Fin da piccoli Cappuccetto Rosso ci ha insegnato che gli occhi grandi servono per vedere meglio, le orecchie grandi per sentire meglio e la bocca grande… beh, purtroppo sappiamo come prosegue la fiaba. Ma se ci avessero chiesto a cosa serve un linguaggio vasto avremmo tutti risposto che è necessario per comunicare meglio. E probabilmente ci saremmo sbagliati.
Una settimana fa il mondo dava il suo ultimo addio ad uno dei più grandi contributi allo studio dell’evoluzione del linguaggio umano, 47enne intenditrice dell’American Sign Language (ALS) utilizzato dai sordo-muti, appassionata di gatti ed immersa per tutta la sua vita nell’ambito di ricerca dell’anello mancante tra le facoltà verbali umane e dei primati. No, non stiamo parlando di una moderna Marie Curie della linguistica ma piuttosto di Koko, la famosissima gorilla cresciuta dalla naturalista Penny Patterson e divenuta una vera e propria icona mondiale. La sua strabiliante capacità di apprendere nuove parole, unita ad una profonda e disarmante umanità, sono solo alcune delle capacità che l’hanno resa una degli animali più curiosi del globo. Ciò che davvero le ha spianato la strada nel cuore di milioni di fan è stata però l’incredibile abilità nel comunicare con l’uomo, accorciando la linea del tempo dell’evoluzione e dimostrando il mantra che spesso ci ripetiamo quotidianamente: “agli animali manca solo la parola”.
Eppure se la maggior parte degli studi (così come anche l’esperienza e la logica) ci spingono a credere che la funzione primaria del linguaggio umano sia proprio la comunicazione, Noam Chomsky – uno dei linguisti e teorici della comunicazione più influenti del XX secolo – ha scosso la testa sulla questione. A detta dell’esperto, se i nostri polmoni sono progettati in modo certosino per permetterci di respirare, la vista si è sviluppata quasi perfettamente per assolvere alla sua funzione primaria, l’udito analogamente per sentire e il gusto per assaporare, allora seguendo la medesima logica anche il linguaggio umano dovrebbe possedere tutte le proprietà esemplari per consentirci di comunicare in modo ottimale… ma così non è.
Il nostro linguaggio è ambiguo
Tra le falle nel sistema comunicativo Chomsky ha infatti identificato quelle che generalmente vengono definite ambiguità linguistiche. Tra queste si identificano per esempio le ambiguità sintattiche, ovvero frasi di dubbia interpretazione che, senza una giusta intonazione o un contesto alle spalle, risultano tutt’altro che utili per comunicare un messaggio: l’affermazione “Luca ha tenuto il libro nella valigia” potrebbe infatti assumere significati diversi a seconda del filtro con cui le persone la leggono, attribuendosi la duplice interpretazione di “Luca ha tenuto il libro nella valigia perché in borsa non ci stava” oppure “Luca ha tenuto il libro nella valigia perché ha deciso di buttare il quaderno”.
Una seconda categoria di ambiguità comprende invece quelle temporanee e non-temporanee. Le prime sono tipiche di frasi che modificano totalmente il proprio significato nel momento in cui si arriva a leggerle fino in fondo (la proposizione “fat people eat” si tradurrebbe facilmente con “le persone grasse mangiano”, ma con la semplice aggiunta di una parola, per esempio “fat people eat accumulates”, possiamo osservare come il senso venga stravolto e la nuova traduzione sia “il grasso mangiato dalle persone si accumula”). Al contrario, quelle non-temporanee riguardano tutte quelle locuzioni la cui ambiguità di significato è permanente e che quindi possiedono inevitabilmente una doppia interpretazione (“la vecchia porta la sbarra”, “Luigi ha visto un uomo nel parco con un cannocchiale”, “ho assistito ad un’aggressione alla direttrice molto violenta”).
Mille e uno modi di comunicare
Ovviamente la presenza di queste prove a favore della teoria chomskiana non ha condotto il suo fautore a rinnegare l’idea (palese) che il linguaggio sia connesso alla comunicazione umana, ma piuttosto a metterla al secondo posto. Secondo il linguista il nostro parlato ci spinge infatti ad interloquire con gli altri in maniera analoga ad altre caratteristiche individuali, come il nostro colore di capelli o addirittura il modo di vestire: per fare un esempio ridotto ai minimi termini, la comunicazione agli altri delle proprie origini irlandesi potrebbe scaturire dall’affermazione “io vengo da Dublino”, così come dai capelli rossi e tratti fisionomici tipici, o ancora da una spilla con incisa l’arpa dorata su scudo azzurro simbolo della nazione.
Ciò che ha condotto il linguaggio ad assumere il ruolo di “coordinatore primario” della comunicazione sarebbe quindi stato esclusivamente uno sfizio umano dettato dalla convenienza evolutiva, costantemente migliorato e levigato nel corso del tempo.
Ma se quindi i nostri antenati Sapiens hanno commesso un “errore di valutazione”, a quale funzione biologica del linguaggio appartiene il primo posto?
Il primato dell’organizzazione mentale
Secondo Chomsky la funzione “di fabbrica” della lingua sarebbe stata in origine quella di organizzare i nostri pensieri, permettendoci – attraverso un linguaggio pensato quindi per essere meramente mentale e psichico – di costruire ponti tra le nostre congetture, immagazzinare meglio informazioni e creare combinazioni complesse partendo da singoli ragionamenti slegati. Una mansione che, con i millenni, ha inevitabilmente subito un processo di exattamento simile a quello del piumaggio degli uccelli: evolutosi inizialmente per consentire la regolazione termica corporea dei volatili e solo successivamente adottato come ornamento sessuale nei maschi per attirare le femmine o ancora per agevolare il volo. Analogamente il nostro linguaggio, nato per creare reti neurali nella nostra testa, ci ha portato a crearne di reali e sociali all’esterno, sfociando in una Babele di lingue diverse e metodi comunicativi rivoluzionari.
Seppur intrise di una forte dose di fascino e sostenute da diversi esperti della materia tra cui Hauser e Fitch, le teorie di Chomsky portano inevitabilmente a schierarsi a favore di un’ipotesi meno intuitiva e consueta, capace però di insinuare almeno un dubbio in chi legge. Ci state riflettendo su? Bene, significa che state usando il vostro linguaggio come si deve.