L’uni-mente e l’unificazione
Dead Space è una perla horror nel mare di videogiochi del suo genere. Gli antagonisti principali della serie sono i Necromorfi, corpi defunti utilizzati come ospiti e mutati in creature disturbanti. Sono comparsi in seguito alla scoperta di un manufatto alieno detto “il Marchio” e hanno organismi altamente adattivi. La loro natura aggressiva verso ogni organismo vivente è volta a diffondere l’infezione il più possibile e ad ingrossare le loro fila. L’aspetto davvero interessante dei necromorfi e la fitta rete mentale attraverso cui comunicano e ricevono istruzioni. Questi esseri non sembrano possedere volontà propria, ma sono sottoposte all’uni-mente. L’intera “specie” infatti è controllata dalle Lune sorelle, due piccoli pianeti interamente formati da biomassa, accumulatasi durante l’evento chiamato “convergenza”. Il loro slogan “rendici uno” rende decisamente chiaro tutto il loro programma politico: infettare e unificare tutti gli organismi viventi. Alcuni sostengono che i necromorfi siano l’evoluzione dell’uomo, e affermano che dobbiamo abbracciare il dono che il marchio ci offre. Sotto l’influenza dell’artefatto è sorta una chiesa di fedeli prende il nome di “Unitology”.

La mente come pura informazione
Paradossalmente la struttura cerebrale dei necromorfi è molto più vicina a quella di una possibile intelligenza artificiale che non dell’homo sapiens. I cervelli degli essere umani sono essenzialmente divisi e autonomi. Sebbene possiamo comunicare con il linguaggio esso è solo uno strumento di condivisione di simboli più che di simbiosi cerebrale. Diverse intelligenze artificiali, al contrario, sono facilmente integrabili tra loro. Le scoperte scientifiche degli ultimi anni interpretano homo sapiens, e gli esseri viventi in genere, come “algoritmi biochimici”. Gli algoritmi fungono come insieme di istruzioni, attraverso cui gli organismi prendono decisioni e fanno calcoli. Nell’uomo, segnali elettrici che si spostano rapidamente attraverso i circuiti neuronali formano quelli che chiamiamo ‘pensieri’ e, in ultima analisi, la coscienza. Tutto questo fa sorgere una domanda. La mente è legata indissolubilmente al corpo o potrebbe esistere in un contesto del tutto virtuale? Alcuni esponenti del transumensimo (corrente di pensiero che spinge per l’utilizzo della tecnologia come potenziamento degli individui) sostengono che la mente sia pura informazione. L’inventore Ray Kurzweil, per esempio, ragiona sul fatto che visto che la mente non è una sostanza materiale, ciò vuol dire che può prescindere da un corpo fisico. Esso è semplicemente un involucro biologico che ospita la coscienza, di cui un giorno potremo liberarci.
Perché biologia e tecnologia si danno la mano
Altre correnti sostengono al contrario che solo mantenendo la continuità con il corpo materiale possiamo preservare l’identità dell’individuo come persona. Posto che un apparato sensoriale e cognitivo per esperire il mondo è fondamentale per la coscienza, dovremmo valutare l’opzione di fornire l’I.A. di una controparte biologica? In questo scenario, che cosa ne uscirebbe fuori? Un vantaggio competitivo enorme che questi esseri potrebbero vantare è la capacità di creare un enorme network di comunicazione che bypassi il linguaggio, trasferendo informazioni direttamente soggetto a soggetto. Sorge però la necessità di enormi centri di elaborazioni e sofisticati algoritmi capaci di smistare questa enorme mole dati. L’analogia con i necromorfi ci fornisce due importanti caratteristiche che un’intelligenza artificiale biologica potrebbe possedere. Primo, l’uni-mente garantisce la capacità di interconnettere numerosi soggetti in una sincronia perfetta ed è dunque una peculiarità che distingue il cervello umano da quello di possibili macchine senzienti. Questo aspetto porta con sé la necessità di enormi centri di elaborazione dati, funzione svolta dalle Lune Sorelle in Dead Space e dalle Data Center sparse per il pianeta già oggi. L’altro aspetto è l’assenza di individualità, sottoposta ad una coscienza collettiva che pensa e sente all’unisono. Questo è il nocciolo della questione “rendici uno”. La chiesa di unitology venera il marchio perché ripone in esso le speranze della vita eterna. Divenendo una parte del tutto, perfettamente subordinata, la morte non è più una questione che mi riguarda. Posso morire io o il mio corpo, ma continuerò a vivere attraverso l’unificazione.
