Il 10 settembre di ogni anno ricorre la “Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio” istituita per aumentare la consapevolezza intorno a un tema fortemente stigmatizzato dall’intera società.
Il suicidio è un fenomeno complesso intorno al quale esiste, tutt’oggi, una forte reticenza: spesso, infatti, si preferisce non parlarne. Ma quale problema si è mai risolto stando in silenzio? Come vedremo, le campagne di sensibilizzazione, la prevenzione interdisciplinare, il sostegno reciproco, i centri d’ascolto, le linee telefoniche o anche una semplice chiacchierata possono davvero salvare delle vite!
Diamo un’occhiata alle statistiche
Nel mondo avvengono ogni anno 800 000 suicidi: ogni 40 secondi una persona si toglie la vita.
Il suicidio non è riconducibile a una sola causa, esistono diverse motivazioni -spesso concatenate- che concorrono a sviluppare intenzioni suicidarie. E non esiste una risposta univoca al perché di un suicidio. Di certo alcuni fattori contribuiscono ad aumentare il rischio, come difficoltà economiche, disturbi psicologici (stress e burn-out, depressione, schizofrenia ecc.), consumo di alcol e stupefacenti, ecc.
I suicidi sono drasticamente in aumento, soprattutto tra i giovanissimi, complice anche la pandemia da covid-19. In molti Paesi industrializzati, tra cui l’Italia, il suicidio è la seconda causa di morte nei giovani tra i 15 e i 25 anni.
Il tasso di suicidio è maggiore in Europa e nel sudest asiatico; e tra i Paesi che hanno un tasso di suicidio molto alto troviamo Corea del sud, Lituania, Russia, Giappone.
Queste poche indicazioni statistiche ci suggeriscono che la problematica del suicidio è davvero molto diffusa; i dati sono allarmanti ed è fondamentale investire nella sensibilizzazione e nella prevenzione con approcci interdisciplinari. Innanzitutto, occorre parlarne a livello scolastico, sanitario e sociale.
La storia di una poetessa italiana dimenticata
Di suicidio si parla poco, troppo poco perché è considerato un argomento tabù, al punto che spesso alcuni volti della cultura vengono “dimenticati”. È il caso della poetessa italiana Amelia Rosselli (1930-1996) morta suicida.
Un’autrice poco conosciuta, quasi mai studiata a scuola, raramente nominata in tv o sui giornali non prettamente letterari, forse, anche, a causa della sua biografia piuttosto tormentata.
Amelia Rosselli nasce a Parigi nel 1930 da padre italiano e madre anglo-americana. Quando ha solo sette anni, il padre e lo zio, antifascisti e fondatori del movimento “Giustizia e Lbertà”, vengono brutalmente assassinati dalle camicie nere. In seguito, Amelia, la madre e il fratellino si trasferiscono dapprima in Svizzera, poi negli Stati Uniti e in Inghilterra. Affronterà vari ricoveri in cliniche svizzere e inglesi e le verrà diagnosticata una forma di schizofrenia paranoide. Dopo la morte della madre, Amelia si stabilisce a Roma ed esordisce su “Il Menabò” di I. Calvino e E. Vittorini.
Tra le sue opere più note:
- Variazioni belliche (1964) in cui la Rosselli amalgama i linguaggi poetico e musicale, arrivando a comporre “versi da suonare”, più che da leggere. Appartengono a questa raccolta anche alcune delle sue poesie più belle dedicate a Rocco Scotellaro, grande poeta lucano, morto a soli trenta anni.
- Serie ospedaliera che si apre con il poemetto “Libellula” dedicato all’impegno civile, in ricordo del padre. Le altre poesie riguardano invece l’esplorazione interiore.
- Documento (1966-1973) dove si hanno riferimenti alla contemporaneità storica e sociale.
- Impromptu, scritto di getto in una sola giornata.
- Sleep, scritto in inglese, in cui emerge la sfera più intima della Rosselli.
- Diario in tre lingue, in cui si mescolano italiano, la lingua del padre, inglese, la lingua della madre, e francese, la lingua della formazione; è qui che si delinea maggiormente la sua forte sperimentazione plurilinguistica.
L’11 febbraio 1990, esattamente trentatré anni dopo Sylvia Plath (1932- 1963), Amelia Rosselli -dopo l’ennesima dimissione da una casa di cura- si toglie la vita, gettandosi dalla finestra del quinto piano del suo appartamento in via del Corallo, Roma.
Amelia Rosselli aveva letto e tradotto le poesie della Plath e le sue traduzioni sono tra le migliori perché colgono quello che è il vero messaggio di dolore e di feroce e sofferente attaccamento alla vita e agli affetti.
Dobbiamo agire adesso
Occorre ridurre i suicidi e i tentativi di suicidio. Già. Questo, tuttavia, non è semplice e non si tratta di una problematica che è possibile risolvere da un giorno all’altro. Eppure, c’è qualcosa che possiamo fare, che dobbiamo fare. Cosa?
Parlarne, discuterne, condividere esperienze, storie, investire nella prevenzione con un efficace approccio multisettoriale e attività mirate, con campagne di sensibilizzazione e di intervento a livello nazionale, sanitario e non. Perché abbiamo visto che occorre tener conto dei potenziali fattori di rischio che riguardano certamente la sfera medica, ma anche il contesto sociale, scolastico, economico e relazionale.
In molti Paesi non si parla spesso di suicidio, lo si stigmatizza, lo si demonizza e non lo si considera come una priorità di salute pubblica da gestire, quando -al contrario- abbiamo visto che, purtroppo, si tratta di un fenomeno complesso piuttosto diffuso.
Molte sono le associazioni, i centri di ascolto, le linee telefoniche che ogni giorno si impegnano per prevenire i suicidi, si impegnano a sostenere, ad ascoltare, a dare speranza. Perché a questo mondo c’è bisogno di speranza.
In alcuni momenti sembrerà di vedere soltanto buio attorno, ma c’è sempre, sempre, almeno uno spiraglio di luce, occorre “farlo durare e dargli spazio” (Calvino) e, soprattutto, occorre parlarne.