“Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l’intervallo tra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la mia vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente, più il niente di me stesso. Nuvole… Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!” (Fernando Pessoa, “Il libro dell’inquietudine”)
Pessoa e la capacità di scavare dentro se stesso
Fernando Pessoa scava nella sua interiorità più profonda e recondita illustrando ogni sfaccettatura dei suoi tormenti, dei suoi dolori, degli sprazzi di gioia illuminata per risaltarne le vivide contraddizioni. Pessoa scrive per sé, ma soprattutto scrive con se stesso. Cuce sulla sua personalità multiforme e contraddittoria delle personalità poetiche (chiamati eteronimi): sono rappresentazioni fedelissime dei suoi tormenti interiori, conseguenza della sua isteria, si tratta di vere e proprie esplosioni di vita che pullulano dentro un’anima sensibile come la sua. In particolare, vi è uno degli eteronimi costruiti e ideati da Pessoa che egli stesso ha definito “una semplice mutilazione della mia personalità”: si tratta di Bernando Soares ed è il protagonista, autore e pensatore del “Libro dell’Inquietudine”. Il libro in questione non è un semplice e consueto romanzo. E’ una perscrutazione di un’anima, un viaggio quasi metafisico di un’entità travagliata dalle domande, dai dubbi, dalle insicurezze e dalle paradossali certezze e verità che rinchiude dentro di sé. Bernardo è un uomo che è riuscito a percepire il suo fallimento, sensibilmente lo analizza e lo esamina: comprende la caducità della vita, dei sentimenti e nonostante questo si ostina a sognare e ad inseguire tutti i sogni del mondo, persino quelli che reputa impossibili e che non gli appartengono. Bernardo ha la sensibilità giusta per comprendere il dramma della vita, della società e del mondo che lo circonda: percepisce le storture del mondo in cui è catapultato e continua ad interrogarsi, a tormentarsi di dubbi e di domande. Il pensiero è l’unico modo che ha per entrare in contatto con quello che lo circonda, è come se fosse perennemente destinato a tartassarsi e ad esercitare continue pressioni su se stesso pur di arrivare ad una flebile, evanescente e caduca verità.

Elogio dell’inquietudine
La sensazione che esplode nell’animo di Pessoa-Soares è un vero e proprio travaglio interiore, un intimo tormento che ognuno sente e avverte dentro di sé. E’ inquietudine: moto della mente che vortica tra i pensieri e li scava, li spoglia di ogni maschera o protezione per poi farli esplodere. Inquietudine è anelare qualcosa che vada oltre il mondo concreto e reale in cui si è immersi, ricerca di qualcosa di totalmente indefinibile ma allo stesso tempo capace di bruciare un’anima fervente. Pessoa definisce l’inquietudine come la “febbre di sentire”: si potrebbe paragonare ad un’ossessione, al rincorrere incessante e forsennato di una persona che sta disperatamente cercando qualcosa o qualcuno e non si ferma mai. Essere inquieti è sinonimo di vitalità. Avvertire interiormente l’irriverenza dei propri pensieri e dei propri tormenti è meraviglioso, nonostante molto spesso la presunzione delle emozioni possa essere avvertita come dolorosa o fastidiosa. Inquietudine è passione, fragilità che fortifica e stimola, intimo bisogno che abbiamo di connetterci con noi stessi. Essere inquieti significa porsi delle domande, riflettere sulla propria personale interiorità e su quella degli altri, sul circostante e sul moto continuo dell’evoluzione che ci travolge. Inquietudine è mettersi in dubbio e comprendere le proprie incertezze e il proprio caos interiore per poterlo esternare e creare qualcosa di straordinario.
Beksiński e i dipinti del suo tormento
La nostra esistenza è caratterizzata dal progresso incessante in cui si susseguono scenari sempre più mutevoli e privi di verità assolute. Da qui nasce l’esigenza di fissare il proprio disordine interiore per renderlo eterno, visualizzarlo e comprenderlo. Zdzisław Beksiński ha cristallizzato l’analisi profonda della sua inquietudine interiore nelle proprie opere, dichiarando di voler “dipingere come se stessi fotografando i miei sogni”. Dipinge la sua anima turbata e tormentata dal dramma esistenziale che ha caratterizzato la sua vita ricca di avvenimenti tragici: in seguito ad un incidente automobilistico passa tre mesi in coma e molti altri in convalescenza, nei quali afferma di aver avuto esperienza diretta con l’Inferno e le sue divinità. Successivamente, deve sopportare la morte di sua moglie e quella del figlio morto suicida durante la vigilia di Natale del 1999. I suoi dipinti sono espressione diretta della sua emotività lacerata dall’elemento tragico e drammatico: presentano figure scheletrizzate, natura deforme e scarna e personaggi sfregiati dallo strazio dell’incertezza e attraversati da un tempo eterno. L’inquietudine di Beksiński si può visualizzare: tramite le sue opere prende forma e diventa un elemento concreto del mondo reale, una sensibilità autonoma e indipendente che si rivela nella sua intera tragicità.
Giorgia Pizzillo