Il ruolo della donna è stato lungamente associato a quello della musa ispiratrice, ma cosa succede quando le donne sono muse per se stesse?
Femmina e donna, quale delle due? Quando sia parla del femminile nell’arte si tende a qualificarlo come essenziale principio dell’ispirazione. In questo senso le donne sono state soggetto dei quadri e della letteratura ma erano nella realtà delle cose, quelle che si toccano e si guardano davvero, riflesso di un altro soggetto, riflesso dello sguardo che si aveva su di loro. Si è dunque venuto a creare un paradosso, donne dipinte, che esistono solo nello spazio della pennellata, ma non dei loro occhi.
Le muse nell’antichità
Donna angelo, femme fatale, musa. Gli attributi che sono stati cuciti sulle forme delle nostre madri e continuano ad esserlo sulle loro figlie non sono dati da donne. Il fatto appare di per sé molto chiaro ed in un certo senso auto-esplicativo. Qualora si parli di femminile si crea un certo alone di mistero, lunare quasi, incomprensibile per chi vive alla sola luce del sole. I principi vitali delle diverse culture del mondo si basano appunto sulla distinzione che il genere umano ha in sé, andando a caratterizzare i poli del mondo che possiamo e non possiamo vedere. Proprio analizzare lo sguardo può essere utile per comprendere come il femminile sia stato lungamente solo scorto, mai guardato, mai visto davvero, per timore di non averne più il controllo.
Le muse sono state prese a modello per le arti, che non a caso hanno il genere grammaticale al femminile. Esse sono divinità, figlie di Zeus e Mnemosyne, la Memoria, ed ancora oggi riescono ad irradiare il loro potere, proteggendo i campi della sapienza umana, conoscendo non solo il passato ed il presente ma anche il domani. Il loro canto era il migliore, chiunque le sfidasse ne veniva irrimediabilmente sconfitto; così le sirene perdono le loro ali e le muse le rendono corone.
Da un certo momento in poi le muse non cantano più, lasciano che siano altri a tessere le loro voci, si lasciano guardare, leggere, scolpire, intagliare nelle melodie della vita, fino a divenire riflessi, fino a divenire dormienti.
Le muse dormienti
La musa è nuda? O è spogliata? Perché nelle opere pittoriche non riusciamo a tenerne lo sguardo? Cosa ci spaventa?
Carol Ann Duffy, poetessa scozzese, della modella dice così: “Sei ore in questo modo per pochi franchi./Pancia capezzolo culo alla luce della finestra/lui mi prosciuga il colore. Un po’ più a destra,/Madame. E cerca di stare ferma” (Standing female nude). Il testo si conclude in maniera lapidaria, il quadro non le somiglia, dice, lei lo guarda ma non vi si riconosce. Semplicemente non è lei, quell’immagine non è suo specchio, ad essere rappresentato è lo sguardo che ha su di sé. Ci basti pensare che molti pittori erano così attenti alle parti che dovevano rappresentare da scegliere alcune modelle, alcune muse, per alcuni piccoli dettagli, una spalla, una coscia, collage di donne inesistenti di cui temiamo il giudizio. Sono muse dormienti, muse che non possono pensare.
Vi sono delle donne che tuttavia, già nel XVI secolo, hanno provato ad uscire dalla loro condizione ma hanno potuto farlo soltanto perché in situazioni estremamente privilegiate o estremamente svantaggiate. La loro libertà era frutto di un eccesso. È bizzarro leggere per noi i testi di Isabella Andreini perché, in piccoli lampi, lo sguardo diviene femminile: “ma se pur tu vuoi precipitarti/ io voglio che questo seno mio sia il tuo precipizio”.
Le muse parlanti
Persino Montale, con tutti i capolavori di cui è stato capace, temeva le donne. E non le temeva perché mute, ma perché dotate di voce, forse eredi di quel canto musaico con cui si perdeva la conoscenza. Lo spaventavano e spaventano ancora molti uomini dell’oggi.
Da poco tempo le donne sono riuscite ad essere soggetti attivi del proprio canto, senza temere il giudizio degli occhi. Li hanno aperti e non guardano altrove, fisse nell’occhiata furtiva dello spettatore, che è innanzitutto figlio dello specchio. Non è facile vedersi riflessi in qualcosa che non si sa guardare perché non si sa dove cominciare.
Goliarda Sapienza, Elsa Morante, Isabella Andreini, Medea, Mnemosyne, Iside, tutti riflessi di una gemma che pareva dimenticata ma ha gli occhi giusti finalmente, gli occhi veri, liquidi, della metà del mondo che può cantare.