Appena qualche giorno fa ci ha lasciato non solo un’attrice e una cantante bravissima, ma anche un’icona imprescindibile del suo tempo: stiamo parlando di Olivia Newton-John.
Occhi azzurro cielo, capelli biondi chiari e un sorriso mozzafiato: Olivia Newton-John la ricordiamo così ancora oggi. La Sandy di Grease, però, è spirata due giorni fa. Da anni era malata di un aggressivo tumore al seno che, malauguratamente, l’ha strappata al mondo a soli 73 anni. Lo stupore provocato dalla notizia è ancora tanto vivo nella maggior parte delle persone e l’opinione pubblica si è subito attivata per celebrare la già compianta star hollywoodiana. Tra dediche sui social e trasmissioni di Grease sul piccolo e grande schermo, tutto il globo si unisce nel ricordo di Olivia.
Il suo capolavoro: Grease
Chi non ha mai visto almeno una volta Grease? Praticamente nessuno, immagino. E’ uno di quei prodotti di cultura popolare così inflazionati che anche un bambino di tre anni riuscirebbe, a grandi linee, a dire di cosa parla. Il musical capolavoro di Kleiser, infatti, è uno dei film più conosciuti di sempre. La storia d’amore tormentata fra due adolescenti all’ultimo anno di scuole superiori, Sandy e Danny Zuko, ha emozionato almeno tre generazioni di persone. Tra separazioni e ricongiungimenti, lotte tra gang e ore di scuola, Grease continua a fare presa su un pubblico di qualsiasi età. D’altronde, come dubitarne? L’affiatamento fra i due protagonisti, interpretati da Olivia Newton-John e da John Travolta, è palpabile. La colonna sonora, poi, non ne parliamo: sfido chiunque a dire di non averla mai cantata sotto la doccia. Lo vedo che mentite.
L’importanza della moda in Grease
In Grease è palese l’importanza rivestita dal fattore moda: sono gli anni ‘5o e c’è un fervore culturale mai visto prima. I ragazzi fanno a gara per identificarsi fra di loro, in gruppi, e per distinguersi, al contempo, dalla massa. E, nel film, si vede proprio bene: ci sono diverse gang, ognuna delle quali, oltre ad avere le sue regole di comportamento, il suo territorio di ‘appartenenza’ e il suo modo di parlare, ha anche uno stile di vestiario precisissimo. Vediamo un sacco di jeans, di All Star e di chiodi di pelle nei gruppi maschili, ma anche di capelli cotonati, gonne al ginocchio plissettate e bomber colorati fra le ragazze. Ecco davanti a noi le mode degli anni ’50, portate avanti da diversi consorzi di subculture differenti fra loro.
Il meccanismo della moda
Vi siete mai chiesti, però, come si diffonde una moda? Siamo tantissimi nel mondo, tutti siamo diversi fra noi, siamo distanti fisicamente (e non), però tutti abbiamo lasciato da parte i jeans skinny in quest’ultima stagione per abbracciare quelli baggy. Thorstein Veblen, un sociologo statunitense di fine Ottocento, descrive il meccanismo con il quale si diffondono le mode come trickle down. La spiegazione del termine è semplice: le classi sociali più agiate iniziano a portare un certo elemento, che le distingue dalle classi subalterne. Questa cosa, che può essere un vestito, ma anche uno strumento (come il cellulare), diventa comune fra i più ricchi. La richiesta della merce aumenta, anche fra i più poveri, che, pian piano, possono cominciare ad acquistarla. Con un effetto di sgocciolamento, dall’alto in basso, la moda si diffonde anche nei ceti inferiori, portando a un’omologazione sociale. Così, per differenziarsi dal popolino, ma, allo stesso tempo, per accrescere la coesione fra loro, le classi più alte trovano un nuovo prodotto esclusivo. E il ciclo ricomincia.