Ottobre 1961: Sciascia pubblica il suo primo romanzo, ecco come la mafia diventò un tema letterario

Sciacca, 1947. Un sindacalista comunista viene ucciso e Sciascia decide di prenderne ispirazione per il suo romanzo.

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La mafia fa capolino nella letteratura, ma in chiave totalmente diversa. Per la prima volta è qualcosa da denunciare, un fenomeno da stagliare e da combattere. “Cosa nostra” è ormai lontana dai soliti toni aulici che le venivano riservati.

Il giorno della civetta, il primo romanzo di Leonardo Sciascia

Leonardo Sciascia è una delle personalità letterarie più poliedriche del panorama italiano. Oltre a impegnarsi come insegnante e scrittore è stato, infatti, anche un giornalista, un saggista, un critico d’arte e un politico. Pubblica il suo primo romanzo a quarant’anni, nel 1961, e il titolo di quello che diventerà uno dei capisaldi della letteratura italiana è Il giorno della civetta. Si tratta di un romanzo poliziesco che prende spunto dall’omicidio di Accurso Miraglia, ucciso a Sciacca, per opera di Cosa Nostra. Invero, non è la prima volta che Sciascia scrive di mafia, ma questo è uno degli esempi più lampanti e ben costruiti, perché per la prima volta la mafia viene rappresentata come un male, come qualcosa da combattere che da elogiare.

Di Sconosciuto Davide Mauro – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=47752971

L’apertura del romanzo e uno dei primi sintomi: l’omertà

Salvatore Colasberna, mentre sta per salire sull’autobus che lo porterà a Palermo, viene ucciso. Prima dell’arrivo dei carabinieri i passeggeri decidono di allontanarsi e rimangono sull’autobus solamente l’autista e il bigliettaio. Nessuno sa niente e nessuno sembra avere intenzione di confessare: il bigliettaio e l’autista non ricordano i passeggeri e il panellaro, che solitamente era in quelle zone, dice di non aver sentito nessuno sparo, fino a che, dopo due ore di interrogatorio, ricorda di aver sentito due colpi. Sarà il capitano Bellodi a seguire le indagini, ma si scontrerà con l’omertà che caratterizzava la Sicilia e, sebbene nessuno fosse propenso a dire qualcosa, si scopre che molto probabilmente l’omicidio deriva dal fatto che Colasberna non si era adattato al sistema mafioso. La storia continua tra silenzi e parole mai pronunciate, tra incertezze e piste difficili da seguire.

Un romanzo di denuncia

Il romanzo si compone di 17 capitoli, i quali sono sia di natura narrativa che dialogica, in sequenze alternate. I capili in forma dialogica, inoltre, non hanno un interlocutore definito. È compito del lettore, infatti, individuare chi sta parlando, come se si trattasse di un esercizio di decodifica. Come accennato precedentemente, si tratta di un romanzo giallo, che mette in primo piano il clima di intimidazione e di violenza creato dalla mafia in Sicilia. A questo si aggiunge l’omertà degli abitanti e il fatto che il suddetto silenzio, in un modo o nell’altro, non faccia che aiutare la stessa mafia e il suo potere. Si parla anche di politici. Spesso anche loro sono complici e quello che fanno è cercare di coprire i crimini mafiosi per poterne guadagnare dei benefici personali o, comunque, dei vantaggi.

Quello che si può dedurre dalla lettura del romanzo e dall’analisi di questi pochi punti che lo caratterizzano è che Sciascia sa molto bene quali sono i problemi che affliggono l’isola e sa anche come metterli a fuoco e come farli emergere in contesto letterario. Come primo romanzo, Il giorno della civetta, consegna al lettore tante e immense verità: la lotta contro un male che si combatte con la parola e gli ideali.

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