Correva l’anno 1929…ah no, scusate. È il 2019, il giorno dopo l’assegnazione degli Oscar. A seguito della premiazione, come ogni anno, si tirano le somme. Così accanto ai vestiti più o meno glamour delle protagoniste della serata, dopo essersi rifatti gli occhi con i super belli del mondo hollywoodiano, è l’impegno sociale la vera star della serata. Che gli attori della più grande industria cinematografica si schierino politicamente, incitino ad andare a votare e appoggino chiaramente una parte piuttosto che l’altra è risaputo, ma che l’Academy lanci candidamente un vero e proprio messaggio di amore sicuramente non è un’abitudine. Dalla serata di ieri sera si nota una sola, unica divisione: amore vs odio, razzisti contro integrazionisti. Insomma nel periodo delle barriere, muri, navi che non possono attraccare, immigrati rinchiusi e bambini separati dalla mamma gli Oscar consacrano tutto il contrario di ciò che la politica a forza di selfie e tweet vuole inculcarci. E se qualcuno sembra cascarci, forse vinti anche dalla paura e dalla disperazione, la maggior parte lotta contro questa discriminazione dilagante. Così la lista dei vincitori della nottata passata è capace di far venire un embolo a signoroni quali Donald Trump e Matteo Salvini.
I VNCITORI
L’Oscar per il miglior film va a Green Book, storia di un buttafuori italoamericano e un musicista afroamericano nell’America degli anni ’60. Con il protagonista pianista che sceglie di affrontare un tour nel sud dello Stato, da sempre quello più intollerante. Osannato mentre suonava, costretto ad usare il bagno dei “neri” fuori la casa principale fra una pausa e l’altra.
Quattro statuette sono andate al film Bohemian Rhapsody, storia dei Queen ma soprattutto di Freddie Mercury. Superbo cantante nato a Zanzibar da genitori indiani. Gay, immigrato.
E che dire di Alfonso Cuarón, messicano premiato come miglior regista e Spike Lee che si porta a casa l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. In particolare quest’ultimo considerato il regista nero più celebre, nei suoi film ha sempre trattato argomenti forti quali leggi interrazziali, droghe, violenza e razzismo. Ieri, saltato in braccio a Samuel L. Jackson in preda all’euforia, ha poi segnato un punto con un discorso altamente politico. Se da un lato citava gli antenati africani deportati come schiavi 400 anni fa, dall’altro ha inneggiato alle elezioni del 2020. Quando riguadagneremo la nostra umanità sarà un momento molto potente. Le elezioni del 2020 sono dietro l’angolo: mobilitiamoci e stiamo dalla parte giusta della storia. Facciamo una scelta morale d’amore invece che di odio: Facciamo la cosa giusta!
Un vero atto di ribellione con lo showbiz da un lato e dall’altro le barriere politiche.
NOI VS L’ALTRO
La teoria dell’identità sociale è stata sviluppata principalmente da Henry Tajfel intorno agli anni ’70. Appartiene alla branca della psicologia sociale e si prefigge l’obiettivo di studiare le dinamiche sociali. Nell’uomo è innato il bisogno di sentirsi parte di un gruppo, valorizzare il proprio gruppo e distinguerlo dagli altri. Favorire il proprio raggruppamento (ingroup) e discriminare tutti gli altri (outgroup) ci aiuta a formare la cosiddetta identità sociale. Quello che è un principio basilare del mondo sociale, che definisce i nostri comportamenti, diventa uno strumento al servizio del razzismo. Pregiudizi, stereotipi nascono proprio dalla volontà, ovviamente smodata di distinguere quasi maniacalmente noi dagli altri. Eppure questa separazione è frutto di una serie di processi cognitivi utilizzato dall’uomo in modo automatico, primo fra tutti la categorizzazione.
I TRE PROCESSI COGNITIVI
Qualsiasi cosa, che sia un oggetto o una persona con cui entriamo in contatto viene automaticamente categorizzato. Classifichiamo tutto perché ci aiuta a capirlo e ad identificarlo. Bianco, nero, rotondo, quadrato, cristiano, musulmano, studente, lavoratore, laddove possiamo assegnare una categoria noi lo facciamo. Farlo anche con le persone, ci aiuta a creare il nostro ambiente sociale e ad adattarci alle norme del nostro gruppo. L’identificazione sociale è la base che effettivamente ci aiuta a creare la nostra identità sociale. Normalmente si appartiene a diversi classi donna o uomo, italiano o non, ed è proprio essere membri di svariati gruppi che ci dà l’identità sociale. Il passo finale è il confronto sociale. Una volta che ci siamo classificati come appartenenti ad uno specifico gruppo, tendiamo a paragonarlo con gli altri. Considerare l’ingroup come migliore dell’outgroup, svalutare gli altri, aumenta la nostra autostima ma apre anche le porte al concetto di superiorità. Questo è il passaggio fondamentale che ci fa capire il pregiudizio. Così in questa lotta fra gruppi, in questo voler spingere a forza l’umanità indietro di 100 anni con lo scontro fra razze, l’unica scelta possibile è solo una: Amore o Odio.
Sonia Felice