Un breve viaggio nell’Universo di Harry Potter per scoprire come rendere innocue le paure più profonde.
La famosissima saga di J. K. Rowling è intrisa di riferimenti psicologici. Tra questi, il tentativo di mostrare a bambini e adulti due armi potentissime per far fronte alla paura: la parola e l’umorismo.
Voldemort si sconfigge chiamandolo per nome
“Le parole sono la nostra massima e inesauribile fonte di magia, in grado sia di infliggere dolore che di alleviarlo”.
Albus Silente è un ottimo preside e anche un adorabile vecchietto. Con questa frase riassume tutta l’importanza delle parole nel mondo di Harry Potter: con esse si attivano gli incantesimi e vanno pronunciate bene (sì, Hermione, si dice “leviòsa”, abbiamo capito).
Eppure c’è un termine che nessuno osa pronunciare:” Voldemort”. Silente è l’unico che ne dice integralmente il nome, mostrando ad Harry che è possibile affrontare il nemico più temuto di tutti. Da quel momento in poi, in molti seguiranno il suo esempio e il mago malvagio inizierà ad assumere la forma di un uomo, con una sua storia e le sue debolezze.
Insomma, per sconfiggere la paura, prima bisogna darle un nome. In fondo, è esattamente quello che accade in psicoterapia: pronunciare “l’innominabile”, ciò che più spaventa e ferisce. Questo è l’unico modo per iniziare ad affrontare un trauma o una fobia.
Chiamare la paura col suo nome è il primo passo per annientarla. Il secondo passo è mettergli in testa il cappello della nonna.
L’umorismo è un’arma
“L’umorismo è il più eminente meccanismo di difesa”, disse Freud. Ne era talmente convinto che scrisse un saggio in merito: “Il Motto di Spirito e le sue relazioni con l‘inconscio”.
I meccanismi di difesa sono strategie psicologiche che usiamo inconsciamente per proteggere la mente da pensieri e sentimenti troppo frustranti. L’umorismo è tra quelli più evoluti perché ci permette di cogliere gli aspetti grotteschi della realtà e sorriderne. In questo modo, la nostra psiche può trarre piacere anche dagli eventi più avversi. Insomma, ridere è un vero e proprio antidoto contro la sofferenza e la paura.
Secondo lo psicologo Rod Martin, esistono quattro tipi di umorismo:
- Associativo: proprio di chi ama fare battute per aumentare le proprie relazioni con gli altri
- Rafforzativo: proprio di chi cerca di trovare qualcosa di cui sorridere nelle proprie vicende in modo autoironico
- Aggressivo: caratterizzato da sarcasmo e ridicolizzazione di persone o eventi per avere maggiore controllo su di essi
- Controproducente: caratterizzato da ironia tagliente verso se stessi allo scopo di rendersi inferiori e attirare l’attenzione del gruppo
Martin sostiene che l’umorismo sia uno strumento utile in psicoterapia per aiutare il paziente a far fronte a situazioni traumatiche.
“Riddikulus!”
Nel libro “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”, J.K. Rowlng descrive, in modo metaforico ed efficace, come riuscire a gestire la paura attraverso l’umorismo. Durante una lezione di magia, il professor Lupin mostra ai suoi allievi come rendere innocuo un molliccio. Quest’ultimo è un essere che può assumere la forma di ciò che più spaventa il mago che affronta, perché il suo cibo preferito è la paura. E qual è lo strumento più efficace per lasciare il molliccio a bocca asciutta? La risata.
Attraverso l’incantesimo “Riddikulus”, i piccoli maghi possono trasformare ciò che più temono in qualcosa di divertente. Ad esempio, Neville Paciock immagina il professor Piton, da cui è terrorizzato, indossare i vestiti della nonna. Ridicolizzandolo, Neville percepisce Piton più tollerabile e facile da affrontare.
Questo è un chiaro esempio di come l’umorismo aggressivo può essere utilizzato in modo positivo: non per denigrare gli altri ma per difendersi dalla paura, per toglierle potere. E’ quello che fece Totò quando mise in scena una parodia di Hitler o quello che fa Woody Allen quando prende in giro la morte.
Stessa cosa fanno i protagonisti del romanzo di Stephen King ,“It”: addentrarsi nella tana più profonda della paura e annientarla, semplicemente ricordandole che “è solo un pagliaccio”.