“Love if we made it” de The 1975 spiega la modernità liquida di Bauman

La band britannica The 1975 con il brano “Love if we made it” traccia una via per la critica della società post-moderna, che riprende nei suoi tratti fondamentali la metafora della modernità liquida di Bauman.

 

Consultazione, degrado/ Carbon fossile, masturbazione/ immigrazione, kitsch liberale/ inginocchiarsi su un campo/ “L’ho sedotta come una prostituta!” felice di essere accusato. / Case non corrisposte con sette piscine, “Grazie Kanye, molto figo!”/ La guerra è stata fomentata e indovinate? Siete tutti invitati/ e sei famoso, la modernità ci ha falliti

 

La modernità fallita de The 1975

A brief inquiry into online relationships” è il titolo del terzo album della band britannica The 1975: una denuncia della mistificazione operata dai millenial, dalla società dai tratti distopici di cui facciamo parte e dalla classe politica che la rappresenta. Un’opera visionaria dai tratti incontrovertibilmente pessimistici ma riflesso di una realtà deformata che ha perso ogni contatto con la verità. La varietà dei temi affrontati si combina poi con l’eclettismo della band di Manchester, capace di passare dalla new wave all’elettronica e al rock in una manciata di minuti e confermandosi una delle novità più meritevoli del panorama musicale attuale. Un brano che cattura l’attenzione dell’ascoltatore è “Love if we made it”, nominato da Pitchfork migliore pezzo del 2018. Si tratta di un’accozzaglia caotica di denunce, slogan, frasi riprese da tweet e magliette di Donald Trump che si susseguono l’uno dopo l’altro con una naturalezza tale da sembrare superficiale, così come superficiale è la realtà che viviamo. In un unico verso The 1975 riescono a trattare due o più argomenti scottanti (dalle notizie di cronaca al consumismo e alla crisi di valori) allo stesso modo in cui oggi ci svuotiamo dei contenuti e sintetizziamo in 140 caratteri tematiche che richiederebbero pagine e pagine di analisi: è una critica che parla lo stesso linguaggio della realtà che si intende denunciare, che si rende fruibile a quegli stessi utenti che si intende demonizzare. “La modernità ci ha falliti” canta la band britannica che costruisce uno dei bridge più provocatori mai scritti, suscettibile di riassumere la trama e lo stile dell’intero brano: “Consultation, degradation, Fossil fueling, masturbation, immigration, liberal kitsch, kneeling on a pitch”.

 

Dal pop rock britannico alla sociologia di Bauman

The 1975 denunciano la crisi di valori che le nuove generazioni e la società tutta stanno attraversando: i legami sociali appaiano profondamente mutati e svuotati di contenuto per fare spazio alla vetrina delle apparenze di cui i social rappresentano l’apice del processo. Dal fenomeno non è esclusa nessuna categoria: si pensi alla personalizzazione della politica che altro non è che il riflesso di un soggettivismo dilagante che consacra l’apparenza come valore e il consumismo come ideale. Il tema è argomento di ricerca sociologico e vanta uno dei suoi più rilevanti esponenti, Zygmunt Bauman. Il personaggio del sociologo, filosofo e accademico polacco, morto nel 2017, è complesso così come intricate sono le riflessioni a cui giunge. Nasce come militante tra le file del partito comunista di ispirazione marxista-leninista per poi rivisitare il suo pensiero in direzione radicale dopo un primo approccio alle argomentazioni di Antonio Gramsci e di Georg Simmel; quest’ultimo tra i fondatori della sociologia insieme a Max Weber e ad Emile Durkheim. Dopo il 1956, anno di “conversione”, sebbene egli stesso continui a definirsi un socialista con inclinazioni marxiste, abbandona le prerogative staliniste, divenendo tra i più accaniti critici del regime sovietico. Di religione ebraica, è costretto ad abbandonare la Polonia in seguito all’emergere dell’antisemitismo e a trasferirsi dapprima in Israele ed in seguito in Inghilterra, dove ottiene la cattedra di sociologia all’Università di Leeds. Di qui la scelta di pubblicare i suoi scritti in lingua inglese.

 

 

La modernità liquida di Bauman

Zygmunt Bauman diviene noto non solo per le sue ricerche sui legami tra i totalitarismi e la cultura della modernità ma soprattutto per i suoi studi sulla post-modernità. L’intuizione che gli deve la fama è l’utilizzo della metafora di società, o modernità, liquida per riferirsi a quel processo di esaltazione dell’individualismo che è alla base della trasformazione dell’uomo da produttore a consumatore. Così Umberto Eco definisce il concetto di modernità liquida:

Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo soggettivismo ha minato le basi della modernità, l’ha resa fragile, da cui una situazione in cui, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Si perde la certezza del diritto e le uniche soluzioni per l’individuo senza punti di riferimento sono da un lato l’apparire a tutti costi, l’apparire come valore e il consumismo. Però si tratta di un consumismo che non mira al possesso di oggetti di desiderio in cui appagarsi, ma che li rende subito obsoleti, e il singolo passa da un consumo all’altro in una sorta di bulimia senza scopo.

In una società viziata dal consumismo l’individuo stesso diviene un prodotto, la merce umana. Di qui la ragione insista nel mutamento delle relazioni sociali: si tratta di un processo di abbandono del legame stabile a favore di relazioni anch’esse usa e getta. Non solo la società è liquida, ma ogni aspetto della vita diviene tale e “l’uomo senza legami” ne diviene il rappresentante. Ne consegue che muta lo stesso concetto d’amore, che si veste di pretese di soddisfazioni immediate e di risultati senza sforzi; e questo perché le relazioni divengono insoddisfacenti poiché estremamente mutevoli e transitorie, e temute, in quanto se capaci di soddisfare l’altro, comportano una perdita in termini di libertà. D’altra parte, così Bauman descriveva il concetto di modernità liquida: “la convinzione che il cambiamento è l’unica cosa permanente e che l’incertezza è l’unica certezza”.

 

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