi hanno ormai messo in evidenza come ciò che osserviamo siamo in buona parte noi stessi. I nostri occhi proiettano parte del mondo interno su quello esterno
Dal 2010 abbiamo assistito al diffondersi della vaporwave, il genere di musica elettronica famoso per il carattere estetico nostalgico, cyberpunk e che nello stile grafico si rifà in generale alle pop art anni ’80. Proprio questo stile molto caratteristico, in cui le immagini fortemente glitchate e composte tramite collage si prestano facilmente al fantasticare di ogni fan che, nel guardare una immagine composta dai più disparati elementi, può lasciarsi suggestionare da una melodia di pop ipnagogico, così chiamato proprio per il suo carattere confuso, sbiadito e che dà la sensazione di essere in una dimensione mediana tra il sonno e la veglia. Proprio il carattere che potremmo definire onirico della vaporwave ci permette ampiamente di fantasticare e di apprezzarla ancora di più.

La psicoanalisi, dopo numerosi studi sulla pratica dell’interpretazione dei sogni e dei casi clinici, ci ha fornito il materiale per comprendere che molto di quanto proviamo è la proiezione di qualcosa già presente in noi. Una delle numerose operazioni compiute dal nostro apparato psichico è proprio la proiezione, la tendenza generale a spostare sentimenti o caratteristiche proprie su altri oggetti o persone. Meccanismo generale del sonno è quello di deformare il prodotto, ossia il sogno, al fine di renderlo irriconoscibile alla coscienza, essendo esso l’appagamento di un desiderio troppo forte o sconveniente. Ecco che il nostro sogno si configura come una canzone vaporwave: elementi tra i più differenti, appartenenti al nostro passato, raffigurazioni plastiche ed un sottofondo che ci culla e ci trattiene in quello stato di sonnolenza. In tutto ciò, proiettiamo parte di noi stessi e possiamo apprezzare il genere ormai esclusivamente di nicchia, riposando e meditando in noi stessi.
Meccanismi proiettivi e di partecipazione emotiva
Una simile proiezione dei moti interiori avviene in particolar modo con ciò che consideriamo troppo insopportabile o grave per essere accettato come parte di noi stessi. La gelosia quasi patologica di chi accusa il proprio partner di sentimenti o pensieri infedeli anche difronte all’evidenza contraria ne è una prova. Questo non vuol dire che il partner geloso desidera tradire a priori, ma semplicemente che riconosciamo che è possibile provare attrazione al di fuori della coppia. La coppia stessa arriva a formarsi nel momento in cui i due amanti riconoscono parte delle imago genitoriali, le figure parentali che sono state introiettate, in un qualcosa di nuovo che è il partner della futura coppia. All’interno di questa si proietta un amore antico, quello provato in tenera età che torna a vivere in una veste più adulta e matura.

L’interpretazione della realtà attorno a noi non è del tutto fedele anche a causa della nostra tendenza a proiettare i più intimi moti dell’animo umano. Questi meccanismi proiettivi, comuni ai processi patologici quanto a quelli normali, sono i responsabili della generale tendenza ad umanizzare animali ed oggetti inanimati. La meteoropatia, termine che viene utilizzato per indicare una serie di disturbi psichici che si verificano in determinate condizioni meteorologiche, è presente in molti di noi come processo normale nel momento in cui una giornata piovosa ci provoca tristezza, angoscia o altri sentimenti non troppo allegri. Il mare in tempesta, di per sé, non possiede l’angoscia, l’ansia o la tristezza, ma è la nostra natura umana che ci porta ad attribuirgli, proiettandole, tali caratteristiche.
Meccanismi proiettivi nell’arte
Il discorso appena accennato ci introduce alla nascita del termine empatia. Utilizzato per la prima volta in ambito artistico da Vischer, “empatia” è la capacità inconscia di trasferire la “propria forma corporea e, con ciò, anche l’anima nella forma dell’oggetto“. Una prima concezione dell’empatia, artistica e che non riconosce l’alterità o l’oggetto in quanto tale, ma che proietta ciò che è il soggetto. Al pari del piccolo Hans, che nel suo nevrotico lavoro di fantasia sposta il conflitto edipico amore-odio dalla figura del padre a quella dei cavalli, l’artista opera una serie di trasformazioni di quelli che sono istinti propri di ogni essere umano. L’arte in psicoanalisi è la forma più elevata di sublimazione, un meccanismo che sposta l’energia della pulsione (sessuale o aggressiva) per utilizzarla in campi che accrescono culturalmente e socialmente l’essere umano.

Così, nel dipingere L’urlo, Munch rappresenta una realtà non consolatoria, bensì specchio della sofferenza e del dramma esistenziale dell’uomo moderno che, in preda al panico e all’angoscia, si abbandona ad una manifestazione di ciò che l’uomo moderno prova dentro di sé. L’artista stesso dichiara “Camminavo lungo la strada con due amici, quando il sole tramontò. I cieli diventarono improvvisamente rosso sangue e percepii un brivido di tristezza. Un dolore lancinante al petto. Mi fermai, mi appoggiai al parapetto, in preda a una stanchezza mortale. Lingue di fiamma come fiamme coprivano il fiordo neroblu e la città. I miei amici continuarono a camminare e io fui lasciato tremante di paura. E sentii un immenso urlo infinito attraversare la natura“.