L’ingrediente segreto per avere una nevrosi alla moda e restare sempre aggiornati sugli ultimi complessi sessuali e traumi psichici? Sicuramente, un padre assenteista o una madre troppo invadente di cui lamentarsi dallo psicanalista. Solo che ancora non abbiamo capito che odiamo e amiamo anche lui perché ci ricorda mamma e papà.
Siamo nel 2021 e su tutte le ultime piattaforme digitali, in ogni istante, compaiono video di ragazzi e ragazze che dispensano tips, alla Seneca con Lucilio, su come trovare l’uomo dei propri sogni, uno sugar daddy. Dicesi sugar daddy, un uomo di una certa età che mantiene una donna o un uomo più giovane. Profondamente e sinceramente riconoscente per i regalini da Hermès e per i viaggi alle Maldive, la o lo sugar baby si sdebita con dei favori. No, non per forza sessuali. Siamo nel 1957 e se la Dolores di Nabokov, meglio nota come Lolita, avesse avuto uno smartphone? Non sarebbe mica rimasta a casa a cucinare la minestra per il patrigno, anzi forse si starebbe godendo una bella vacanza a Disneyland Paris. Come? Ovviamente, finanziata dal ricavato del suo account su onlyfans.com.
Il complesso di Edipo come statement letterario
Qualche legge per la tutela dei minori dopo, la nostra couple-reference continua ad essere il solito aristocratico, cultore dell’arte in piena crisi di mezza età, Gustav von Aschenbach e il baby Tadzio, in vacanza con i genitori e senza Wi-Fi. Il XX secolo raccontato da Thomas Mann non è mai sembrato così realistico. Mai come in quel preciso momento letterario sono andati di moda i legami morbosi tra madre e figlio e le immedesimazioni con il genitore defunto. Sì, sto parlando di Giovanni Pascoli. I must-haves di questa stagione secolare? Assolutamente le diagnosi di isteria, gli internamenti forzati in istituti psichiatrici e il transfert (da biasimare?) con lo psicanalista. Peccato, oggi siamo proprio nel secolo sbagliato: hanno chiuso i manicomi e l’analista non risponde al telefono.
Gadda: l’uomo che gioì della morte della madre
Mi sono chiesta quale potesse essere il collegamento tra l’ossessione di Brad Pitt di copiare gli hairstyles delle sue fiamme e la difficoltà per Carlo Emilio Gadda di trovare un finale per le sue opere che non cambiasse con la stessa frequenza con cui Ungaretti andava a capo. Ugualmente, non comprendo come la decisione di Umberto Saba di gettare nel dimenticatoio il cognome paterno Poli possa linkare l’abitudine del mio cane, forse stressato e con evidenti problemi di socializzazione, di montare la gamba di mia madre. La risposta a questi riverberi pseudo-intellettuali è chiaramente l’amore ai limiti dell’incesto per la cara e dolce mammina che, però, continua a deluderci ripetutamente quando tutte le sere ci chiama a tavola, ma non mai è pronto.
I dirty secrets di Casa Morante
Non dobbiamo colpevolizzarci se non riusciamo ad amare qualcuno, è comprensibile. Siamo figli e nipoti della generazione di Elsa Morante, una delle scrittrici più prolifiche del Novecento che forse visse, per venticinque anni, al fianco dell’adultero Alberto Moravia perché ebbe due padri. Infatti, se Umberto Saba era totalmente privo, la Morante addirittura ne poteva contare più di uno. Infatti, conosciamo Francesco Lo Monaco, padre biologico dei figli Morante, ma presentato come uno zio alla lontana, nelle veci di Augusto Morante. Lo stesso Augusto, da cui i figli avrebbero poi ripreso il cognome, che, però, era sempre impegnato a consumare quegli amori omosessuali, che il matrimonio con Irma Poggibonsi, la madre di Elsa, per obblighi morali, non permetteva. Ritroviamo l’analisi del caso patologico di Elsa nel primo romanzo che scrisse, Menzogna e sortilegio. Forse, possiamo apostrofarlo come una ricostruzione a posteriori della bislacca storia della sua famiglia, che, in realtà, altro non era che la proiezione dell’analisi della propria personalità. Insomma, il significante della storia sono le intriganti e intricate figure degli avi, mentre il significato della realtà è Elsa stessa.
Keeping Up With The Kafkas
Dimentichiamoci dei Kardashian e ritorniamo all’archetipo della tipica famiglia mitteleuropea del Novecento, quella di Franz Kafka. Anche il povero Franz, come Carlo Emilio, aveva come vizio il non concludere: non concludeva le opere e non concludeva i fidanzamenti. Persino Gregor Samsa, il protagonista de Le metamorfosi, non conclude. Indirizzato dalla penna di Franz, la sua miserabile vita da scarafaggio finisce nello stesso modo insulso con cui era cominciata e, per questo, si lascia solamente morire d’inedia. L’inconcludenza dell’esistenza kafkiana è il riflesso di quel complesso di colpa che lo fa sentire come se fosse un peso per la famiglia, soprattutto per il padre. Hermann, come hai potuto non accorgerti che, lentamente ed inesorabilmente, l’adorazione che Franz nutriva per te si è trasformata in disprezzo? Per tutte quelle volte che gli hai fatto abbassare lo sguardo e lo hai fatto pregare di avere un padre diverso in un’altra vita. Per tutte quelle volte che lo hai fatto sentire inferiore, inadatto, incolore e, invece, bastava solo un abbraccio o una carezza. O, almeno un po’ di considerazione. E pensare che ti ha pure dedicato un’intera Lettera al padre. Questa non è la finzione di Gregor Samsa, ma è la vita di Franz Kafka, l’unico vero scarafaggio in tutta questa storia e nessuno se n’era mai accorto.
Si sta come Lily-Rose negli huge parties a L.A. senza genitori
Quando si parla di conflitto generazionale con i genitori non c’è distinzione che tenga: siamo tutti figli problematici (anche loro). Un giorno siamo Luigi Pirandello, non riusciamo a comunicare con gli adulti, specie con nostro padre, e allora scriviamo la tesi di laurea sul dialetto usato proprio dalla nostra famiglia. Un altro giorno ci alziamo dal letto e siamo Lily-Rose Depp, non mangiamo, rispondiamo male, prendiamo cattive abitudini. Ma perché? Forse, perché i nostri genitori separati ci viziano, ci lasciano fare quello che vogliamo, da soli, però poi, siamo noi i cattivi. Su qualche saggio di storia, si legge ancora che le masse seguivano i dittatori, con lo stesso fervore con cui si dice che Nietzsche perseguitasse Cosima Wagner, perché quella mano minacciosamente alzata in aria o quel pauroso baffetto, troppo nero per essere vero, ricordavano loro il nostalgico ideale di Padre-Padrone. Allo stesso modo, Leopold Bloom, Richard Dalloway, il Dottor S. avevano finito, per puro bovarismo, per rimpiazzare un padre. Quel padre lì, che scendeva sempre a comprare il latte e le sigarette, ma che rimaneva per anni bloccato nella fila. O almeno, questo è quello che mi ha detto mamma. Ça va sans dire.
In realtà, la domanda più difficile da rivolgere ad una persona non è mai stata “che lavoro vuoi fare da grande?”, piuttosto “vuoi più bene a mamma o a papà?”.