Diverse società, avendo constatati numerosi comportamenti irrazionali, hanno cercato di sopprimere questi aspetti incontrollabili, ma pur sempre tutti umani. E’ davvero possibile “nascondere sotto un tappeto” questa sfrenatezza che tanto ci fa paura? Vediamo.
Il film The Giver rappresenta quello che accadrebbe se la società moderna si chiudesse completamente alle emozioni e a tutto ciò che deriva dall’irrazionale.
THE GIVER: LA TRAMA
Distribuito per la prima volta nel 2014, il film distopico The Giver rappresenta una società futuristica non meglio precisata in cui ogni emozione sia positiva sia negativa non esiste. La comunità è formata da nuclei familiari composti da membri non consanguinei a cui, raggiunta l’età di diciotto anni, viene assegnato quello che sarà il mestiere che svolgeranno per il resto della vita in favore della comunità. Il protagonista del film è Jonas, un giovane ragazzo che, raggiunta la maggiore età, riceve dagli anziani il ruolo di accoglitore di memorie: l’accoglitore di memorie è quel particolarissimo individuo, generalmente allontanato dalla comunità, che deve raccogliere i ricordi di tutta l’umanità per fornire consiglio agli anziani nei momenti di necessità. In questo frangente Jonas incontra l’anziano accoglitore di memorie, che ora è diventato un donatore – giver appunto -, il quale gli mostra numerosi ricordi. Su consiglio del Donatore – uomo assai poco avvezzo al rispetto delle regole – Jonas comincia a non prendere quelle che gli venivano presentate come medicine, e comprende che altro non erano che inibitori, sostanze che offuscavano la sua capacità di provare emozioni come l’eccitamento, il divertimento e infine l’amore; dopo diverse settimane senza aver assunto gli inibitori Jonas si scopre innamorato di Fiona, sua amica di infanzia la quale, su esortazione del ragazzo, smette a sua volta di prendere la medicina e si innamora a sua volta. Tuttavia, nel corso delle sedute con il Donatore Jonas si rende conto sempre di più del fatto che non esistono solamente emozioni positive, ma anche negative, e che quando queste si presentano in maniera inaspettata tendono a sconvolgere la mente delle persone; orripilato da questa scoperta, Jonas ripudia il suo ruolo da accoglitore non ritenendosi pronto per farsi carico di queste sensazioni, ma si ricrede nel momento in cui viene a sapere che la sua società fa sì che i bambini nati con qualche deficit, mentale o fisico, vengano “congedati” – ossia uccisi – come anche tutti gli anziani. Prende dunque Gabriel, un bambino destinato a essere congedato, e scappa dalla comunità – nonostante i tentativi di quella che potremmo definire una sorta di polizia -; nel frattempo Fiona e il Donatore, di cui viene scoperto il tradimento in quanto hanno aiutato Jonas a fuggire e non hanno preso gli inibitori, stanno per essere uccisi, quando avviene uno dei dialoghi più commoventi del film in cui il Donatore cerca di convincere la Somma Anziana a permettere che la comunità riottenga le emozioni a cui aveva rinunciato anni prima: si capisce che a seguito di un evento particolarmente brutto, causato dall’avidità e della crudeltà umana, un gruppo di persone ha scelto di privarsi delle emozioni e di costruire una società perfettamente razionale e gerarchizzata, in maniera tale da evitare il ripetersi della storia. Il film termina con Jonas che, insieme a Gabriel, attraversa per tempo una sorta di confine della memoria che fa sì che tutti i ricordi e le emozioni a loro connesse ritornino alla comunità.
Donatore: “Tu sai cosa si prova ad amare qualcuno? Io sì. Ho pianto, ho sentito dolore, ho cantato, ho danzato, ho assaporato la vera gioia.”
Anziana: “Allora dovresti sapere meglio di chiunque altro. Hai visto bambini morire di fame? Hai visto uomini annientare altri uomini solo per profitto? Sai cosa si prova a farsi esplodere, e a farlo in nome di un Dio?”
D: “Sì…”
A: “E questo solamente per questioni di confine.”
D: “Sì, sì, lo so, ma …”
A: “E nonostante ciò… e nonostante ciò tu e Jonas volete aprire di nuovo quella porta, riportare tutto a come era prima? … Se le persone hanno la possibilità di fare una scelta fanno quella sbagliata, ogni singola volta.”
LA CITTÀ IDEALE
Sembrerà strano, ma il modello di una comunità perfetta, formata solo da persone razionali e dedite alla società, era stato pensato migliaia di anni fa da uno dei filosofi più conosciuti della cultura occidentale, Platone: avendo subito in vita delle terribili delusioni politiche – la distruzione di Atene a causa dell’intemperanza della democrazia radicale, l’estrema violenza perpetrata dai Trenta Tiranni, l’uccisione del suo maestro Socrate per opera della democrazia recentemente restaurata, e infine la pericolosa diffidenza del tiranno Dionisio di Siracusa – lo portarono a constatare l’imperfezione dell’uomo, la cui perfezione dovrebbe esprimersi nella società. Poiché l’uomo imperfetto aveva creato una società imperfetta, Platone pensò di creare una società razionale che per prima rendesse migliore chi l’abitava; allo scopo si dedicò alla stesura di diverse opere eminentemente politiche come la Repubblica, il Politico e le Leggi. Concentriamoci sulla Repubblica: il tema generale dell’opera verte sulla natura della giustizia e su come realizzarla fattualmente. Ora, parlare nel dettaglio di tutti i filoni filosofici e politici della Repubblica è cosa che – per quanto io sia terribilmente tentato di fare – richiederebbe un gran lavoro e ben più di un articolo, motivo per cui ho scelto di riportare le tematiche più famose e affascinanti del dialogo. Cominciamo dalla necessità dello stato: come mai gli uomini e le donne si trovano riuniti in organismi cittadini? Molto pragmaticamente, Socrate – portavoce del pensiero di Platone nell’opera – risponde “Nasce dunque la città, io credo, perché di fatto ciascuno di noi non è autosufficiente, ma è carente di molte cose… Non accade dunque che un uomo se ne associ un altro alla luce di un bisogno, e un altro ancora per un altro bisogno, e che avendone molti, molti si raccolgano in un solo insediamento formando una comunità di reciproco aiuto, e a questo insediamento comunitario abbiamo dato il nome di città”. Per sopperire a questi bisogni della comunità ciascuno si deve occupare per tutta la vita solo delle attività per cui è portato, sicché si rende necessaria la creazione di una divisione gerarchica che comprende tre ordini di individui: i lavoratori, deputati alla cura della produzione e del commercio in città, i guerrieri, perché difendano la comunità dall’inevitabilità della guerra, e i guardiani della comunità; questi guardiani, prima di essere una guida politica, sono una guida etica, e anzi si occupano della politica in virtù della loro conoscenza del bene e del male. In maniera molto conveniente, per Platone queste guide della città devono essere i filosofi. Da questo gran valore che viene conferito da Platone a delle figure eticamente distinte, si evince che la città non ha solo lo scopo di sopperire ai bisogni della comunità, ma anche di educare moralmente i cittadini a una vita moderata e razionale: pertanto, nella città perfetta dovranno essere bandite per legge tutte quelle forme di intrattenimento che possano suscitare emozioni che distorcano l’uomo dalla moderatezza – la tragedia, la commedia, la poesia lirica e musiche troppo trasportate -. Solo così si invera il progetto politico di Platone di dominio assoluto della Ragione sugli impulsi.
LA PAZZIA NELLA REPUBBLICA
Abbiamo visto che l’intero programma politico proposto da Platone si basa sul fondamentale predominio della razionalità in ogni campo, e sulla sottomissione o – preferibilmente – sulla rimozione di ogni aspetto irrazionale. Ma perché? Per comprenderlo bisogna fare riferimento a un concetto platonico essenziale: la tripartizione dell’anima. Secondo il filosofo, l’anima è composta da tre parti, una razionale, una impulsiva e una concupiscibile; la prima cerca di elevarsi per partecipare delle idee pure che si trovano nell’Iperuranio, le altre due cercano di trascinare l’anima in un mondo del tutto corporeo, finito. Così l’anima viene presentata come qualcosa che attraverso la razionalità può portare l’uomo alla sapienza suprema; d’altra parte l’anima è insidiata da forze che germogliano dal suo stesso interno, sicché la Ragione, che vorrebbe elevarsi, si trova come un auriga a dover controllare due cavalli decisi a trascinarla nel baratro dell’irrazionalità e della sfrenatezza. Platone era perfettamente conscio del fatto che non era poi così raro che la ragione cedesse all’irrazionalità, sicché nel suo modello politico fece di tutto per eliminarla. Oltre a ciò all’inizio del IX libro della Repubblica, Platone delinea chiaramente la figura del folle non come un semplice malato, ma come un vero e proprio pericolo per la società – teme che la pazzia sia contagiosa -, arrivando addirittura a teorizzare l’istituzione di manicomi, ossia di luoghi deputati non alla cura di questi individui, ma al loro allontanamento dalla comunità.
CONCLUSIONI
Platone stesso era conscio dell’irrealizzabilità di questa città: gli eventi della sua vita avevano testimoniato fin troppo bene la violenza e l’irrazionalità insita nell’uomo, cosicché vide in questa città un’astratta applicazione politica del suo pensiero etico; se posso permettermi di intromettermi con la mia opinione, dico anche che è una gran fortuna che questo progetto di Platone sia irrealizzabile. Con ciò non intendo dire che la società perfetta dovrebbe abbandonarsi in maniera totale all’irrazionalità, ma dal momento che essa è parte fondante della nostra personalità bisogna prendere atto della sua presenza e, in una certa misura, darle spazio. Nel momento in cui Jonas ha visto le cose orribili che certi comportamenti umani hanno causato, le ha rifiutate ritenendole inumane, ma ha poi realizzato che quello che era davvero inumano era l’eliminazione a sangue freddo di bambini neonati che sarebbero stati di poca utilità alla comunità. Da questo punto di vista The Giver fa un passo in avanti rispetto a Platone: è impossibile eliminare a sangue freddo un componente così importante di noi stessi affermando di voler così diventare uomini migliori, perché così facendo semplicemente non si è più uomini. E se accettare ogni parte di noi stessi, dandovi ascolto e permettendo agli altri di ascoltarla, ci renderà più imperfetti, allora accogliamo l’imperfezione!