Nettuno: come usare la forza di gravità per scoprire un pianeta

“Puntate il vostro telescopio, guardate là e troverete un pianeta.” Così Le Verrier trovò Nettuno usando carta, penna e le leggi di Newton.

L’umanità osserva le stelle

173 anni fa, un uomo si accorse che Urano non si muoveva come avrebbe dovuto. Si armò di carta, penna e della legge di gravitazione universale. Fece dei conti e scoprì un pianeta. Oggi lo chiamiamo Nettuno.

Tre giganti gassosi ai confini del sistema solare

La storia ci insegna che la maggior parte delle scoperte avviene per caso. Un po’ come quando Galileo comprò un cannocchiale – strumento di guerra – e lo puntò verso la luna. O come quella volta in cui Newton, in contemplazione nel suo giardino, sentì un rumore, si voltò e vide una mela. Si dice di imparare dai propri errori, ma spesso si trascura quanto gli errori siano fondamentali quando si vuole scoprire qualcosa. Oggi, tuttavia, è l’anniversario di una scoperta unica nel suo genere. Potremmo dire, una delle poche in cui il caso non ha avuto un ruolo da protagonista. Correva l’anno 1846. Un uomo, di nome Urbain Le Verrier, comunicò al mondo l’esistenza di un ottavo pianeta del sistema solare, oltre a quelli già conosciuti. Precisò inoltre di non averlo mai osservato. La sua affermazione era frutto di una dimostrazione matematica. Per comprendere la portata di tale scoperta, siamo però costretti a compiere un passo indietro. Riavvolgiamo i nastri della nostra storia e ripartiamo dall’inizio.

Ai confini del sistema solare, ossia il piccolo gruppo di oggetti che orbita attorno al nostro Sole, esistono tre giganti gassosi. Si tratta di Giove, Saturno e Urano. Il primo è noto al grande pubblico per la macchia rossa sulla sua superficie. Il secondo per il sistema di anelli che lo circonda. Il terzo per il fatto di essere azzurro. Questi giganti gassosi sono diversi dai pianeti rocciosi come Marte, Venere e la Terra. Come suggerito dal nome, sono molto più grandi e sono composti principalmente da gas. Per rendere meglio l’idea, è curioso sapere che la Grande Macchia Rossa di Giove è una tempesta secolare che potrebbe contenere tre pianeti grandi come la Terra.

Il sistema solare

La straordinaria scoperta di Urbain Le Verrier

L’esistenza di questi pianeti era nota già alla fine del 1700. Per lunghi decenni diversi astronomi ebbero modo di osservare il moto dei tre giganti e riuscirono a tracciarne le orbite. Le confrontarono poi con quelle teoriche, calcolabili grazie alla legge di gravitazione universale sviluppata da Newton. Scoprirono che le orbite effettive di Giove e Saturno coincidevano con quelle teoriche, mentre Urano si comportava in modo bizzarro. Era come se non seguisse la legge di Newton. Alcuni scienziati avanzarono l’ipotesi che forse la legge fosse sbagliata, ma non era il caso di Urbain Le Verrier. Il matematico e astronomo francese era convinto che Newton avesse ragione e intuì la possibilità che esistesse un quarto gigante gassoso e che fosse quest’ultimo a disturbare l’orbita di Urano.

Sfruttando le teorie della meccanica orbitale, egli compì complessi calcoli, al termine dei quali ottenne la massa e l’orbita del pianeta fantasma. Comunicò i risultati all’osservatorio di Berlino, dove lavorava Johan Gottfried Galle. Fu quest’ultimo, la notte del 23 settembre, a osservare il pianeta scoperto da Le Verrier. Si trattava di un quasi-gemello di Urano. Fu chiamato come il dio romano del mare: Nettuno. Seguì un acceso dibattito sulla paternità della scoperta. A onor del vero è necessario riportare che, parallelamente a Le Verrier, anche lo studioso John Adams era giunto alla stessa conclusione.

Newton, la mela e altri curiosi episodi (Frits Ahlefeldt)

La legge di gravitazione universale alla base della scoperta

Tralasciando la polemica su chi abbia veramente scoperto Nettuno, approfondiamo piuttosto il metodo usato da Adams e Le Verrier. I loro calcoli sono basati sulla meccanica orbitale, argomento piuttosto complesso da trattare. Focalizziamoci perciò sulle fondamenta di questa disciplina, ovvero sulla legge di gravitazione universale.

Quest’ultima è il frutto di quel caso di cui si parlava all’inizio dell’articolo, ovvero della storia di Newton e della mela. Vedendola cadere, il padre della meccanica classica si pose una domanda bizzarra: “Come mai le cose cadono verso il basso e non verso l’alto?” La risposta è relativamente semplice: esiste una forza che attrae i corpi nello spazio. Più in dettaglio, due corpi dotati di massa si attraggono l’un l’altro grazie all’azione di una forza. L’intensità di quest’ultima dipende da due attori principali: la massa e la distanza. Maggiore è la massa dei due corpi e più essi sono vicini, tanto più grande sarà la forza con cui ciascuno attrae l’altro. Questa forza è comunemente chiamata gravità.

Le azioni della gravità si possono comprendere con tre semplici esempi. Il primo è l’interazione tra il Sole e la Terra. È grazie alla forza di gravità che la Terra ruota attorno al Sole. Il secondo esempio è simile: si tratta dell’interazione tra la Terra e la Luna. Questo secondo esempio ci consente però di apprezzare meglio il funzionamento della legge. Da un lato è vero che la Terra attrae la Luna, difatti quest’ultima ruota attorno al nostro pianeta. Tuttavia, si può osservare anche il secondo effetto della legge: ovvero anche la Luna attrae la Terra. In particolare il nostro satellite riesce a spostare l’enorme massa d’acqua degli oceani. È la causa che dà origine alle maree. Infine, il terzo esempio siamo noi. Sottoposti all’attrazione della Terra rimaniamo ancorati al suolo e se saltiamo, come la mela, ci ricadiamo.

Legge di gravitazione universale

L’importanza di saper ascoltare l’universo

Quanto emerge da questo racconto può essere oggetto di una breve riflessione. Gli sforzi profusi da Le Verrier e da Adams sono sicuramente encomiabili dal punto di vista della scienza, ma dovrebbero stimolare la nostra attenzione su un aspetto ancora più importante: la capacità di ascoltare. I due astronomi non corsero a conclusioni affrettate demolendo l’opera di Newton. Piuttosto, ebbero la pazienza di ascoltare l’universo e si sforzarono – come il loro illustre predecessore – di comprenderlo fino in fondo. Raggiunsero un risultato straordinario. C’è molto da imparare da questa lezione. Per migliorare la nostra esistenza su questo pianeta, forse basterebbe questo. Quando pretendiamo di avere ragione, fermiamoci e facciamo come Le Verrier: impariamo ad ascoltare.

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