Narciso: personaggio mitico ispiratore dell’arte figurativa è anche figura dell’Uomo contemporaneo

Quello di Narciso non è solo un mito, ma l’emblema di un carattere ben preciso. Eccolo introdotto in Ovidio, Caravaggio e Lowen.

Il mito di Narciso, assai noto a chiunque, si riflette nella letteratura, nella società, nella psiche degli esseri umani. Caravaggio e Ovidio ne forniscono un assaggio.

“Narciso” secondo Michelangelo Merisi

Il grande Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, realizzò un famosissimo quadro che reinterpreta il mito di Narciso narrato da diversi autori (Ovidio, Pausania, Partenio), in chiave a lui contemporanea. Vi è rappresentata la scena finale del mito ovidiano, nella quale Narciso osserva la propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua, poco prima di affogare. Lo sfondo, come in tutti i quadri del pittore, è scuro, e la luce radente esalta il protagonista. Questo è completamente immerso in una contemplazione quasi estatica della propria immagine riflessa: non ha occhi per nient’altro. Sarà proprio questa eccessiva contemplazione, non solo della propria immagine, ma di sé in generale, a causarne la tragica disfatta. Gli abiti sono propri dell’epoca di Caravaggio: egli attualizza il mito, rendendolo archetipo di modelli comportamentali relativamente alla sua società, eternandolo quasi inconsapevolmente.

 

“Organon” aristotelico

Narciso come commistione di livelli di mimesi

E’ presente l’incrocio fra il primo ed il secondo livello di mimesi aristotelica, e lo specchio d’acqua ne è il discrimine: nella parte superiore del quadro il protagonista è rappresentato per come realmente è, nella parte inferiore per come appare. Il contrasto fra apparenza e realtà, fra materia e forma, se si vuole, invita ad una profonda riflessione che sfocia nel piano filosofico-analitico. Narciso è vanità, è insana auto-contemplazione, patologica talvolta: la sua fronte è bassa a fronte dell’osservatore, ma alta verso se stesso: Dante lo avrebbe definito un superbo, probabilmente. Quello che appare -si badi bene, pubblicamente, ma chi ne gode avidamente e sempre e soltanto Narciso- è un giovane meraviglioso riflesso nello specchio d’acqua. La materia è dunque ciò che appare, la forma , il sostrato, è invece ciò che guarda cupidamente all’apparenza. E’ così che Narciso risulta meraviglioso nell’aspetto fisico, ma l’unico oggetto del suo interesse, e dunque ciò che riempie la sua anima, è l’esteriorità in riferimento alla propria persona. Non vi è nulla oltre questo: Narciso non può manifestare interessi altri da questo, a causa della propria inflessibile forma mentis, né vuole farlo.

Narciso nel mito ovidiano

Nel mito ovidiano, la figura di Narciso è descritta alla luce della vicenda amorosa con la ninfa Eco, e fu proprio questa versione a fornire spunto alla psicanalisi junghiana, in particolare, nello studio dei casi di narcisismo. Eco, una ninfa dei monti, si innamorò di Narciso, figlio di Cefiso, una divinità fluviale, e della ninfa Liriope. Cefiso aveva circondato Liriope con i suoi corsi d’acqua e, avendola così intrappolata, aveva sedotto la ninfa, che diede alla luce un bambino di eccezionale bellezza. Preoccupata per il futuro del bimbo, Liriope consultò l’indovino Tiresia, il quale predisse che Narciso avrebbe raggiunto la vecchiaia “se non avesse mai conosciuto se stesso.” Raggiunto il sedicesimo anno di età, il giovane divenne una fonte di desiderio per qualsiasi donna, ma respingeva chiunque. La ninfa Eco, un giorno, lo seguì coraggiosamente nel bosco, ma non potendo rivolgergli la parola e potendo invece solamente ripetere le ultime parole pronunciate dall’interlocutore, a causa di una punizione ricevuta da Giunone, venne da lui respinta. Sconsolata e triste, trascorse il resto dei suoi giorni in valli solitarie, lasciando come ricordo di sé solamente la voce. Nemesi, indispettita per quanto accaduto, decise di punire Narciso: mentre beveva da una pozzanghera nel bosco, quest’ultimo si innamorò della propria immagine riflessa nello specchio d’acqua, ma rendendosi conto di non poter ottenere l’amore di quel ragazzo, che aveva ritenuto essere altro da lui all’inizio, si lasciò morire nello struggimento. Si compiva così la profezia di Tiresia.

Il mito di Narciso nella psicanalisi

Come avevo anticipato, il mito ovidiano ha costituito un modello di studio per la psicanalisi. Uno dei massimi psichiatri ad occuparsi del disturbo narcisistico fu Alexander Lowen in trattati come “Paura di vivere”, ma in particolare “Il narcisismo. L’identità rinnegata”. Il primo è un vero e proprio trattato di psicanalisi, nel secondo invece si squaderna un racconto più incline alla letteratura di esperienze di analisi del Dottore. Risulta inoltre molto interessante l’approccio bioenergetico alla pratica della psicoterapia.

Eziologia del narcisismo secondo Lowen

In questi due saggi l’autore racconta che, a parere di Freud, il disturbo narcisistico, così come molti altri, avrebbe origine nel complesso di Edipo. Dunque, il “casus belli” sarebbe proprio un rapporto falsato fra madre e figlio (più raramente fra padre e figlia) che intaccherebbe la sessualità imberbe dell’infante. Si possono presentare diversi casi: madri troppo oppressive e presenti, madri che si pongono sullo stesso livello del figlio, magari mostrando la propria nudità, o non operando la giusta distinzione gerarchica fra genitore e figlio nel rapporto fra i due, o, ancora, se si presenta una grave carenza d’affetto da parte della madre.

Il narcisismo oggi

Interessante risulta la descrizione della personalità narcisista nella società odierna. L’identikit dell’uomo narcisista è quella dell’uomo d’affari, l’uomo impegnato nel lavoro, l’instancabile. Il narcisista, detto anche “persona vampiro”, appare come splendido e perfettamente impeccabile, nutrendosi avidamente dei sentimenti altrui, ma è come una lupa dantesca “carca ne la sua magrezza” . L’uomo-macchina non manifesta sentimenti, non può provarli, in quanto si trovano sommersi nella sua psiche e molto difficilmente raggiungibili. Nelle relazioni sentimentali, essi assolvono il ruolo di padroni, e si abbinano spesso a chi invece soffre di dipendenza affettiva, distruggendo il fragile equilibrio di questi soggetti, che reagiscono attaccandosi al narcisista, ma inutilmente: per la propria forma mentis, egli non può esprimersi sentimentalmente, significherebbe scoprirsi in tutte le sue fragilità, assolutamente schermate da questo meccanismo di difesa, che agisce quasi come una legge del contrappasso. Da un punto di vista sessuale, risulta assai semplice distinguere un uomo narcisista: è quel tipo di uomo che recita come in un film a luci rosse, cercando di performare il proprio ruolo di seduttore (in senso kierkegaardiano), e di dio della sessualità, di macchina del sesso. Avere un rapporto intimo con un narcisista significa avere un rapporto esclusivamente sessuale, che non può essere d’amore. Egli mantiene delle erezioni innaturali, che sembrano quasi indotte, per un periodo di tempo decisamente superiore alla media, non guardando mai negli occhi la compagna, non comunicando con lei, ma chiudendosi ed irrigidendosi, trattenendosi in queste lunghissime sessioni del rapporto, al fine di sentirsi elogiato. Come Narciso si chiude in sé, così l’uomo, nella massima rappresentazione della propria intimità, quel momento in cui anche le fragilità più nascoste vengono fuori dinnanzi ad un partner coinvolto, rifugge all’interno di un muro assolutamente invalicabile. Fiumi e fiumi d’inchiostro sono stati scritti sull’argomento, ma ciò che è interessante sottolineare, è, ciò che Terenzio aveva già notato in ambito prettamente letterario: ogni cosa è già stata detta o scritta da chi ci ha preceduto, dunque il mito può insegnarci a vivere e a pensare.

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