Proposta per la pena di morte in Turchia: la gentile concessione di Erdogan

La pena capitale. La sua abolizione nel nostro continente risale allo stesso momento in cui si formò l’Unione Europea. Nel Protocollo Numero 6 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali ( che da ora in verrà chiamata solo Convenzione, per brevità) viene riportato infatti che : “La pena di morte è abolita. Nessuno può essere condannato a tale pena né giustiziato”.

Unione Europea, Treccani

Quando la Turchia, dopo la frammentazione dell’Impero Ottomano, ottenne finalmente l’indipendenza, subito tentò di avvicinarsi alla coalizione Europea. A causa però della Convenzione sopracitata, della quale la Turchia continua a violare una serie di protocolli, il neo stato ancora fatica ad ottenere l’okay per entrare. Un tentativo per l’accettazione comunque fu fatto e venne portato avanti anche con l’introduzione di un nuovo codice di procedura penale turco in cui la pena di morte viene sostituita dall’ergastolo. Così Ankara cercava di adeguarsi ad una delle condizioni proposte dall’UE per l’ammissione. Il nuovo codice inoltre garantiva maggiore libertà di pensiero e di espressione; per la prima volta venivano contemplati anche i genocidi e i crimini contro l’umanità, anch’essi punibili con l’ergastolo. La tortura diventava un “reato individuale” da punire  anche se commesso da reparti delle forze di sicurezza. Tutti questi sono passi da gigante per una nazione in cui la pena capitale è rimasta uno strumento di giustizia fino al 1999, ovvero anno in cui la Turchia ha finalmente ottenuto lo status di paese candidato all’Unione Europea, fino alla totale abolizione della pratica nel 2004.

Tutto questo era evidentemente destinato ad avere una vita breve: dopo il tentato golpe del 15 luglio 2016, il presidente Recep Tayyp Erdogan ha ricominciato a imporre degli atteggiamenti liberticidi. Lui stesso avrebbe affermato, poco dopo l’attentato, che il governo aveva l’intenzione di fare pulizia all’interno di tutte le istituzioni dello Stato  per liberarle dal “virus” che aveva innescato la rivolta sfociata nel tentativo di colpo di stato. Ma queste purghe con gli anni si sono trasformate in un fenomeno che opera su ben più ampia scala, arrivando a coinvolgere infine giornalisti, professori, nonché politici dell’opposizione. Erdogan ha in tutto e per tutto ripreso in mano un sistema autocratico che non ammette alcuna divergenza ideologica, tanto che, dagli oppositori, viene spesso chiamato con l’appellativo di “Sultano”.

Le forze armate bloccano i ponti sul Bosforo, in occasione del golpe in Turchia nel 2016.

È interessante ricordare che l’inizio della carriera politica di Erdogan è in realtà stata segnata dal fermo rifiuto della pena capitale. Nel lontano 2002, il leader del nuovissimo partito di opposizione, Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), parlò alla cerimonia di apertura del suo ufficio di partito a Silivri, Istanbul, dicendo: “ Noi siamo i predecessori di coloro che diranno sì all’Europa. La Turchia smetterà di essere solo una zona perimetrale. La pena di morte sarà completamente abolita.”

Ma già un anno fa si cominciava a parlare di un ribaltamento completo di posizione, che ha portato il leader del partito di maggioranza non solo a considerare l’ipotesi dei una reintroduzione della pena capitale, ma addirittura a voler tentare un referendum in associazione con uno dei suoi oppositori storici, il Partito d’Azione Nazionalista (MHP), che della pena di morte ha da sempre fatto un cavallo di battaglia. Referendum che però non vide mai la luce del sole, fatto che non sembra voler fermare la Turchia, che ritorna quest’anno più convinta e irremovibile che mai: l’AKP infatti ritiene che la reintroduzione della pena di morte e della castrazione chimica per i pedofili debba essere tra le priorità del nuovo parlamento. Lo ha reso noto il vicepresidente e portavoce del partito, Mahir Unal, secondo cui “tutti i metodi di punizione sono all’ordine del giorno” per chi abusa di bambini.

Recep Tayyip Erdogan, Wikipedia

Il problema starebbe nel fatto che, una volta firmato e ratificato il Protocollo Numero 6 della Convenzione, non ci sarebbe possibilità di ritirarsi dall’adempimento di quanto validato. Ciò che è scritto nei vari protocolli è ognuno parte integrante della Convenzione, questo per ciascuno stato che lo ratifichi.

La Turchia lo ha ratificato, quindi Ankara ora avrebbe come unica via il rifiuto e la  denuncia dell’intera Convenzione. Così facendo, però, i cittadini turchi perderebbero quella sorta di rete di sicurezza che li teneva protetti da qualsiasi nuova iniziativa che volesse restringere ulteriormente lo spettro dei diritti della popolazione.

Per evitare tale scenario, il Consiglio Europeo aveva sempre deciso di  agire preventivamente. Thorbjørn Jagland, Segretario Generale del Consiglio d’Europa dal 2009, ancora nel 2010 dichiarò che: “La nostra organizzazione crede fermamente che  ci sia la necessità di spiegare alla popolazione perché la pena capitale sia sbagliata. Solo in questo modo potremmo assicurarci che le future generazioni comprendano appieno perché la pena di morte sia stata abolita e perché dovrebbe rimanere abolita.”

Purtroppo pare che il progetto di sensibilizzazione non sia andato a buon fine, e ora l’Europa deve capire cosa fare in caso la Turchia decida di rendere la pena capitale di nuovo legale. In questo momento, come nel 2017, Bruxelles non ha una risposta chiara. Una cosa è certa: il Consiglio Europeo, ovvero l’organo che è a capo della salvaguardia dei Diritti Umani in Europa, deve essere chiaro con Ankara riguardo al completo isolamento che rischia con questo passo. Rifiutando tutta la Convenzione, infatti non è concepibile nemmeno l’appartenenza all’Unione Europea. Le due sono le facce opposte di uno stesso medaglione.

In sintesi: la reintroduzione della pena capitale vorrebbe dire che la Turchia si troverebbe completamente isolata in Europa.