Perché proprio la donna? Cerchiamo di capirlo, analizzando la psicologia della violenza di genere

Oggi è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, istituita nel 1999 in ricordo delle sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal. Analizziamo dunque, la nascita delle discriminazioni di genere.

“La biologia è propensa a tollerare uno spettro di possibilità assai ampio. È la cultura che impone alla gente di attuare certe possibilità proibendone altre” scrive Yuval Noah Harari nel suo celebre libro intitolato “Da animali a Dèi“. Il suo capolavoro ci offre uno spaccato rivolto alle tre grandi rivoluzioni della storia dell’uomo: quella cognitiva, quella agricola e quella scientifica.  Oggi vedremo più da vicino la nascita del patriarcato e le dinamiche scatenanti della discriminazione di genere.

Nascita del patriarcato: le due teorie

La “teoria della forza fisica” sostiene che il patriarcato si sia venuto a creare soprattutto dalla differente potenza corporea tra uomini e donne, specie per un fattore ormonale, essendo il testosterone responsabile di una maggiore forza fisica. Appare evidente come, nelle società del passato (dove la capacità di sottomettere fisicamente i nemici rappresentava una qualità fondamentale) gli uomini abbiano beneficiato di questa disparità, anche a livello politico e sociale. La forza fisica ha rappresentato un fattore determinante anche nel mondo del lavoro, in particolar modo con l’avvento della rivoluzione industriale. Ciò che però ha contribuito a mantenere e ad alimentare il patriarcato, sono state le differenti credenze culturali sui generi, e l’educazione trasmessa ad entrambi i sessi. La “teoria dell’aggressività” difatti, identifica nella stessa il fattore determinante per la nascita del patriarcato. Nelle società del passato, segnate costantemente da guerre tra popoli, ciò che più contava non era la forza, bensì l’aggressività. Esiste anche un’altra teoria, quella dei “geni patriarcali“, ma essendo piuttosto screditata non la terremo in considerazione.

Forza fisica o aggressività?

La prima teoria presenta meccanismi fallaci. Anzitutto, non è vero che tutti gli uomini siano più forti di tutte le donne. Inoltre, la storia stessa ci dimostra come le donne siano state escluse anche da quei lavori che non richiedevano forza fisica, come carriere di tipo religioso o politico. Oltre ciò, nella storia dell’essere umano non è quasi mai esistita una gerarchia volta al conferimento del potere in base alla forza fisica. È sufficiente guardarsi attorno per notare come gli anziani esercitino maggior influenza sui giovani, nonostante il gap fisico. Volendo dare credito alla teoria dell’aggressività, ci accorgiamo subito come non sia possibile. Dopo un test su 120 volontarie, è stato pubblicato un articolo su “Nature” che dimostra come il testosterone (maggiormente presente negli uomini) favorisca gentilezza ed equità. È dunque eccepibile come il tratto dell’aggressività non sia determinato dalla genetica maschile, quanto dal suo ruolo di genere (virilità e mascolinità).

Chi è il violento?

Iniziamo col dire che il soggetto violento, molto spesso da origine alla violenza partendo dalla psicologia. Si tratta di un individuo volto ad azzerare l’indipendenza del partner, eliminando tutti gli appoggi esterni, come la famiglia o gli amici. Il partner dunque viene visto come una proprietà, anziché come una persona. Il potere economico, assieme a quello fisico, rappresentano le altre subdole armi a disposizione. Il controllo sull’altro non fa che alimentare l’ossessività, e la disobbedienza genera schernimenti verbali e violenze fisiche. Ottenere obbedienza è un processo infido, e solitamente si ottiene riducendo l’autostima del partner, minimizzando i suoi successi e sottolineando i suoi errori. In alcuni casi, l’insicurezza dell’aggressore gioca un ruolo fondamentale, spingendolo a proiettare i propri timori sull’altro. In altri casi, lo scopo è direttamente l’umiliazione nella sua forma più pura. La cultura patriarcale genera sicuramente un ruolo fondamentale, specie in tutte quelle situazioni in cui la donna decide di uscire dal proprio “ruolo”, ribellandosi alla violenza o alle leggi sociali.

Il problema è la radice

Fortunatamente, la cultura di stampo maschilista sta (lentamente) retrocedendo, e le speranze di una reale indistinzione tra sessi sono salde. Sono sempre di più le donne che ricoprono cariche importanti, e sempre più gli uomini che si aprono al mondo femminile, anche nel lavoro. Il problema però, non è tanto rappresentato dal mondo del lavoro o quello della moda, bensì dalle convinzioni culturali che vengono impiantate in ognuno di noi. Fin quando un uomo continuerà a vedere con aria di superiorità una donna, per quanto quella donna possa ricoprire una carica importante, vi sarà risentimento nei suoi confronti. Non è dunque un mondo da curare e ridimensionare, è piuttosto un intero modo di educare che va rivisto e adattato per garantire la parità tra sessi, etnie e tutte le categorie esistenti. La vera minaccia dunque, non è l’organo sessuale con il quale si è venuti al mondo, bensì il modo in cui la mente è stata plasmata negli anni.

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