“Perché scrivo”? George Orwell ci spiega l’importanza politica di una buona scrittura

 “Why I Write” di George Orwell analizza la vocazione di scrittore e l’arte fortemente politica dello scrivere.

George Orwell lays out 6 rules for clear writing and forceful communication

“Fin da bambino sapevo che sarei diventato uno scrittore ma ho ritardato il momento il più possibile”. Perché uno dei più famosi autori della letteratura inglese dovrebbe dire così? Scopriamolo insieme.

GIORNALISMO E ROMANZI

Goerge Orwell, famoso per La fattoria degli Animali e per 1984, scrive un piccolo opuscolo dal titolo evocativo: Why I Write, “perché scrivo”. La prima cosa di cui ci informa è che non voleva essere giornalista, avrebbe voluto scrivere romanzi naturalisti. Anzi, “giornalismo” per lui è un insulto ad un’opera.  Quel qualcosa che spinge Orwell a scrivere aveva spinto, quasi duemila anni fa, anche Giovenale: l’indignazione. Il suo secolo è ferito da tante cose che fanno indignare chi ha un senso di giustizia. Quando queste vengono raccontate da altri scrittori prevalgono occultazioni e falsità, a danno di uomini innocenti. Dice Orwell “in un’età pacifica avrei potuto scrivere libri decorativi ma sono stato costretto a scrivere opuscoli” … Why I Write, in particolare, è scritto per prendere parola contro il “bad writing”, la cattiva scrittura.

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BUONA E CATTIVA SCRITTURA

Quello che Orwell chiama “bad writing” è uno scrivere vago, basato su parole astratte e complesse e spesso, dato che lui è inglese, su un lessico inutilmente latinizzato. Invece di dire “stranger” si dice “alien”, una parola che di per sé non crea problemi, ma inutilmente altolocata in alcuni contesti. Si usano parole come “qualità”, “pace”, “democrazia” che hanno fin troppi significati relativi, quindi nessun significato concreto. Altra caratteristica di una cattiva scrittura sono le metafore “morte”, cioè in disuso, impiegate per la pigrizia di non inventarsi espressioni nuove. L’esempio di Orwell è “Achille’s heel”, “il tallone di Achille” ma in italiano si può pensare a “menare il can per l’aia” o “gatta da pelare”, che per davvero nessuno usa più. Orwell accusa il “bad writing” per l’uso che se ne fa in un campo tanto delicato quanto il giornalismo d’informazione. Dato che questo tipo di linguaggio non individua un oggetto concreto, Il lettore non deve immaginarsi niente quando legge, in sostanza non deve pensare; altra caratteristica, è un linguaggio musicale, suona sempre bene ed è facile da scrivere, quindi non richiede una maturità di pensiero.

LA VERA STORIA

Il secondo capitolo esordisce così: “mentre scrivo, esseri umani altamente civilizzati stanno volando sopra di me, cercando di uccidermi”. Questi sono probabilmente uomini rispettabili, che nella vita privata non sognerebbero nemmeno di commettere un omicidio, ma l’ideale che li guida è tanto forte che se Orwell fosse morto quella sera per una bomba piazzata bene, nessuno di loro avrebbe dormito male. Gli ideali sono fatti di parole vuote. La cattiva scrittura è un problema quando diventa uno stratagemma politico disegnato per far suonare “le bugie come verità e gli omicidi come gesti rispettabili”. È facile, dice Orwell, credere nella “pacificazione” e non nell’omicidio di persone scomode”, è facile credere nella “misura preventiva antiterroristica” e non nella distruzione di anime innocenti, donne e bambini, ritenute di troppo. La buona scrittura non è solo un fatto accademico ma è rilevante per la ricerca della verità e della giustizia ieri ed oggi.

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