Perché rinunciare al latino ed ai suoi numeri? Chiediamo una spiegazione ai musei parigini

Luigi 14 e Luigi XIV indicano sempre il Re Sole, allora qual è l’importanza delle parole, ma soprattutto dei numeri?

Sempre più spesso si ritiene che qualunque persona debba avere accesso alla conoscenza nella maniera più agevole e rapida possibile. Con questo non si intende condannare l’iniziativa di alcuni musei francesi di rimuovere i numeri romani dalle loro sale, primo fra tutti il Louvre, ma, piuttosto, commentarne le cause in quest’era di iper-semplificazione dello scibile umano.

La scelta di rimuovere i numeri romani dai musei

Nell’urgenza del sapere sembra non avere più importanza la profondità della nozione quanto invece la tensione superficiale che si estende sulle acque che navighiamo. Qualunque cosa ostacoli la corsa affannosa deve essere eliminata: più illuminanti i titoli del loro contenuto, si perderebbe troppo tempo nel leggerne le parole, meglio seguire la linea tracciata dai grassetti e ripetere le nostre idee in maiuscolo senza porre alcuna virgola. 

Al di là delle opinioni personali, la scelta portata avanti dal Louvre ormai qualche anno fa viene condivisa dal Musée Carnavalet, museo della storia di Parigi, dunque un museo che si occupa della salvaguardia storica della memoria di una città.

Prendere questa decisione ha un peso rilevante per via di ciò che sottintende: «non siamo contrari ai numeri romani ma possono essere un ostacolo alla comprensione», ha dichiarato la direttrice del museo, Noémie Gira, al quotidiano Figaro, riportato da il Post il 18 Marzo. Scrivono a proposito:

La decisione ha fatto discutere linguisti, insegnanti, latinisti e direttori di musei. Per esempio il direttore del museo di Belle Arti di Rouen, nel nord della Francia, si è opposto all’idea perché «il museo è senza dubbio uno dei luoghi dove possiamo continuare a far vivere e a spiegare» i numeri romani.

In un’epoca che vede come unica luce l’iper-semplificazione dei concetti non si vede l’opportunità del difficile, che serva ad includere per davvero.

La cultura è inclusione e l’eliminazione dei numeri romani appare come punta di iceberg di una tendenza che piuttosto che insegnare il significato dei numeri romani preferisce eliminarli. Un significato che vuole dare autorità al numero in contrapposizione ai numeri arabi, non perché essi siano meno di altro, attenzione ormai anche a sostenere la non uguaglianza delle definizioni. Più che inclusione si direbbe appiattimento.

Anzi, prima questa cultura non li insegna, poi li elimina visto che nessuno li conosce più, in favore di una più agevole comprensione del testo. Non dimentichiamoci anche la scelta di accorciare i testi in didascalia alle opere, tra i 1000 e 1500 caratteri, all’incirca tra i sette e i dieci tweet. Non avrebbe avuto forse più senso spiegarli questi numeri, magari accanto alle nano-didascalie, con un pannello dedicato alla storia dei numeri? Avremmo letto forse anche lì solo il grassetto ma magari mettendo i numeri romani in evidenza avremmo anche finito per impararli. 

 

La scomparsa dell’antico e della sua lingua

Una progressiva rinuncia volontaria che inizia secoli fa, giustamente, se si può parlare di giusto quando si parla effettivamente di gusto, e si evidenzia nella progressiva scomparsa del latino, non tanto nel parlato, fatto di per sé storico, quanto invece nello studio della stessa. Se una cosa non viene considerata utile allora essa cessa di esistere. Solo alcuni riescono a comprendere un motto oraziano, appunto per parlare dell’eternità di questa lingua che mostra ancora la sua contemporaneità senza fine: “omnes tulit punctum, qui miscuit utile dulci” (Ars Poetica, v. 343) ovvero “ha ottenuto tutti i voti chi ha mescolato l’utile al dolce”. 

Questa mescita di vini dolci ed utili indica una consapevolezza che sembra essere perduta, come se adesso separassimo tutto in categorie parallele, che non si tocchino mai, la funzionalità ed il piacere, senza che si alternino.

Solo pochi ormai capiscono l’importanza di queste fantomatiche lingue che aleggiano in quelle che usiamo ogni giorno, senza vederne gli scorci ed apprezzarne quei dettagli che le rendono, appunto, utili e dilettevoli. 

 

Il sistema dei prestiti e degli scambi linguistici

Le lingue vivono di scambi continui ed in un momento storico come quello che stiamo vivendo appare sempre più chiaro come possano arricchire un patrimonio linguistico o, al contrario, depauperarlo. La difficoltà che le lingue classiche hanno ad imporsi come veicolo di conoscenze utili ed operanti, si evince dal percorso che fanno le parole latine tornando nelle lingue sue figlie, in primis l’italiano. Non si vuole portare avanti l’idea di purismo linguistico bensì sottolineare come la dimensione anglicizzata della nostra società linguistica abbia dei risvolti che non finiscono per incrementarne la varietà. Prendiamo ad esempio le parole “media”, “plus” e “junior” o “iunior”, meno popolare, parole che non solo sono latine ma sono addirittura scritte in latino, ma come scegliamo di pronunciarle? Parliamo di “midia”, “plas” e “giunior”, quando andrebbero semplicemente lette così come sono scritte. Il latinista Jacques Gaillard dice infatti che i numeri romani non sono difficili da leggere ma che «da 20 anni siamo sotto l’influenza americana e gli americani non sanno leggerli».

Ma come, in un momento storico in cui si cerca tanto di essere fedeli alla lingua che stiamo parlando copiandone gli accenti, non rispettiamo il latino?

La scelta di questi musei parigini si pone esattamente nella linea tratteggiata dalla nostra lingua, affascinata dalle altre ed insicura nei passi, giovane e così ricca da non rendersene nemmeno conto. Dovremmo solo imparare ad insegnare i perché della cultura classica in modo tale che essi non vengano dimenticati, perché non siano ostacoli da cancellare ma da saltare perché ce ne siano di nuovi e ci stimolino ad andare sempre più in alto.

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