Il Doomsday Clock è un orologio metaforico che fissa un riferimento a un’ipotetica fine del mondo. Il suo ultimo aggiornamento ha sancito il minimo storico.

Ogni anno, dal 1947, gli scienziati della rivista Bulletin of the Atomic Scientists dell’Università di Chicago ci fanno sapere quanto siamo vicini a un ipotetico apocalisse. Lo fanno in maniera curiosa, aggiornando l’ora segnata da un orologio fittizio. Più l’ora si avvicina alla mezzanotte, più il mondo è prossimo a una catastrofe di natura umana.
L’aggiornamento del 2020 parla chiaro: il pericolo è alle porte
Mai, nella storia del Doomsday Clock, le lancette si erano avvicinate così tanto alla fatidica mezzanotte. In precedenza la distanza minima, due minuti, era stata raggiunta solamente in due occasioni: nel 1953, quando gli Stati Uniti decisero di portare avanti il programma sulla bomba a idrogeno, e nel 2018, complici il fallimento dei leader mondiali nel bloccare il riarmo nucleare.
D’altro canto, la distanza massima dalla mezzanotte è stata di 17 minuti, tra il 1991 e il 1995, proprio quando, al termine della Guerra fredda, le due massime potenze si impegnarono a diminuire le armi strategiche. Sembrano tempi distanti anni luce, motivo per il quale il Bulletin ha espresso un parere così pessimista. Ad alimentare il pericolo, tuttavia, non è solo la crescente questione nucleare: la disinformazione e il riscaldamento globale, che proprio negli ultimi anni potrebbe aver iniziato a mostrare i suoi effetti, ci spingono verso l’ora più buia.

Cento secondi, ma in quale sistema di riferimento?
L’intera questione dell’orologio riassume la necessità dell’uomo di avere un sistema di riferimento. Il pericolo, misurato come distanza dalla mezzanotte, è un metodo piuttosto efficace per capire veramente quanto il nostro mondo sia in bilico. Cento secondi (1 minuto e 40) sono pochi, ma se li si paragona con la massima distanza dalla mezzanotte (17 minuti), si può capire quanto il giudizio della rivista americana sia sempre stato tutto fuorché roseo.
Paragoni e sistemi di riferimento. Sono tutto quello che l’uomo ha sempre avuto per dare un’interpretazione della realtà. Diciamo di essere nel 2020, senza renderci conto che usiamo un sistema di riferimento temporale (la nascita di Cristo). Crediamo di essere fermi, ma in realtà ci muoviamo insieme alla Terra lungo la sua orbita a 108 mila chilometri orari (attorno al Sole). Inoltre, facciamo parte del sistema solare, il quale si muove alla velocità di circa 800 mila chilometri orari (attorno al centro Galattico).
Si può quindi capire quanto sia importante avere ben chiaro il sistema di riferimento che si sta usando per descrivere un fenomeno. Difatti, due sistemi di riferimento diversi possono portare a conclusioni diametralmente opposte. Essere consci del proprio punto di vista è perciò essenziale. Sono molti i casi, nella storia, in cui i sistemi di riferimento hanno influenzato a tal punto l’uomo da portarlo a interpretare la realtà in modo errato.

Problemi di relatività (galileiana)
Uno dei più celebri è stato stigmatizzato da Galileo Galilei all’interno del suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. In particolare, all’interno dell’opera, il fisico pisano cerca di rispondere a una domanda che gli veniva posta sovente: ma perché, se la Terra si muove attorno al Sole e, inoltre, ruota attorno a se stessa, allora noi non riusciamo a percepire il suo moto? Perché ci sembra di essere fermi?
Per mezzo del capitolo sul Gran Naviglio, Galileo invita il lettore ad un esperimento mentale: immaginandosi sotto coperta di una nave infatti stabilisce un’analogia tra gli avvenimenti che accadono quotidianamente sulla superficie terrestre e quelli che avvengono su un Gran Naviglio. Se la nave si muove a velocità costante, una volta sotto coperta è impossibile capire se si è in stato di moto oppure di quiete. Le cose cambierebbero solo se la barca subisse delle variazioni rispetto al senso di marcia. Questo accade perché il Gran Naviglio si muove e il suo movimento si trasmette a tutti gli oggetti che si trovano al suo interno. In un certo senso, è come se tutto ciò che si trova a bordo del sistema di riferimento sia trascinato dal sistema di riferimento stesso e questo trascinamento non si può percepire.
Allora, allo stesso modo, se la Terra si muove a velocità costante, un osservatore ancorato alla Terra non è in grado di capire se essa è ferma o si sta muovendo. Tutto ciò ha anche un’implicazione ben precisa: non esiste un sistema di riferimento considerato assoluto. In particolar modo questa concezione relativistica mette la Terra e l’uomo non più come punto di riferimento centrale, ma in relazione a qualcos’altro, venendo a cadere così la centralità di questi.

Una questione di punti di vista
Per capire meglio gli ultimi concetti, facciamo un esempio analogo a quello di Galilei. Siamo su un aereo in volo. Di fianco a noi è seduto qualcuno che, rispetto al nostro punto di vista, ci appare fermo. Arriva un assistente di volo e lo vediamo spostarsi a velocità d’uomo. Se non guardassimo fuori dal finestrino, sarebbe possibile capire che ci stiamo muovendo a 900 km/h? No, tranne in due occasioni: il decollo e l’atterraggio (ovvero durante le accelerazioni).
Quelli riportati, sono tutti esempi legati al primo principio della dinamica, o principio di inerzia. Siamo così abituati a vivere su un sistema di riferimento in cui vale tale principio, che spesso diamo per scontato, erroneamente, che tutto si comporti così. Un’automobile, per esempio, non è un sistema di riferimento inerziale e, al suo interno, sembriamo sbattuti a destra e a sinistra da quelle che ci appaiono come forze misteriose. Può essere questo un motivo di riflessione esteso anche a campi che non riguardano prettamente la fisica? Possibile che siamo talmente abituati a vedere le cose da un certo punto di vista da dimenticarci dei punti di vista altrui? Forse, se tutti noi considerassimo anche l’esistenza di “sistemi di riferimento” diversi dal nostro, oggi non ci troveremmo a 100 secondi dalla fine del mondo.
