Nell’intervista rilasciata per MiTomorrow, Theø, Plant e Fiks, il trio punk meglio conosciuto come La Sad, si raccontano con parole decise e precise, consapevoli di trattare nel testo della canzone Autodistruttivo temi spinosi ma urgenti, gli stessi che spingevano i grandi poeti a scrivere.
https://www.mitomorrow.it/online/primo-piano/milano-sanremo-la-sad-autodistruttivo/
Il diavolo e l’acqua santa
“«Tra un po’ diventeremo in sei e non sapremo più se siamo Il Volo o La Sad. Sceglieremo poi. Siamo l’acqua santa e il diavolo».
Chi è l’acqua santa?
F.: «Noi ovviamente».
P.: «Da una parte il trio più cattivo d’Italia, dall’altra La Sad»”
Irriverenti e ironici come ce li aspetteremmo La Sad portano sul palco di Sanremo e in intervista una loro immagine poliedrica e cozzante con il loro aspetto – la loro forza sta anche in questo (ndr) – si definiscono l’acqua santa tra i due trii presenti in gara sul palco dell’Ariston: loro e il Volo. Di primo acchito potremmo anche non essere d’accordo, voglio dire li avete visti come si conciano? I cantanti del Volo, invece, sono la concretizzazione di ciò che ci si aspetterebbe da un trio di cantanti lirici: impostati. Ma perché allora lasciare che gli altri siano considerati il diavolo? Dopotutto sarebbe molto più coerente con l’immagine che lasciano di loro. Qualcuno potrebbe dire che la loro sia solamente una provocazione, il che è assolutamente probabile ma c’è dell’altro: i la Sad hanno una piena consapevolezza del messaggio che manda il loro modo di essere e lo utilizzano appieno: in una canzone dalla forma e dalla struttura punk ecco un messaggio chiaro: non girarsi dall’altra parte nei confronti dell’alienazione contemporanea. “Se vai a vedere i testi nostri e di altri artisti e li vai ad analizzare bene senza decontestualizzare le frasi, capisci che noi professiamo solo messaggi positivi che possono essere raccontati anche con un linguaggio crudo.”
Autodistruttivi
Sul palco dell’Ariston, nella prima serata del 74° Festival di Sanremo, i La Sad hanno presentato un pezzo dal contenuto distruttivo, o meglio, Autodistruttivo: alienazione, sofferenza, ferite, sentimenti, a volte schiaccianti, a volte assenti, sono i temi delicatamente trattati in un testo dal forte impatto e da una musica decisamente punk.
La loro è una necessità vissuta e sentita in prima persona ma, ahimè, non nuova, non esclusiva: si sono fatti carico della sofferenza di tutti, toccando argomenti, quello del suicidio e dell’alienazione, spinosi. “La vita è fatta anche di sofferenza. Tutti soffrono e chi dice che non soffre mente”, puntualizza Fiks nell’intervista rilasciata per MiTomorrow il 07 febbraio scorso.
Sono i portabandiera rumorosi di una società che, fermatasi anche solo un secondo a riflettere sul testo, hanno l’opportunità di rispecchiarvisi o girarsi dall’altra parte.
Se ieri c’era la tendenza di far in modo che tutti i sentimenti negativi venissero forzatamente assopiti, oggi se ne ha più considerazione, li si ascolta e si cerca di scendere a patti con una società e un io frammentati.
Da Foscolo a La Sad
Ma questa, quella del 2024, quella riflessa nelle parole della canzone dei La Sad e non solo, quella che affoga in una lacrima e si auto sabota quotidianamente, non è la prima e non sarà l’ultima – a meno che i nostri ragazzi dalle creste verdi non siano identificati solo per il look.
Mutatis mutandis, i nostri anni sono figli dei secoli e dei tormenti passati: non c’è poi differenza tra la sofferenza racchiusa dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis, romanzo di Foscolo, il senso di alienazione sentita dai poeti vociani e il testo degli artisti che ascoltiamo su Spotify.
Il senso di labirintite che si avverte nelle opere a cavallo tra il XIX e il XX è lo stesso dei nostri artisti contemporanei: si è spaesati, disillusi, preoccupati, inquieti e tormentati.
“E affoghi fino a quando non provi emozioni”
“Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l’ho pregato, – ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine…”
Notate differenze? Esclusa la sintassi e il lessico il significato è il medesimo: perché allora dare credito alle parole di Montale (In limine, Ossi di seppia) solo perché letterarie e non prestare orecchio a un grido della stessa intensità di chi, cito testualmente, ce la sta mettendo tutta per diventare gli idoli delle nonne?