Le molteplici forme dell’ingiustizia discorsiva attraverso uno dei personaggi femminili più iconici della storia del cinema.
Il linguaggio dell’odio (o Hate Speech) può non solo assumere diverse forme attraverso l’utilizzo di diversi atti linguistici, ma anche assumere le fattezze di volti e, quelli delle donne, risultano essere i più bersagliati. Questa forma d’odio è vecchia quanto l’uomo, ma oggi grazie al personaggio di Malena nell’omonima pellicola possiamo vederne i suoi effetti.
GLI ATTI LINGUISTICI SECONDO L’HATE SPEECH
Le parole possono essere proferite anche con cattive intenzioni: possono ferire, offendere e, soprattutto, far stare male. Questa forma del linguaggio viene definita come linguaggio dell’odio (o hate speech). Nonostante le sue radici affondino da sempre nel sottosuolo della nostra società, è stato oggetto di studi solo di recente. Le forme più concrete di hate speech sono udibili nel momento in cui vengono pronunciate da un interlocutore che appartiene ad un piano sociale privilegiato rispetto alla persona a cui è destinato il messaggio. Per tale ragione queste parole d’odio possono assumere forme diverse, come ad esempio le parole definite come sessiste o razziste. A rafforzare la dimensione performativa di tali parole è la società androcentrica ed etnocentrica in cui viviamo e, per tale ragione, gli individui appartenenti a determinati target discriminati quali il genere, l’etnia, la religione o l’orientamento sessuale, diventano prede per questi cacciatori. Le forme di ingiustizie che queste categorie possono subire sono molteplici, in questo caso però ci soffermeremo soltanto da un punto di vista comunicativo. Quando, ad esempio, una donna vuole rifiutare una richiesta sessuale da parte di un uomo, la probabilità che quell’uomo non si fermi davanti a quell’esplicito rifiuto è molto alta. Ce l’ha insegnato la letteratura quanto la cinematografia ma, soprattutto, le notizie di cronaca. Questo non fermarsi davanti al rifiuto proviene dal fatto che l’uomo creda non solo di poter farle cambiare idea, ma anche perché crede che il suo messaggio non sia stato recepito e codificato correttamente. Questo è un aspetto che abbraccia tante altre teorie, da quella delle intenzioni di Grice fino a quelle più recenti sulla pertinenza di Sperber e Wilson, ma rimanendo sul piano linguistico, quello che si è verificato è un’ingiustizia discorsiva da parte della donna ma, soprattutto, una distorsione illocutoria, in quanto il rifiuto della donna non è stato considerato. Non è l’unica forma di ingiustizia discorsiva possibile, in quanto all’interno del linguaggio dell’odio ne sono state elencate anche altre, come l’ingiustizia epistemica e, nel dettaglio, l’ingiustizia testimoniale. Per tale ragione, l’indebolimento performativo diventa certezza e la riduzione al silenzio, la conseguenza più grave di ingiustizia discorsiva, una piaga da combattere.
L’INTERPRETAZIONE DELLA BELLUCCI
Cosa hanno in comune il personaggio di Malèna e l’attrice che le ha prestato volto? Molte cose, più di quante ce ne aspetteremmo. Le vicende del film omonimo diretto da Giuseppe Tornatore vengono narrate da Renato Amoruso, ormai anziano, la cui adolescenza è stata segnata dalla presenza di Maddalena Bonsignore Scordìa, conosciuta in paese come “Malèna”, il cui ricordo permane ancora nella vita di Renato. A Castelcutò, paese immaginario della Sicilia, Malèna è il sogno erotico di ogni suo abitante. Ella è talmente bella da non poter nemmeno uscire di casa poiché le poche volte che lo fa per andare a trovare il padre anziano l’intero paese le mette gli occhi addosso. Se gli uomini le sussurrano complimenti, le donne la maledicono. Come sottolineato dal suo avvocato durante il processo che vide imputata Malèna con l’accusa di adulterio, l’unica colpa della donna è “La sua bellezza“. L’interpretazione della Bellucci va oltre la pellicola, poiché le vicende vissute dal personaggio da lei interpretato riguardano tutte le donne. Fischi in strada che oggi chiameremmo catcalling, pettegolezzi e maldicenze che la vedono concedersi ad ogni uomo di quel piccolo paese siciliano. Le invidie ed il chiacchiericcio rendono la vita della giovane donna un inferno. Nonostante la cattiveria subita, Malèna non si difenderà mai da tali accuse. A sorprendere i critici sull’interpretazione della Bellucci è stato il fatto che il personaggio di Malèna nella pellicola parli poco. Tornatore sembra aver voluto rappresentare come le parole intrise d’invidia e d’odio degli abitanti di Catelcutò avessero calpestato e infine cancellato ogni volontà comunicativa di Malèna. Il mutismo di Malèna da un punto di vista linguistico verrebbe definito come riduzione al silenzio, poiché sai che il tuo atto linguistico risulterebbe nullo dinanzi ad un potere performativo che non sapresti affrontare poiché sprovvista di armi, quali la forza ed il coraggio. Il marito partito in guerra per poi essere successivamente dichiarato morto per errore ed un padre stufo dell’ombra della figlia sono le uniche figure maschili presenti nella sua vita. Stanca di sopperire di tutte quelle malelingue che le hanno rovinato la vita, prenderà una decisione che altro non è che frutto della sua sofferenza. Renato Amoruso, all’epoca un tredicenne che si limitava ad osservare Malèna da lontano, non potrà farla retrocedere dalla sua decisione attraverso le sue parole.
PREGIUDIZI E STEREOTIPI PRENDONO IL POSTO DELLE PAROLE
Il linguaggio quindi non è formato solo da parole, ma che di pregiudizi e stereotipi. L’atto linguistico assume ancora più importanza nel momento in cui l’interlocutore non appartiene a nessun gruppo discriminato. Nel momento in cui, invece, un membro di un gruppo discriminitato, cerca di imporsi durante un atto di tipo linguistico, le sue asserzioni non verranno mai viste come tali. L’esposizione di un problema diventa una lamentela, un ordine una richiesta e un rifiuto come un consenso. Espressioni quali “Sembri una ragazza” non fanno altro che alimentare pregiudizi, sia da un punto di vista semantico che pragmatico. Secondo Lynee Tirell, professoressa di filosofia presso l’Università del Connecticut, per contrastare l’hate speech abbiamo un vaccino e un antidoto: attraverso il vaccino possiamo prevenire il linguaggio d’odio, mentre possiamo utilizzare l’antidoto per combatterlo mentre è in atto. Le parole possono silenziarci, creare confini e distruggere identità. Ogni donna è la “Malèna” della Bellucci quando cammina per strada, mentre il racconto della vita di una donna vale se a raccontarlo è un uomo. Tacere è consenso, ma quando a farti ridurre al silenzio sono gli altri è solo un’ingiustizia.